La Prova del Fuoco
Kadiya

Avrebbe potuto essere una notte come tutte le altre, il cielo buio illuminato dal disco pallido della luna e da una miriade di stelle scintillanti.
Avrebbe potuto esserlo, se non fosse stato per quell'intensissima concentrazione di magia che si stava raggrumando nel Bosco di Giada e si preparava a esplodere in una impetuosa cascata di potere.
Nenial, la principessa delle fate, stava per dare alla luce il frutto del suo amore; era stato il caso o forse un imprevedibile incantesimo che aveva legato lo sguardo trasparente dell'eterea creatura a quegli occhi ardenti come la brace e profondi come la tenebra.
A nulla erano valsi gli avvertimenti e le preghiere del suo popolo incantato, sospeso tra la realtà e la fantasia: il cuore della principessa era stato irrimediabilmente rapito dal fascino misterioso dell'oscuro cavaliere incontrato in una notte di luna nuova e mai più scordato: la sorte della fata era stata ormai decisa.
La magia si addensava sempre di più intorno alle laboriose creature che assistevano la loro principessa nel momento del parto, tanto che se ne poteva avvertire la forza nell'aria limpida; il popolo incantato stava cercando in ogni modo di scongiurare l'inevitabile, di tenere accesa la debole fiamma che sosteneva la loro amata principessa, di salvarla da ciò che per lei era ormai scritto.
Ma Nenial sapeva, aveva sempre saputo, quale sarebbe stato il suo destino.
Il cielo si riempì di nubi minacciose, attraversate a tratti da scariche luminose che colmavano l'atmosfera di elettricità e di tensione. Per un istante sembrò che tutto il mondo si fosse fermato in silente attesa dell'adempiersi del fato finché, in un'esplosione di potere, si compì il prodigio: la principessa di cristallo perse ogni consistenza reale e scomparve dal mondo delle fate, lasciando però nell'erba fresca del bosco una tenera creatura.


Ailin passava le sue giornate a cacciare ai confini del Bosco di Giada, una terra che gli abitanti del villaggio dicevano magica ed evitavano per quanto possibile.
I suoi genitori adottivi l'avevano trovata che aveva sì e no pochi giorni sulla soglia della loro umile dimora e l'avevano accolta con più amore di quello che avrebbero riservato a una loro figlia.
Le sue giornate, divise tra gli affetti domestici e la passione per la vita all'aria aperta, si erano trascinate serenamente per diciassette anni, senza che mai alcun evento di grande rilievo giungesse a turbare la sua tranquilla esistenza.
Ma quel giorno era un giorno speciale: la fanciulla aveva deciso di sfidare i divieti e le superstizioni e di superare la linea immaginaria che separava il mondo della sua infanzia e della sua prima adolescenza da quello della maturità: aveva deciso che si sarebbe sottoposta ad una prova del fuoco.
E cosa sarebbe stato più trasgressivo e pericoloso che mostrare tutto il proprio coraggio penetrando nella foresta vergine, dove spettri e chimere avrebbero presto accolto con gioia ed eccitazione la sua sfida?
Si era alzata all'alba dopo aver passato una notte insonne, in trepida attesa che il sole spuntasse all'orizzonte e colorasse di porpora e miele i tetti delle case e le solide mura della cittadella eretta sul dolce pendio appena al di sopra del villaggio.
Aveva salutato i suoi genitori ed era uscita di gran premura con la scusa di avere in programma una battuta di caccia di prima mattina, quando ancora la selvaggina languiva quieta e sonnolenta al di fuori delle tane e dei rifugi notturni, impreparata ad affrontare il pericolo in agguato nelle sue frecce guizzanti.
Il margine del bosco era silenzioso, il fresco profumo dei fiori di campo vibrava nell'aria calma del mattino arricchendola di note muschiate e di liquide sensazioni di corteccia umida.
Quante volte la giovane Ailin si era fermata proprio lì, a pochi passi dal mistero, e aveva fantasticato sulle straordinarie creature, arcane e primordiali, che senz'ombra di dubbio la stavano osservando al di là della radura, puntando i loro occhi ferini sulle sue inconsapevoli sembianze umane.
Quante volte, nelle sue frequenti battute di caccia, aveva dapprima esitato e poi interrotto a malincuore l'inseguimento di una facile preda, quando la creatura spaventata aveva finalmente cercato la salvezza nella fitta oscurità della foresta proibita, ormai quasi rassegnata al proprio destino di morte.
Ailin si era sempre fermata, non osando cedere alla propria irruenza o semplicemente ad un'innocente curiosità che di giorno in giorno cresceva e colorava i suoi sogni di avventure e misteri.
Fino a quel giorno, quando non c'erano lepri da inseguire o erbe da raccogliere, ma c'era la forza sicura della volontà che la spingeva ad andare avanti.
Passo dopo passo il sentiero si faceva più stretto, penetrando sempre più in profondità nei meandri articolati del Bosco di Giada.
Inizialmente la fanciulla aveva creduto di sentire delle voci chiamarla e avrebbe giurato di aver scorto occhi sfuggenti fissarla di quando in quando, ma ben presto si era resa conto che la foresta proibita non era quel luogo di mostri e di incantesimi che le era stato fatto credere fin dalla sua prima infanzia.
Man mano che si inoltrava nelle profondità della macchia il suo spirito diventava più saldo e il suo passo sicuro. La luce smeraldina del sole raggiungeva il cammino dell'intrepida fanciulla filtrata dal verde delle foglie, donando all'aria limpida e odorosa densi riflessi di giada.
L'atmosfera surreale richiamava antiche memorie di incantesimi e magie, di popoli antichi e di potenze inimmaginabili, di creature leggendarie e di epiche battaglie.
La fertile immaginazione di Ailin cominciò a vagare per i ripidi pendii della storia della foresta, inerpicandosi nelle strette vie dell'incanto delle fate e scivolando, rapida come le fredde acque di un torrente in piena, nel duro cuore nascosto di un demone.
Nella sua mente sgorgavano fitti i ricordi di un tempo mai vissuto, di un amore devastato, di un tormento senza fine. Per un attimo ebbe la percezione di essere saldamente legata a quel luogo di sogni e di sospiri e di essere parte del Bosco di Giada esattamente come le pietre che calpestava o i rovi che le graffiavano la pelle diafana mentre cercava di aprirsi una via verso la verità e la luce.
Per un attimo soltanto.
All'improvviso tutto svanì di fronte alla dura consapevolezza che nulla di reale le stava capitando, che solo la suggestione del luogo e le supersitizioni che le erano state inculcate dagli abitanti del villaggio le avevano fatto immaginare magie inesistenti e le avevano ispirato pensieri folli.
La ragazza riprese allora la strada verso la radura da cui era venuta, ora inciampando nelle radici nodose di alberi secolari, ora impigliandosi nelle spine del sottobosco, convinta di aver superato la prova che si era imposta e ansiosa di vantare il suo coraggio di fronte ai genitori ed agli amici e di gloriarsi della propria impresa.
Avrebbe smentito tutte quelle stupide favole sul bosco di giada: nessuno spettro, nessuna magia, non c'erano altro che tronchi e sterpaglia, banali cortecce capaci di spaventare soltanto gli ingenui.
Nessuna fata, nessun demone.


L'avevano chiamata, l'avevano attratta con le loro voci cristalline nel corso di tutti quegli anni.
Quel giorno finalmente la figlia di Nenial e del demone aveva ceduto alle loro preghiere ed aveva ascoltato il richiamo del popolo fatato, era tornata nel Bosco di Giada dove era nata diciassette anni prima.
Le avevano raccontato la storia di sua madre e del suo amore folle e disperato per Kradmood, l'essere oscuro per il quale si era persa; le avevano mostrato secoli di quella terra incantata, rivelando ai suoi occhi rapiti la magia che permeava l'intera foresta, antica come la gente fatata che vi dimorava.
Avevano assisistito gioiosi all'aprirsi del cuore della fanciulla al mistero del suo popolo e avevano dischiuso le loro braccia trasparenti per accoglierla di nuovo tra loro.
Ma lei si era voltata e se ne era andata per la sua strada, col cuore tronfio ed il passo spedito, con una tale sicurezza da annullare di colpo tutta la magia e la speranza di quel luogo remoto.


Il demone aveva anelato la sua vicinanza fin da quando il suo seme si era unito all'impalpabile essenza della principessa delle fate.
Il suo era stato un'atto folle, compiendo il quale aveva forse rinnegato la parte più oscura del suo essere, ma Kradmood il demone da quel momento non aveva potuto fare a meno di voler rivelare alla figlia il senso profondo della sua esistenza e comunicarle la sottile magia che dominava la foresta.
Si era accorto della sua presenza non appena Ailin era entrata nel bosco, l'aveva chiamata, invocata, pregata, carezzando la sua mente con soavi promesse di potere e di unione.
Aveva cercato di istillare nei suoi pensieri la brama di conoscenza e di potenza che da sempre erano il suo oscuro viatico, avvolgendola nella verde magia del bosco incantato.
Era quasi giunto a conquistare la sua ambizione quando la ragazza, stolidamente, gli aveva voltato le spalle e se ne era andata verso il luogo dove vivevano gli uomini, fuori dal suo regno, dalla foresta, rinnegando le sue origini e vanificando per sempre la sua magia.


Una leggenda racconta che qualche volta una delicata fata si innamori follemente di un demone tenebroso.
A volte il suo amore si scopre ricambiato e le due magiche creature fondono il loro potere generando una piccola e fugace scintilla di vita, ma perdendo, almeno in parte, la propria immortalità.
Si narra che per ogni piccolo nato da una tale unione una fata o un demone svanisca ed il suo potere non venga ereditato da alcuno ma si disperda nell'esile destino dei sogni degli uomini.

La leggenda vuole che quando due esseri opposti si uniscono ciò che nasce non sia più tanto magico quanto i suoi genitori: quello che nasce è solo un'uomo.




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