L'Incontro tra Trinity e Kadiya
Da ormai tre settimane io e la mia ciurma navigavamo senza avvistare nemmeno un misero lembo di quella terra che andavamo bramando.
Davanti a noi si stendeva placida e terribile l'acqua dell'oceano, interrotta nella sua immensità dalla linea dell'orizzonte che giorno dopo giorno offriva riparo a un sole stanco e impietoso.
Cominciava a vacillare in preda alla disperazione la fragile mente dei miei uomini: alcuni si strappavano i capelli urlando, altri si sparavano contendendosi gli ultimi sorsi d'acqua, altri ancora si tuffavano deliberatamente in mare ponendo fine alla loro sofferenza.
Niente era più lucido e sicuro per me: la mia stessa vita era nelle mani di un destino beffardo che con gli umori del dio Nettuno avrebbe tirato a sorte la mia esistenza.
Una mattina guardando verso l'alto, mi resi conto che qualcosa sarebbe cambiato: un cielo nero reso elettrico dai bagliori dei fulmini in lontananza, stava puntando minacciosamente verso la mia imbarcazione.
Fu una tempesta terribile, nulla potevamo contro la furia del vento e del mare.
Solo questo io ricordo dell'inferno che inghiottì per sempre il vascello e i miei uomini lasciando me, unica superstite, sfinita ma viva, su una terra sconosciuta.
Qui conobbi Kadiya.

Un regno lacerato da lotte intestine come puo' seguitare ad esistere? Come posso seguitare ad esistere io che sono in lotta continua con me stesso?

...il dissenso infuria nel mio cuore e l'anima se ne sente distrutta.

[Soren Kierkegaard, da " Diario del Seduttore"]