Lacrimae Rerum


 

Senza innovazione.

Su “il Sole 24ORE, 11 Agosto 2000, è apparso un articolo dal titolo: “Senza innovazione”.  L’articolo prende le mosse dall’indagine annuale di Mediobanca sullo stato delle imprese italiane.  Le conclusioni non sono dissimili da quelle che si possono trarre da analoghe indagini dell’Ocse o della Ue. Le nostre imprese soffrono di un inarrestabile calo di competitività.  In altre parole vanno incontro ad un futuro in cui molte di esse scompariranno con ben poche prospettive che altre nuove nascano. Davanti a questa prospettiva anche gli gnomi della finanza lanciano un grido d’allarme e si decidono ad entrare in aspetti tecnici che di solito dimenticano ed anche disprezzano.  Ligi al principio che produrre patatine fritte oppure computer è una scelta da fare esclusivamente sulla base delle prospettive di guadagno, essi hanno predicato per decenni il principio della totale indifferenza davanti ai problemi tecnici ed ai progressi generati dall’innovazione scientifica e tecnologica. Chi insegna ai giovani economisti come fare per trarre vantaggio dalla chiusura delle aziende raramente si interessa di che cosa producono le aziende che essi, con lauti stipendi, amministrano e dirigono. Ma ora invece si vorrebbe guardare dentro la natura del lavoro e ci si accorge oibò che esso ha pochissima innovazione e che in altri paesi l’innovazione invece esiste e svolge un ruolo anche economico di grandissima importanza.

In Italia l’intromissione degli amministrativi nella gestione anche tecnica delle aziende ha raggiunto livelli patologici esautorando completamente i tecnici da ogni potere decisionale.  Tecnici che poi si vedono addossare le responsabilità del fallimento delle aziende interamente gestite dalla consorteria degli amministrativi.

Ma il fallimento, ancora occultabile, della nostra industria, grande media o piccola che sia, comincia a presentarsi come prospettiva di una nostra prossima crisi non imputabile a condizioni internazionali e quindi indiscutibilmente originata da cause tutte interne.  E’ per questa ragione che possono apparire su un giornale come il Sole24ORE articoli come questo di Mario Guerci, che dice: “Quest’anno però vi è una vera diversità ed emerge un fattore al quale finora si è prestata troppa scarsa attenzione: l’innovazione tecnologia. Troppo spesso ci si è illusi che l’ingegno italico, la nostra capacità di approcciare clienti anche lontani, qualche bravura di marketing, certe innovazioni organizzative e persino la qualità di talune produzioni e soprattutto le continue svalutazioni competitive potessero bilanciare la scarsità delle nostre capacità tecnologiche. I fatti dimostrano che non è così e che la povertà tecnologica delle nostre imprese sta diventando un fatto drammatico.  In sostanza per Guerci le nostre chiacchiere, unite ad una buona qualità dei nostri prodotti, sopperivano al fatto che producevamo cose vecchie con tecnologie produttive superate. Guerci dimentica l’offensiva giudiziaria di mani pulite che tolse alla nostra forza di vendita l’impiego persuasivo delle tangenti, l’ungere le ruote secondo la dizione americana. In realtà ci si dimentica che la stessa ricchezza tecnologica è di per se un grande fattore di marketing e di propaganda.
Ma quali sono le cause di tanta povertà tecnologica ?

Le cause sono molte, ma tutte ben radicate nella nostra cultura in questo mezzo secolo seguito alla seconda guerra mondiale. Per primo viene la convinzione errata dei nostri industriali di arricchire principalmente non pagando chi lavora per loro.  Sino ad ora i sindacati hanno posto un freno a questa tendenza, che poi è un suicidio per la stessa classe imprenditoriale a causa della ridotta espansione dei consumi. L’arrivo di un fiume di lavoratori stranieri, ricattabili sino a che non sono in regola, riaccende nei nostri industriali la speranza di riprendere alla grande lo sfruttamento del lavoro con retribuzioni da fame. Ma anche durante i tempi eroici del sindacalismo i sindacati non mossero un dito contro lo sfruttamento del lavoro di progettazione e di ricerca. Anzi spesso furono ostili agli uffici studi finendo col favorire la dipendenza delle aziende italiane da licenze acquisite all’estero a caro prezzo. Quindi non pagando chi svolgeva lavoro di progetto e ricerca svolto in Italia, non abbiamo più progettisti e ricercatori. I pochi rimasti o sono all’estero o lavorano per società estere.

Poi viene la convinzione che lo studio, la ricerca e la progettazione siano aspetti del tutto secondari rispetto ai problemi di produzione, di organizzazione e di vendita.  Questa convinzione, insieme a quella che riserva un ruolo secondario alla scienza ed alla tecnica, ha in Italia radici antiche e prestigiose poiché può invocare a suo sostegno persino la filosofia di Benedetto Croce.

Infine viene l’ostilità preconcetta verso qualsiasi forma di tecnocrazia per cui si preferisce avere dirigenti tecnicamente incompetenti ed anche un po’ corrotti, e quindi più malleabili, piuttosto che avere personaggi rigidamente ancorati alle indiscutibili ragioni della scienza e della tecnica.

Guerci prosegue cercando poi di attenuare la sua profezia di sciagura:

Ovviamente questa mia diagnosi è una generalizzazione, ma se escludo i casi di imprese come Stm, altre aziende del gruppo Finmeccanica, attività del gruppo Telecom (in particolare Cselt), società del gruppo Fiat e il Crf Fiat, e Pirelli non riesco a vedere molto di più a livello di imprese maggiori.  Per trovare … qualche cosa di valido si deve regredire a dimensioni di impresa media o piccola-media, ma in questo caso le innovazioni hanno corto respiro perché assai raramente riescono a tradursi in business consistenti e sostenibili nel tempo.

La seconda parte è perfettamente condivisibile, ma non altrettanto si può dire per la prima, dove vengono elencate alcune aziende che, secondo Guerci, sarebbero eccezioni al nostro non fare ricerca.

La prima azienda citata, la Stm, lavora benissimo ed è vincente a livello mondiale nel settore di particolari circuiti integrati di potenza. La Stm deriva dalla SGS di Agrate, in Europa una delle prime aziende ad entrare nel campo dei microprocessori.  Dopo la fusione con la Thompson francese assunse una dimensione di azienda mondiale in particolari settori dei componenti elettronici.  Essendo per il 50% di proprietà IRI e il restante 50% della società industriale statalizzata francese, potrebbe essere penalizzata dall’attuale ossessione italica di privatizzare.

Per le altre società citate da Guerci si deve rilevare che sono tutte in corso di abbandono della ricerca o già del tutto uscite dal settore. Infatti le aziende della Finmeccanica sono in corso di privatizzazione con la conseguente chiusura del settore ricerca. In particolare l’Alenia-Spazio è in corso di cessione e di smembramento con cessione forse ai francesi. Il laboratorio di Nerviano per sistemi ottici è stato chiuso.  Il settore ricerca dell’Italtel è stato venduto alla Cisco americana che opera a livello mondiale nella costruzione di reti in fibra ottica per Internet.

Per quanto riguarda lo Cselt della Telecom esso è stato in parte venduto all’americana Agilent (HP).  Si deve osservare che si tratta di un laboratorio che non ha mai brillato per realizzazioni con reali sbocchi industriali. Il Centro Ricerche Fiat (Crf) non ha mai concluso nulla se non raccogliere soldi dalla Ue per ricerche inconsistenti.  E’ una sorta di cimitero degli elefanti dove personaggi in disuso scrivono memorie sui più disparati argomenti tecnico-scientifici. Con l’arrivo della General Motor molto probabilmente anche tutto il settore di progettazione auto verrà coordinato in una sola grande struttura di ricerca, sviluppo e progetto, con l’ovvio risultato di ridurre, se non addirittura chiudere, questo settore della Fiat.

Resta infine la Pirelli che aveva messo in piedi un ottimo laboratorio di ricerca e sviluppo nel settore delle fibre ottiche.  Dall’inizio dell’anno il laboratorio Pirelli per le fibre ottiche è stato ceduto alla già citata Cisco per la modica cifra di 4000 miliardi.  Si è trattato di un bel successo economico con il tripudio della squadra di economisti bocconiani che domina anche in Pirelli.  Il successo pare non tradursi in un rilancio della ricerca in Pirelli.  Al contrario il capitale (in azioni) conquistato sembra aver messo le ali a chi vorrebbe rilanciare alla grande attività speculative.

In conclusione si deve dire che il pur molto meritevole articolo di Carlo Mario Guerci ha da essere corretto con una variante molto più tragica..

 

Prof. Raffaele Giovanelli