Personaggi 

Tratto dal libro di Giacomo Acerbo “Tra due plotoni di esecuzione”

Acerbo, la legge delle probabilità 
e San Gabriele


In un alpestre anfiteatro dell'Abruzzo teramano, ai piedi della gigantesca Parete del Gran Sasso rivolta con ripidissime balze verso il non lontano Adriatico, sorge un santuario che è meta di incessanti pellegrinaggi di folle supplicanti, di anno in anno sempre più numerose e ferventi.
Vi si venerano le spoglie di San Gabriele dell'Addolorata passionista, proclamato principale patrono dell'Abruzzo ed accompagnato a S. Luigi Gonzaga nella protezione di tutta la gioventù italiana.
Le novelle generazioni della mia stirpe aspiravano da tempo, sia pure vagamente, ad un alleato ed intermediario celeste più intimamente connaturato alla trasformata loro composizione sociale e meglio rispecchiante le fresche aspirazioni; un santo non di vittoriose battaglie o di grandiose costruzioni, ma d'ineffabile pietà religiosa, di purezza di costumi e di umiliate virtù. Lo ha trovato in Francesco Possenti un giovinetto di distinta famiglia umbra che a diciotto anni, nel 1856, chiamato da una divina apparizione, abbandonava agi e speranze mondane per rifugiarsi nell'ermo ritiro claustrale di Isola del Gran Sasso dove, trascorsi poco più di due anni, col nome di Gabriele dell'Addolorata assunto nel noviziato, in solitarie preghiere e contemplazioni ascetiche nelle assidue veglie di una gelida cella, si spegneva consunto dal mal sottile di cui il suo immacolato corpo, emaciato dalle mortificazioni di maceranti sofferenze, fu preda precoce. L'angelicó esempio della sua fugace esistenza terrena e le testimonianze di numerosi miracoli lo esaltavano agli onori dell'altare il 13 maggio 1920.
Orbene successe che alla solennissima cerimonia della canonizzazione intervenisse, guidando una compagnia di conterranee, anche la mia venerata madre, devotissima del beato e del luogo del suo culto. In quei giorni era ancora vivente un fratello del novello santo, il dott. Michele Possenti, un vivacissimo ultraottantenne, di idee non molto concordanti, almeno apparentemente, con quelle di Gabriele, Egli volle recarsi a salutare mia madre nell'albergo ove era alloggiata. Figurarsi la commozione della pia signora: «Beato voi» - Con questa esclamazione accolse il visitatore - «Beato voi che andrete di certo in Paradiso! ». Ma il dottor Michele non sembrò condividere siffatta sicurezza, tanto che richiese in tono scettico: «Ma perché?» - «Perché?» - replicò meravigliata mia madre - «E me lo domandate? Ma ve ne aprirà le porte vostro fratello». Non bastò nemmeno l'empirca visione a quietare i dubbi del dottore che ne volle spiegare la ragione: «Cara signora, secondo la legge delle probabilità, se di due fratelli uno è asceso in paradiso, l'altro dovrebbe andare diritto all'inferno ». Era manifesto che con simili spiritosaggini troppo ostentate egli cercava di nascondere a se stesso ed agli altri la propria commozione.
lo che ero presente, e fin d'allora noiosamente saccente, volli intromettermi, principalmente per alleggerire l'imbarazzo di mia madre: «Il vostro ragionamento, egregio dottore, è erroneo da cima a fondo, poiché la legge delle probabilità non deriva da un'inoppugnabile equazione di valore universale, anzi cosmogonico, bensí promana da una mera convenzione statistica». Ma il vispo don Michele non ne parve convinto.
In appresso ho sempre mantenuto cordiali rapporti con i monaci del santuario, e quando ne ho avuto possibilità ho reso qualche modesto servigio alla loro comunità.
Di certo essi lo ricordavano se nel 1944, infuriando la guerra in Abruzzo, in uno sfacelo orribile di cose e di tradizioni, e vagando io alla macchia inseguito da una condanna a morte prontamente eseguibile, il padre rettore cercò di farmi sapere che se fossi riuscito ad arrivare da loro vi avrei trovato un asilo sicuro. Sorprendente appare a chi fu testimone della drammatica confusione che in quei mesi regnava nelle nostre contrade la rapidità con cui il messaggio orale mi venne recapitato. Il rettore ne aveva commesso l'incarico ad un mio amico di Penne, gestore di un servizio locale di autolinee che era riuscito a nascondere nell'interno del chiostro le vetture sottratte alle requisizioni tedesche, e vi si recava ogni tanto con somma precauzione. Egli la sera stessa ne informò il direttore dell'ospedale di Penne, che subito accorse nella vicina Loreto Aprutino dove, confinata nella mia casa nativa, era voluta restare mia moglie, nonostante che gli accaniti bombardamenti aerei americani facessero frequenti eccidi di centinaia di cittadini. Ella a sua volta dette pronte istruzioni al già menzionato fido colono, l'unico che conoscesse i miei frequenti spostamenti e i temporanei rifugi, il quale, seguendo un tortuoso circospetto cammino, mi raggiunse in uno sperduto casolare nelle piane del Pescara. Non erano passate 48 ore, e l'invito dei fratelli di S. Gabriele mi era pervenuto.
Ma io non mi trovavo in condizioni di accoglierlo. Avrei dovuto percorrere a tappe quasi cento chilometri, per aspri sentieri, sempre di notte nelle critiche ore del coprifuoco, a piedi e in malcerte direzioni dell'aperta campagna discoste anche dai viottoli pedonali, e per di più in una stagione continuamente nevosa. Il rischio appariva grande e la fatica sarebbe stata insostenibile. Vi dovetti rinunziare; e così la prima serie delle mie grevi peregrinazioni si protrasse in una catena d'incredibili turni per altri tre anni ancora.
Appena recuperai la libertà e fui ritornato in Abruzzo, mi feci obbligo di recarmi a Isola del Gran Sasso per esprimere a quei padri la mia commossa riconoscenza. Reggeva ancora il rettorato il religioso che si era ricordato di me in quei terribili frangenti; e a lui spiegai i motivi per i quali non avevo potuto rispondere al suo generoso invito che per me avrebbe rappresentato la quasi certezza di scampare da una morte orrenda, e un riposante rifugio in attesa di migliorati eventi. Può darsi che io mi dilungassi un pò troppo nelle effusioni di gratitudine se a un certo momento il tozzo frate, un pò strabico, ammiccandomi da dietro gli spessi occhiali con aria di perfetta intesa, m'interruppe dicendo: « Ebbene sarà per un'altra volta».
Egli conosceva l'episodio del dottor Possenti, sicché potei prontamente ribattergli: « No, reverendo padre, non è cosí. In omaggio alla legge delle probabilità citata dal fratello di S. Gabriele, la prossima volta io non sarò lepre, ma cacciatore! ».
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