Questo articolo è stato occasione di un cordiale scambio di vedute tra l'autore Walter Belloni e Giorgio Vizioli Direttore del Centro Informazioni Champagne per l'Italia. L'oggetto del contendere è l'appartenenza al popolo che ha ideato le tecniche che poi hanno condotto alla produzione degli spumanti. A noi che beviamo può solo far piacere che entrambi i prodotti siano così squisiti.... ma è istruttivo leggere delle rispettive posizioni.
di Walter Belloni di Giorgio Vizioli

Spumante : tra Leggenda e Storia
di Walter Belloni

Un luogo comune discretamente diffuso anche tra le persone appassionate di vino, è la convinzione che lo spumante sia stato inventato dai Francesi. Questo forse per la fama acquistata dallo Champagne e per l’indubbia bravura dei francesi nel marketing. Quindi cercheremo in questo articolo di fare un po’ di chiarezza nella storia dell’evoluzione dello spumante.


LE PRIME TRACCE STORICHE DELLO SPUMANTE
Le prime tracce del prodotto con le bollicine le troviamo nel Libro dei Salmi (scritto circa nell’anno 1000 a.C.) in cui il creatore viene rappresentato con in mano una coppa che potrebbe essere piena di spumante!! La seconda importante traccia la si trova nell’Iliade ( attorno al IX secolo a.C.) in cui Omero descrive, nel XVIII libro, parlando delle raffigurazione sullo scudo di Achille, dei contadini che si rifocillano da un “nappo spumante di dolcissimo bacco”.

Giungiamo quindi in epoca romana in cui abbiamo ampie e dettagliate descrizioni sulla produzione e il consumo di vini spumanti che, pare, andassero molto di modo tra i romani dell’epoca. Tra gli autori, che nei secoli a cavallo della nascita di Cristo, hanno testimoniato del successo, e perché no, del loro amore per questo prodotto, vanno sicuramente citati Virgilio (nell’Eneide e nelle Georgiche), Properzio (nelle Elegie), Lucano (in Farsaglia, Bellum civile) e Columella. Nei loro scritti (ma anche nel linguaggio comune dei Romani) compare spesso, nella descrizione di taluni vini, la parola spumante o l’utilizzo di altri termini quali saliens, titillans, spumans, spumescens, vocaboli utili a loro per evidenziare caratteristiche peculiari dei vini di questa tipologia e a noi per dimostrare come già a quei tempi, anche se con tecniche ben diverse dalle attuali, venivano prodotti vini spumanti (in realtà si dovrebbe parlare più correttamente di vini frizzanti).

LE TECNICHE PRIMORDIALI
Tra questi vini con le bollicine particolare successo riscuotevano quelli denominati aigleucos e acinatici. I primi erano ottenuti ponendo il mosto, particolarmente ricco in sostanze zuccherine, in anfore rese impermeabili con pece e successivamente calate in acque fredde (soprattutto di pozzi profondi) per rallentare al massimo la fermentazione e disporre così della frizzante bevanda per un periodo più lungo. A Pompei è stata rinvenuta una cantina avente un cunicolo di terracotta attraversato in continuazione da acqua fredda, nella quale venivano disposte le anfore contenenti il mosto in lenta fermentazione. La tecnica è simile (pur con attrezzature e modalità d’attuazione ben diverse) a quella utilizzata oggigiorno per la produzione, ad esempio, del Moscato dell’Oltrepò Pavese e dell’Asti spumante, per cui, a buon diritto, può essere considerata il primo spumantificio della storia. 

L’acinatico era prodotto con tecnologia non diversa da quella appena descritta, ma differiva dagli aigleucos perché il mosto era ottenuto da uve appassite (quindi con notevole presenza zuccherina). Questo mosto poteva essere utilizzato da solo per la produzione del vino oppure serviva per la rifermentazione di vini tranquilli. Questo è il metodo di spumantizzazione, ad esempio, del mitico Falernum (citato da Lucano) per l’ottenimento del quale si aggiungeva al vino base il mosto di uve appassite di una varietà denominata Meroe, originaria dall’Etiopia. L’acinatico è citato da Ulpiano (III sec. d.C.) e soprattutto da Cassiodoro (c. 490-585 d.C.), un autentico esperto degli acinatici veronesi (i moderni Recioto e Amarone) e trevisani (il Torchiato di Fregona). 

I Romani, quindi, conoscevano molto bene la tecnica della rifermentazione programmata per l’ottenimento di vini con le bollicine, e non solo con le modalità sopra descritte ma anche attraverso, ad esempio, l’utilizzo di mosti concentrati. Columella (I sec. d.C.) descrive in dettaglio la produzione del defrutum e della sapa, mosti che venivano concentrati con l’ebollizione, per evaporazione dell’acqua, sino al 50% o a 1/3. Successivamente, tali mosti concentrati erano aggiunti al mosto in fermentazione per incrementare il grado alcolico oppure utilizzati per ottenere una rifermentazione. 

LO SPUMANTE ATTRAVERSA LA STORIA 
Dopo la caduta dell’impero romano seguono i secoli bui delle invasioni barbariche e un lungo periodo di decadenza anche per la coltivazione della vite, che trova unico ma confortevole rifugio nei monasteri, i quali devono produrre il vino almeno per le celebrazioni religiose. Anche nel fosco Medioevo si possono comunque ritrovare citazioni del vino in bollicine, come, agli inizi del XII° secolo, nel libro Regime Sanitatis della celebre (per la formazione scientifica e medica) Scuola Salernitana oppure presso altre fonti dove venivano citati i frizzanti dell’abbazia benedettina di St. Ilaire, nel sud della Francia, o quelli toscani (probabilmente a base Trebbiano) di Montecarlo e Pescia.

L’epoca successiva rappresenta un vero e proprio Rinascimento anche per il vino; d’altro canto in un tempo che riportava in auge il piacere e la qualità della vita come poteva mancare uno degli ingredienti insostituibili della stessa, come il vino, e in particolare il frizzante, o meglio il vino mordace, piccante, razzente, come veniva chiamato a quell’epoca? In questo periodo i riferimenti ai vini con le bollicine provengono principalmente da scritti di medici quali Fracastoro, Pisanelli, Conforto e soprattutto il Bacci, tutti concordi (a eccezione del Conforto) a descriverne gli effetti benevoli di un loro moderato consumo per la salute e per lo spirito. Fu sempre durante il Rinascimento che si iniziò a utilizzare il termine ispumante per definire con precisione il vino con le bollicine. 

Durante la seconda metà del XVII° secolo altri importanti personaggi dell’epoca citarono nelle loro opere questo vino vivace, in particolar modo vanno ricordati Francesco Redi (1626-1698) e padre Rodolfo Acquaviva (1658-1729). Se il primo dipinse con lodi nel suo Bacco in Toscana il Moscadello di Montalcino, fu soprattutto il secondo, gesuita in Montepulciano, che con un suo poemetto descrisse in dettaglio l’arte di produrre il vino presso i viticoltori della zona, evidenziando come già a quei tempi fossero diffuse pratiche quali la selezione dei grappoli e la cimatura, la macerazione carbonica (o qualcosa di molto simile a essa), la rifermentazione con mosto da uva cotta (della varietà Lambrusca) con l’indicazione delle esatte proporzioni tra uva e mosto concentrato. 

L'IDEA DELLA RIFERMENTAZIONE IN BOTTIGLIA
Nella stessa epoca ritroviamo in Francia, presso l’abbazia di Hautvilers, un altro religioso, il benedettino Dom Perignon, al quale comunemente si fa risalire l’invenzione della spumantizzazione con rifermentazione in bottiglia. Se in realtà sia stato questo frate oppure altri suoi confratelli, che lavorarono presso la cantina dell’abbazia, ad adottare e perfezionare tale tecnica non è tanto importante quanto la precisazione che in ogni caso lo spumante era prodotto, come in Italia, per rifermentazione di un mosto dolce, dato che fino al tempo di Napoleone III (metà del secolo scorso) veniva usato raramente lo zucchero, dati gli elevati costi di estrazione, come liqueur de tirage. Anche con l’utilizzo di bottiglie in vetro resistenti all’alta pressione e con tappi di sughero, numerosissimi erano i casi di scoppio di bottiglie sia per difetti di fabbricazione dei contenitori che per la non conoscenza dell’esatto contenuto zuccherino del liquido in rifermentazione.

L'EVOLUZIONE DELLA TECNICA
Fu a seguito, durante il secolo scorso, degli studi di Monsieur François e soprattutto di Pasteur che furono chiariti i meccanismi fermentativi del mosto e la creazione delle bollicine, e individuando così le corrette operazioni da porre in atto per l’ottenimento del desiderato spumante, anche se altri studiosi italiani, quali il conte Vincenzo Dandolo e il marchese Cosimo Ridolfi erano giunti, per via più empirica, a precisare il metodo di preparazione di questi vini. 

Non da ultimo va ricordato l’importante contributo fornito da un altro italiano, il Martinotti, che al termine del secolo scorso perfezionò la metodologia della spumantizzazione attraverso la rifermentazione in autoclave, allo scopo di ottenere spumanti con una procedura meno onerosa e più rispettosa delle doti aromatiche delle uve di partenza. Questa modalità di elaborazione è spesso e ingiustamente riconosciuta come metodo Charmat, dal nome dell’ingegnere francese che diffuse le autoclavi. 

GIUSTIZIA STORICA
Sulla base di prove documentali scritte si può affermare come, seppur con risultati finali forse meno esaltanti di quelli odierni, i veri inventori della rifermentazione programmata siano stati non i Francesi ma i Romani: nel corso dei secoli tali tecniche furono continuamente perfezionate sino alla rifermentazione in bottiglia (i Romani, similmente, utilizzavano le anfore) e infine in autoclave. Persino dal punto di vista viticolo, importante fu il contributo romano e italico nell’individuazione delle varietà più idonee alla spumantizzazione: lo stesso Pinot Nero era conosciuto ai tempi dei Romani come Helvinus minusculum. Quindi il detto “Diamo a Cesare ciò che è di Cesare” mi sembra molto adatto per commentare questa raccolta d’informazioni….