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Da ormai tre settimane io e la mia ciurma navigavamo senza avvistare nemmeno un misero lembo di quella terra che andavamo bramando.
Davanti a noi si stendeva placida e terribile l'acqua dell'oceano, interrotta nella sua immensità dalla linea dell'orizzonte che giorno dopo giorno offriva riparo a un sole stanco e impietoso.
Cominciava a vacillare in preda alla disperazione la fragile mente dei miei uomini: alcuni si strappavano i capelli urlando, altri si sparavano contendendosi gli ultimi sorsi d'acqua, altri ancora si tuffavano deliberatamente in mare ponendo fine alla loro sofferenza.
Niente era più lucido e sicuro per me: la mia stessa vita era nelle mani di un destino beffardo che con gli umori del dio Nettuno avrebbe tirato a sorte la mia esistenza.
Una mattina guardando verso l'alto, mi resi conto che qualcosa sarebbe cambiato: un cielo nero reso elettrico dai bagliori dei fulmini in lontananza, stava puntando minacciosamente verso la mia imbarcazione.
Fu una tempesta terribile, nulla potevamo contro la furia del vento e del mare.
Solo questo io ricordo dell'inferno che inghiottì per sempre il vascello e i miei uomini lasciando me, unica superstite, sfinita ma viva, su una terra sconosciuta.
Qui conobbi Kadiya.
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