Lacrimae Rerum


 

 

LACRIMAE  RERUM

E' la percezione dello scorrere muto del tempo e delle tracce che la vita lascia nelle cose che ci sono attorno.  Si potrebbe dire che la passione per l’Archeologia è una sorta di bisogno di scoprire le lacrime del tempo andando a rintracciarle incrostate sulle cose, nelle fessure dimenticate, negli angoli dove non sono state cancellate.

 Il concetto è stato espresso da Lucrezio nel De Rerum Natura, il grande poema latino nel quale è stato condensato il sapere scientifico dell’epoca classica riguardante tutte le cose, da quelle più piccole a quelle più grandi sino a quelle immense come l’Universo stesso.  Oltre alle cose inanimate nel poema di Lucrezio si parla anche della vita, degli animali, delle piante e del miracoloso risveglio della primavera.

Pur contestando la religiosità ottusa del popolo Lucrezio mostra una sua profonda religiosità che pone Venere al centro dell’esistenza di tutti gli esseri viventi. Venere è la natura naturans, l’essenza stessa del divino che porta la vita nel mondo.

Il processo logico utilizzato da Lucrezio è ricco di risultati scientifici.  Questi risultati non sono stati sufficientemente apprezzati dai letterati che da alcuni secoli occupano compatti l’interpretazione autentica della cultura classica.  Lucrezio arriva ad affermare che nel vuoto tutti i corpi debbono cadere con la stessa velocità non essendoci l’aria che oppone una diversa resistenza. Per affermare ciò in modo scientifico bisognerà attendere Galileo, che disporrà di una macchina per fare il vuoto in un tubo di vetro.

In queste riflessioni, divulgate via internet, si vuole rileggere l’evoluzione dei concetti che si sono formati attorno ai fatti naturali ed alla loro interpretazione.  Si vedrà come l’enorme quantità di conoscenze specifiche e particolari, delle quali oggi disponiamo, non abbia accresciuto di molto la nostra effettiva conoscenza del reale e fornito risposte alle domande attorno alla vita ed alla morte.

Da Parmenide di Elea ci sono pervenuti frammenti di un’opera sulla Natura. Opera che, scritta nel VI secolo a.C., andò perduta tra il VI e VII secolo, quando gran parte delle opere del periodo classico venne distrutta nella dissoluzione dell’Impero Romano d’Occidente. I frammenti ci sono pervenuti grazie alle citazioni fatte da altri autori le cui opere hanno avuto invece la fortuna di salvarsi. In tutto si tratta di circa 160 versi, che rivestono grande importanza nella storia del pensiero scientifico moderno al punto che anche Karl Popper si dedicò alla loro interpretazione.  Probabilmente ciò che si è salvato è proprio solo ciò che meritava di essere letto e quindi la fama di Parmenide ne ha tratto vantaggio. Il suo pensiero è almeno paradossale.  Commentandolo Aristotele disse: ”pensare così sembra prossimo alla follia”.  Eppure sembra che a Parmenide  debba risalire il concetto di equazione, ovvero l’eguaglianza di due proposizioni, da cui nasce la possibilità di calcolare un termine incognito.  L’essere è,  e ciò che è è l’essere.  Tutto è immobile e le mutazioni sono solo apparenza.

Isaac Asimov, il celebre scrittore di fantascienza, prima di morire insiene alla moglie Janet scrisse un libro sulle nuove frontiere della Scienza.  Il libro venne pubblicato nel 1993 da Janet Asimov con il titolo Frontiers II.  Il contenuto spazia in tutti i campi nei quali le attuali conoscenze scientifiche si stanno espandendo.  Ma il lettore non specialista non ricava una effettiva comprensione del reale nel quale la sua vita appare confinata.  Molti fatti, molte spiegazioni di quei fatti non sempre esaurienti, molta confusione e nessuna giustificazione epr la notra temporanea esistenza.

Tra il libro degli Asimov e quello di Parmenide sono trascorsi circa 2500 anni.

In mezzo c’è il cristianesimo il cui ruolo nel progresso della Scienza è controverso. Cerchiamo di capire che cosa è successo.