La relazione ardoini |
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Il Gazzettino |
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cura di Roberto De Luca Pier Battista Ardoini, commissario di casa Doria in quel di Cremiasco, essendo morto il Governatore di Melfi Girolamo Chiavari, viene in data 20/5/1673 nominato dai Doria vice-governatore pro-interim dello Stato di Melfi. La relazione da cui sono tratte le pagine che parlano del nostro paese proviene dall’Archivio Doria-Pamphili in Roma ed è conosciuta dal nome dell’autore come Relazione Ardoini; essa costituisce il frutto di questa residenza melfitana. Pubblicata integralmente per la prima volta dalla Casa Editrice Tre Taverne[1], costituisce un testo molto interessante per tutti quelli che intendano approfondire la conoscenza delle realtà locali durante il viceregno spagnolo. Stilata nel 1674, essa descrive in modo dettagliato il Feudo di Melfi a quella data, con notizie storiche, sociali ed economiche riguardanti i singoli paesi. Noi pubblicheremo le pagine che riguardano Lacedonia, non prima però di aver sommariamente esposto le vicende che riguardano il Feudo di Melfi. I Doria vengono investiti del Feudo di Melfi con la donazione fatta da Carlo V a favore di Andrea Doria il 20 dicembre 1531 ed in Melfi resteranno come Baroni fino al 1806, anno di abolizione della feudalità, come punto e centro d’interessi economici fino al 1953, allorchè vennero espropriati dalle proprietà terriere, in applicazione delle Leggi di Riforma agraria. Nel corso dei secoli il Feudo passa dall’originaria estensione comprendente Melfi, Candela, Forenza e Lagopesole, alla realtà presente all’Ardoini, in cui in poco più di mezzo secolo i Doria, acquistando paesi vicini, aggiungono al Feudo le terre di Lacedonia (1584)[2], Rocchetta (1611), Avigliano (1612) e San Fele (1613). CEDONIA
Fu
diversità di pareri, qual doppo Melfi dovesse di queste terre del Stato
havere la precedenza fra loro, e non meno hoggidì resta decisa la
disputa. Pretese Cedonia come città dover ad ogn’altra
essere anteposta, e pare, che a questa l’accompagni la raggione e
l’opinione più comune. Avigliano non per questo si quieta intendendo come
diadema ducale d’essere a tutte preferto. Forenza e Candela con l’essere anch’esse al mero
Principato, e come corpo unito con questo si vantano più degne, e di
dover in conseguenza seguire il suo capo, che è Melfi. Chi di loro habbi ragione, non voglio Io esser Giodice. Parlerò bensì di Cedonia, perché mi torna
più a conto il discorso, e meglio mi riesce l’ordine, e questo sia
senza preggiudicare alle raggioni d’ogn’una. Non è dunque questa città come sopra si vede di
quelle che furono donate dall’Imperatore Carlo V, ma fu acquistato in
appo dell’anno. Questa compra in tanto fu fatta per l’utile del
reddito, che per l’avvicinanza di Melfi, benchè non sia così cospicua,
ma molto inferiore d’ogni
cosa. E’ pocho di sito, ma dalle vestigia apparenti
convien sia stata maggiore; è cinta di mura, ma sono poco forti, ha
cattivissimi casamenti e mal
composti e anche quello del Vescovo è poco buono. Fa da 1200 anime, et a pari dell’altre terre è più
tosto accresciuta che sminuita, et è numerata per fuochi 213, ma saranno
per verità da 250. Le persone son non del tutto civili, ma né tampoco
del tutto Rurali ed al pari delle
altre terre procedono meglio d’ogn’altra. La Chiesa Madre è fuori della città, ed è poco
ben tenuta, e dentro vi è una altra Chiesa in cui più sovente assiste il
Vescovo per la lontananza di quella. In questa chiesa
v’è sepolto vescovo Giacomo Candido di Ragusa 70 anni orsono[3]
che fu in concetto di santità. Vi è il suo cappello, che si conserva in
grande veneratione, et ha dato più segni di miracoli, particolarmente
quando alla città ha da succedere qualche travaglio, o pure al Regno. Vi è un castello per fuori, ma vicino alle mura ed
è di V.E., è assai antica e per accomodarlo bene da poterlo abitare vi
vorrebbe buona spesa, e serve quando il Governatore va alla visita, vi si
pongono dell’erarij i grani, che si raccogliono. L’aria non è stimata mala, ma neanche del tutto
perfetta, massime per l’acqua de quale sommamente penuria. E’ discosta 12 miglia da Melfi, 3 dalla Rocchetta,
ne più di sei da Candela; da Forenza miglia 28, così da San Fele ed
Avigliano da 30 circa. Vi risiede continuamente il Vescovo, ed il moderno
è messinese di casa Bartoli[4].
Questo fu prima del secolo amogliato, ed hoggidì ha
figli viventi, e fattosi poi per la morte della moglie sacerdote, fu fatto
vescovo in quella città. E’ un prelato d’ogni bontà e di ottime parti,
timorato d’Iddio a tutto potere caritativo alli poveri, esemplare
nell’operare, discreto nel parlare, e non vi èstato alcuno, che meco
non se ne sia lodato,et usque ad sidera l’habbi esaltato. Di V.E. è osservantissimo, et in ogni occorrenza
stimo possa promettersi, non mostrando egli maggiore ambitione che
d’incontrare le sodisfationi di V.E., e quello che promette ho visto che
l’attende, al contrario di qualche altro prelato. Non è d’intelletto molto sottile, né perspicace,
ma non già goffo, ed non ha tutta quella virtù ne scienza ma non è
tampoco ignorante. Detto vescovado gli rende da D.ti 800 annui, e vi ha
pensione di D.ti
ma è comoda di proprij beni per la voce che corre. Il territorio di detta città è montuoso, et assai
boscatico ma abondante di grano, vi nasce vino, vi sono frutti; pascoli
bellissimi per animali, tanto d’està che d’inverno e publici e
privati ed hanno Demanio, ma i migliori sono quelli di V.E., e questi
animali sono di gran sollievo al pubblico et al privato. Ben è vero ch al solito di Regno, quasi tutti detti
bestiami sono di Preti e Cappelle, quali più facilmente possono tenerli e
con maggior vantaggio e per le franchitie che godono di gabella, ed
altro.. Sono però di giovamento a V.E. perché le sue difese se non
crescono si mantengono e gli cittadini pur ne sentono ad custodirli e
recapitarli. E’ soggetta la città al Principato Ultra et
all’Audienza, che hoggidì si dimora in
Montefuscolo, e non è molto travagliata da detta Audienza si perché
non vi è occasione, che per essere quei cittadini assai docili et
mansueti, più amici del negotio e travaglio che dell’armi. Confina con Melfi, con Minteverde, che è del
Principe di Monaco, con Carbonara di Giov. Vincenzo Imperiale, e Bisaccia
del Duca di Cerignola di casa Pignatelli, e con Santagata del Conte di
Potenza di casa Loffredo, e con ognuno di detti confinanti si suole stare
e mantenersi di proprio senza intorbodare il vicino. <<<<<<<<>>>>>>> [1]Pier Battista Ardoini, Descrizione del Stato di Melfi, Casa Editrice “Tre Taverne” Lavello 1980. [2] Lacedonia venne ceduta dai baroni Pappacoda a Zenobia Doria nel 1584. [3] Candido Giacomo, vescovo di Lacedonia dal 6/11/1606 all’agosto 1608. [4] Bartolo Benedetto, vescovo di Lacedonia dal 12/9/1672 18/9/1684. |
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