M. T. Cicerone

Orazione per le province consolari


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De provinciis consularibus

Traduzione

I. 1. Se qualcuno di voi, o senatori, è ansioso di conoscere il mio parere sull'assegnazione delle province, domandi anzitutto a sé stesso quali uomini io ritenga doveroso richiamare in patria; non avrà alcuna incertezza circa i sentimenti dai quali io devo necessariamente essere ispirato. E se fossi il primo ad avanzare la proposta, voi esprimereste il vostro plauso, non c'è dubbio; se fossi il solo, avrei sicuramente la vostra comprensione. E anche se la proposta vi sembrasse meno utile di quanto la giudichi io stesso, concedereste una certa attenuante al risentimento personale che mi ispira. In questo momento, o senatori, io sto provando una grande soddisfazione, da un lato perché è nell'interesse dello Stato che Siria e la Macedonia vengano attribuite per decreto, in maniera tale che il mio rancore personale non sia assolutamente in contrasto con il bene della repubblica; d'altra parte ho come punto di riferimento P. Servilio, il quale prima di me ha già presentato la sua proposta. Egli è una persona davvero eccezionale e degna di ogni rispetto, non solo per il suo singolare attaccamento allo Stato, ma anche alla sicurezza della mia persona.

2. Se egli poco fa, e ogni volta che gli è stata offerta l'occasione e la facoltà di prendere la parola, ha ritenuto giusto bollare con un marchio d'infamia, sia con il suo voto sia con parole cariche di autorevolezza, Gabinio e Pisone, due mostri funesti per lo Stato, per vari motivi, ma specialmente per la loro ben nota scelleratezza, ed anche per la crudeltà dimostrata nei miei riguardi, quale atteggiamento dovrei assumere verso di loro io, dopo che essi non esitarono a consegnare la mia stessa vita come merce di scambio, pur di soddisfare le loro ambizioni? Ma, presentando la mia proposta, io non mi lascerò trascinare dal risentimento personale, non darò ascolto all'ira che pur cova dentro di me; avrò nei loro riguardi lo stesso stato d'animo in cui dovrebbe trovarsi ciascuno di voi. Quel mio sentimento profondo e del tutto personale di rancore, che voi avete ritenuto giusto condividere con me, io lo lascerò da parte nell'esporre le mie idee, riservandolo al momento opportuno per la mia vendetta.

II. 3. Quattro sono le province, o senatori, intorno alle quali, credo, sono state espresse varie opinioni; anzitutto le due Gallie che noi in questo momento vediamo riunite sotto una sola amministrazione, ed inoltre la Siria e la Macedonia, le quali, mentre voi eravate contrari e sottoposti ad una vera e propria opera di costrizione, furono occupate da quei due consoli, quale premio per aver mandato in rovina la repubblica. Noi dobbiamo ora assegnare due province in base alla Legge Sempronia. Abbiamo forse qualche motivo di incertezza per quanto riguarda Siria e Macedonia? Non voglio rammentarvi che, coloro i quali ora le amministrano, le hanno ottenute, tenendole tuttora saldamente in loro potere, non vi hanno avuto accesso prima di aver condannato questo nostro ordine senatorio, distrutta ed eliminata la vostra autorità da questa città, messa in crisi la  pubblica fiducia, scossa la incrollabile sicurezza del popolo romano, dopo aver infierito nei miei confronti e nei confronti dei miei cari con le angherie più crudeli.

4. Tralascio tutte le violenze commesse nelle abitazioni e in tutta la città, che sono così numerose che persino Annibale non desiderò mai tanto male per questa città, quanto ne hanno fatto essi. Inizierò il discorso parlando proprio delle province. La Macedonia, una di queste, che un tempo era protetta non da fortezze, ma dai trofei di una moltitudine di generali, e che già in passato era stata pacificata in seguito a molte vittorie e molti trionfi, ora è sottoposta a vessazioni tali, da parte dei barbari, che i Tessalonicesi, pur collocati nel grembo protettore della nostra amministrazione, hanno abbandonato la città e sono costretti a rafforzare la loro rocca, tanto che quella nostra famosa via militare che si snoda attraverso la Macedonia fino all'Ellesponto, non solo è sottoposta alle incursioni dei barbari, ma è anche costellata e punteggiata di accampamenti Traci. In seguito a ciò, quelle popolazioni, le quali, al fine di godersi la pace, avevano consegnato nelle mani del nostro illustre comandante una ingente quantità di argento, con la speranza di riempire le loro case svuotate, in cambio di una pace comperata col denaro ci hanno portato una guerra direi quasi del tutto legittima.

III. 5. Purtroppo, ormai il nostro meraviglioso esercito messo insieme con una disciplina estremamente severa ed un rigido regolamento, è andato completamente disperso; dico questo con grande rammarico, vi assicuro. I soldati del popolo romano sono stati in parte fatti prigionieri, in parte uccisi, dispersi, abbandonati a sé stessi, o periti a causa della fame, l'incuria, le malattie, la desolazione dei luoghi, per cui le scelleratezze del loro comandante, fatto estremamente riprovevole, sembra che siano state espiate con la punizione dei soldati. E intanto noi cercavamo di proteggere questa Macedonia, dopo che le popolazioni confinanti erano state domate, ricacciati indietro i barbari; questa Macedonia pacifica e tranquilla grazie ad un modesto presidio di un esercito abbastanza esiguo e con il contributo di legati privi di autorità, ma sempre nel nome del popolo romano. Questa Macedonia, ora, è sottoposta al dominio di un console e del suo esercito, subendo angherie tali per cui ben difficilmente potrebbe rimettersi in sesto, sia pure con una  lunga pace. E nel frattempo, chi di voi non è venuto a conoscenza di questi fatti, chi ignora  che gli Achei stanno versando ogni anno una somma considerevole nelle mani di L. Pisone? Che tutte le tasse ed i dazi portuali degli abitanti di Durazzo sono confluiti nelle casse personali di quest'unica persona? Che la città di Bisanzio, molto leale nei vostri confronti e di questo nostro governo, è stata sottoposta a vessazioni pari a quelle delle città nemiche? E in quella città, dopo che quell'uomo non è riuscito a sottrarre più nulla a coloro che erano già in povertà, nulla estorcere neppure con la forza a quegli sventurati, ha sistemato i soldati nei quartieri invernali, ha messo loro a capo alcuni loschi individui che egli ha ritenuto sarebbero stati i più zelanti esecutori delle sue malefatte, i devoti ministri della sua cupidigia.

6. Non voglio parlare della sua arbitraria amministrazione della giustizia in una città libera, con il disprezzo delle nostre leggi e dei decreti del Senato. Taccio degli omicidi, sorvolo sulle sue sfrenate passioni, di cui rimane una prova tangibile a perpetuo ricordo della sua dissolutezza, nell'odio quasi del tutto giustificato verso la nostra amministrazione. E' noto, infatti, che delle fanciulle di famiglia nobilissima si gettarono in un pozzo, cancellando così la loro inevitabile vergogna con la morte volontaria. Né io trascuro questi episodi, perché non sarebbero molto gravi, ma perché in questo momento io parlo senza avere una prova concreta fra le mani.

IV. Che la città di Bisanzio fosse disseminata e adorna fino all'inverosimile di statue, c'è qualcuno che lo ignori? Quegli abitanti di Bisanzio, pur esausti per le ingenti spese di guerra, mentre sostenevano gli attacchi violenti di Mitridate e tutto il Ponto in armi, che ribollendo come un'ondata si infrangeva contro l'Asia e vi si rovesciava come se uscisse da una enorme bocca, respingendolo e fermandolo con le loro stesse forze, ebbene,  proprio in quella occasione, come si ripetè anche in seguito, quegli abitanti - ripeto - protessero con estrema cura le statue e tutti gli altri ornamenti della loro città.

7. Invece sotto il tuo disastroso governo, o Cesonino Calvenzio, una libera città, mantenuta libera sia dal Senato sia dal popolo romano in virtù dei suoi eccellenti servigi, fu completamente saccheggiata, tanto che se non fosse intervenuto il legato C. Virgilio, persona di grande energia e rettitudine, ai cittadini di Bisanzio, di un numero così elevato di statue, non ne sarebbe rimasta più neppure una. Quale tempio, in Acaia, quale luogo o bosco sacro in tutta la Grecia, nonostante fosse degno di un così religioso rispetto, è rimasto in possesso di una sola statua o qualche prezioso ornamento? Tu hai comperato dal più corrotto tribuno della plebe mai esistito, allora, durante il naufragio di questa città, Roma, che proprio tu, tu che avresti dovuto fare da buon pilota avevi mandato a fondo, allora, ripeto, hai comperato con una forte somma, il privilegio di applicare arbitrariamente la legge relativa ai debiti dei popoli liberi, in netto contrasto con i decreti del Senato e con le leggi di tuo genero. Questo stesso privilegio è stato rivenduto in modo che, o non fosse applicata la legge, o che tu spogliassi dei propri beni cittadini romani a tutti gli effetti.

8. Ora, io non dico nulla , o Senatori, contro questo individuo; io intendo occuparmi unicamente della provincia. Pertanto passo sotto silenzio tutti quegli episodi di cui spesso siete venuti a conoscenza, e che voi ricordate bene, anche se non ne sentite più parlare. Non voglio parlare della sua sfrontatezza in città, di cui egli ha lasciato nel vostro animo e nei vostri occhi tracce indelebili; non voglio discutere della sua arroganza, della sua ostinazione, della sua crudeltà. Né possono rimanere nascoste le sue dissolutezze, pur degne di stare nell'ombra, che egli riusciva a mascherare con l'austerità del volto, ma non con la moderazione; io, ripeto, intendo discutere soltanto della provincia. Voi non manderete un successore a questo individuo, quindi noi dovremo tollerare che costui rimanga ancora a lungo? Non appena egli mise piede nella provincia, sono fatti noti, la sua fortuna gareggiò con la sua malvagità, tanto che nessuno era in grado di giudicare se egli fosse più perverso o da compiangere.

9. O forse questa novella Semiramide dovrebbe essere trattenuta in Siria? Quella persona, il cui viaggio attraverso la provincia fu tale, che il re Ariobarzane assoldò il vostro console come un qualsiasi Trace, per compiere una strage. Successivamente, con l'arrivo in Siria, la cavalleria fu la prima a subire una disfatta, e in seguito furono le sue migliori coorti ad essere fatte a pezzi. Pertanto, sotto il suo governo, non si pensò ad altro che ad accordi in denaro con i tiranni, taglieggiamenti, rapine, ladrocini, omicidi, mentre sotto gli occhi di tutti, dopo aver schierato le truppe, egli alzando la mano destra non cercò di esaltare i soldati per la gloria meritata, ma proclamò invece che tutto era stato comprato da lui, e tutto era ancora da comprare!

V. 10. Dunque, egli non esitò a consegnare gli sfortunati pubblicani in schiavitù ai Giudei ed ai Siri, popoli nati per la schiavitù - addolorato anch'io, a causa delle miserie e delle pene dei medesimi. Fin dall'inizio del suo mandato stabilì di non applicare i principi di giustizia verso i pubblicani e perseverò in quella decisione; annullò convenzioni già fatte senza alcuna conseguenza dannosa; eliminò molti presidi doganali ed esonerò parecchi dai tributi. In qualunque città egli si trovasse o vi si recasse, proibì che vi fosse un pubblicano o persino uno schiavo di un pubblicano. Che altro aggiungere? Sarebbe giudicato crudele costui, anche se avesse assunto nei confronti dei nemici lo stesso atteggiamento che assunse nei confronti di cittadini romani, specialmente in quanto appartenenti a quell'ordine equestre, che è sempre stato sostenuto, in considerazione del suo prestigio, dalla benevolenza dei magistrati.

11. Pertanto, senatori, voi vedete i pubblicani completamente rovinati non per imperizia nell'amministrazione, ma per l'avidità, l'arroganza, la crudeltà di Gabinio. E in questa particolare crisi dell'erario si rende necessario che voi andiate loro incontro, nonostante il fatto che, per molti di loro voi non siate in grado di intervenire, cioè di coloro i quali, a causa di quel nemico del Senato, di quell'individuo  nemico acerrimo dell'ordine equestre e di tutti i cittadini onesti, hanno interamente perduto non solo i loro beni, ma anche l'onesta speranza degli sfortunati. Non li ha potuto difendere né il loro patrimonio, né il loro lavoro disinteressato, né la pubblica considerazione, né le loro capacità, né il lavoro, contro l'audacia di quell'insaziabile predone.

12. Perché, dunque, dovremo tollerare che vadano in rovina queste persone che si mantengono grazie al sostegno dei propri risparmi o grazie alla generosità degli amici? In sostanza, se qualcuno a causa di una aggressione di nemici non potè percepire le rendite dell'appalto, egli viene garantito proprio dalla Legge Censoria;  non si dovrà portare soccorso a colui, al quale quell'individuo, nemico di fatto, benché non sia chiamato tale, non lo consente? Trattenete nella provincia ancora a lungo colui il quale svolga con i nemici traffici relativi agli alleati, e con gli alleati in questioni riguardanti i concittadini, colui che si ritenga di valere più del collega anche per questo motivo, cioè che quello vi ha ingannato con la severità del volto, egli, invece non ha mai simulato di essere meno malvagio di quello che era. Pisone, oltretutto, si vanta anche se in modo alquanto diverso, di aver fatto di tutto in breve tempo perché Gabinio non fosse ritenuto, soltanto lui, il più spregevole di tutti.

VI. 13. Se costoro non dovessero essere rimossi dall'incarico un giorno o l'altro, non sareste dell'avviso che essi dovrebbero essere allontanati con la forza? E voi continuereste a mantenere queste due piaghe degli alleati, rovina dei soldati, sciagura dei pubblicani, devastatori delle province, vergogna dell'amministrazione? Eppure voi stessi, l'anno scorso, eravate disposti a richiamare costoro, non appena fossero entrati nelle province. In quella circostanza, se il vostro voto fosse stato libero e la questione non avesse dovuto subire una serie di rinvii, essendo sfuggita dalle vostre mani, avreste ristabilito la vostra autorità, fatto che desideravate, poiché erano stati richiamati coloro per cui essa era andata perduta,  privati di quegli stessi premi che essi si erano guadagnati con i delitti e la rovina del loro paese. Se essi allora si sottrassero alla punizione con l'appoggio degli altri, non con le proprie forze, essendo voi molto contrari, essi ne hanno subita una ben più crudele e più pesante.

14. Infatti, quale punizione più grande poteva mai colpire un uomo, in cui, se non sussiste un briciolo di sentimento di vergogna per la propria onorabilità perduta, vi sia almeno la paura del supplizio interiore, cioè che non venga giudicata degna di fede una relazione con la quale si annunzia un successo del nostro paese in una guerra? Il Senato emanò tale decreto, quando rifiutò la cerimonia pubblica di ringraziamento per Gabinio, anzitutto perché non c'era da avere fiducia in un uomo colpevole di infami delitti; in secondo luogo perché gli interessi della repubblica non potevano essere ben difesi da un traditore, per giunta riconosciuto come nemico reale dello Stato. Infine, neppure gli dèi immortali avrebbero desiderato che si aprissero i templi e fossero celebrati i riti di ringraziamento in nome di un individuo, fra i più scellerati ed empi del paese. Quindi, quell'altro individuo, o è un uomo avveduto e meglio istruito dai suoi Greci, con cui se la spassa ormai pubblicamente, mentre prima era solito farlo dietro le quinte; oppure ha degli amici più saggi di quelli di Gabinio, dato che di lui non esiste alcun rapporto.

VII. 15. Ebbene, sono questi i comandanti che noi avremo? Uno di questi non ha il coraggio di informarci per quale motivo venga chiamato 'Imperator', l'altro, se i suoi corrieri non si fermeranno, fra pochi giorni dovrà pentirsi del fatto, invece, che lui abbia avuto un tale coraggio. I suoi amici, se ve ne sono, o se una bestia così enorme e così schifosa può avere degli amici, lo consolano dicendo che anche a T. Albucio tempo addietro è stata negata da questo consesso la cerimonia di ringraziamento pubblico. Anzitutto si tratta di fatti profondamente diversi, cioè una era un'operazione di polizia condotta in Sardegna da una coorte ausiliaria al comando di un propretore contro ladruncoli rivestiti di pelli, l'altra una vera guerra  condotta contro popoli e tiranni fra i più grandi della Siria, con un esercito sotto il comando di un console. In secondo luogo Albucio pretendeva dal Senato ciò che egli aveva già deciso per sé. Infatti era di pubblico dominio che un Greco di poco conto proprio in quella provincia avrebbe voluto celebrare il proprio trionfo; fu per questo motivo che il Senato gli contestò ufficialmente la sua pretesa, dopo avergli negata la cerimonia pubblica.

16. Ma egli, Gabinio, si consoli pure con tale soddisfazione, ritenendo che un affronto tanto grave, per il fatto che abbia colpito una sola persona, oltre lui, sia un fatto di minore importanza, ammesso che egli si consoli con l'esempio di quello, aspettando la sua stessa fine; ma soprattutto perché su Albucio si abbattè quest'unica vergogna, cioè la punizione del Senato, non esistendo nel suo caso, né la dissolutezza di Pisone, né la sfrontatezza di Gabinio.

17. Ebbene, chi propone le due Gallie per due consoli distinti, non fa altro che trattenerli entrambi nelle province; chi invece propone una delle Gallie e, o la Siria oppure la Macedonia, in definitiva ne mantiene ancora uno di essi. In sostanza favorirebbe una punizione diversa per due individui entrambi colpevoli del medesimo reato. 'Proporrò', egli dirà, 'che quelle diventino province pretorie, affinché sia dato immediatamente un successore a Pisone ed a Gabinio'. Se lo si permette! Soltanto allora, infatti, il tribuno potrà opporre il suo veto; ora non può. Pertanto, io che oggi propongo di assegnare Siria e Macedonia a quei consoli che saranno designati, propongo queste come province pretorie, in modo che i pretori abbiano un incarico per un solo anno e noi possiamo finalmente guardare in faccia quelli che ora non possiamo guardare, purtroppo, con animo tranquillo.

VIII. Ma credetemi, non si riuscirà mai a dar loro un successore, se non vi sarà una mozione fatta in pieno accordo con quella legge, per la quale non è consentito opporre il diritto di voto durante un dibattito riguardante le province. Quindi, persa questa occasione, bisognerà attendere un intero anno, trascorso il quale si prolungheranno le disgrazie dei cittadini, le angherie degli alleati, l'insolente impunità di uomini fra i più scellerati che esistano.

18. Ma anche se quelli fossero delle ottime persone, io sono del parere che non sarebbe ancora consigliabile dare un successore a C. Cesare. Su tale argomento, Senatori, io dirò con franchezza ciò che penso, e non provocheranno in me alcun timore le eventuali obiezioni del mio carissimo amico, che poco fa ha interrotto il mio discorso. Egli, che è un'ottima persona, pretende che io non debba mostrarmi più nemico verso Gabinio che verso Cesare. Tutta quella tempesta alla quale mi sono divuto piegare era stata suscitata da Cesare, quale istigatore e sostenitore. Se io gli rispondessi, anzitutto, che io ho presente il bene pubblico, non il mio risentimento, non potrei dimostrarlo dicendo che io agisco seguendo l'esempio dei più autorevoli e illustri cittadini? Forse T. Gracco, -  mi riferisco al padre, i cui figli volesse il cielo che non si fossero allontanati dalla saggezza paterna -, si procurò una tale lode per il fatto che, nelle sue funzioni di tribuno della plebe, unico fra tutti i colleghi, si schierò a favore di L. Scipione, e nonostante fosse suo acerrimo nemico, come pure di suo fratello l'Africano, dichiarò solennemente in pubblico che egli, così agendo, non si era riconciliato con quello, ma che gli pareva in netto contrasto col prestigio di un comandante il fatto che, laddove si trovavano i capi dei nemici durante il trionfo di Scipione, proprio lì, nello stesso luogo fosse condotto chi aveva celebrato il proprio trionfo?

19. Chi mai fu più ricco di nemici di C. Mario? L. Scauro, M. Scauro gli furono contrari, nemici tutti i Metelli. Ma tutti questi non solo non votarono per il richiamo di quel loro nemico dalla Gallia, ma in via del tutto straordinaria gli fecero assegnare la provincia. In Gallia fu combattuta una grande guerra; fortissimi popoli furono domati da Cesare, anche se ancora non uniti da leggi, né da una giustizia ben sicura, non ancora uniti da una pace abbastanza stabile. Noi stiamo osservando una guerra prossima alla fine, e, per dire il vero, quasi terminata; ma al punto che, se portasse a conclusione le operazioni la stessa persona che le iniziò, noi vedremmo già tutto finito; se gli si dà un successore, ci potrebbe essere il rischio di sentire che gli ultimi focolai di una guerra così grande si siano riaccesi e rinnovati.

20. Pertanto io, senatore, e se vi fa piacere,  nemico dello stesso uomo, devo e voglio essere invece, amico della repubblica, come lo sono sempre stato. Dunque, se io metto da parte le mie stesse inimicizie per amore della repubblica, chi mi potrà biasimare, specialmente tenendo conto del fatto che mi sono sempre imposto di trarre ispirazione per tutte le mie idee e  tutte le mie azioni , dalle gesta degl uomini più illustri?

IX. 21. Forse quel famoso M. Lepido, il quale per ben due volte fu console e pontefice massimo, non solo in base alla testimonianza del ricordo degli uomini, ma anche dei registri dei nostri annali, e insieme, dalla voce del nostro sommo poeta, per il fatto che nel giorno in cui egli fu fatto censore, nel Campo Marzio egli si riconciliò immediatamente con il suo collega Marco Fulvio, uomo che era suo acerrimo nemico, allo scopo di esercitare la comune carica della censura con un animo ed una volontà comune? E, se non vogliamo tener conto degli episodi più remoti, che pure sono assai numerosi, tuo padre, o Filippo, non si riconciliò con tutti coloro con i quali era stato in pessimi rapporti? Lo stesso interesse per lo Stato, che lo aveva allontanato da costoro, lo indusse a riallacciare buoni rapporti con essi.

22. Voglio tralasciare molti altri esempi, perché li vedo qui presenti, luce e segno di distinzione della Repubblica, Q. Servilio e M. Lucullo. Volesse il cielo che anche M. Lucullo si trovasse qui a sedere fra voi! Quante inimicizie vi furono mai in Roma, ben più profonde di quelle dei Luculli e e dei Servili? Ed esse non solo furono spente dall'interesse supremo dello Stato e dalla consapevolezza della loro dignità, ma si trasformarono addirittura in rapporti di intima amicizia. Perché mai accadde questo? Q. Metello Nepote, in qualità di console, nel tempio di Giove Massimo, influenzato non solo dalla autorità di voi senatori, ma anche dalla eccezionale forza dell'eloquenza di un P. Servilio, durante la mia assenza non è forse ritornato in ottimi rapporti con me rendendomi uno dei favori più grandi? E come potrei io, essere nemico di questa persona, di cui attraverso le sue lettere, le mie orecchie si riempiono ogni giorno della sua fama, di notizie, di nomi sconosciuti, di popoli, di luoghi sottomessi?

23. Io sono infiammato, o senatori, credetemi, come voi pensate realmente di me, e come lo sentite voi stessi, da un incredibile amor di patria; amore che mi spinse un tempo ad affrontare i più gravi pericoli che la minacciavano, a rischio della mia stessa vita, e poi ancora, quando io vidi tutte le armi puntate da tutte le parti contro il mio paese, mi sentii spinto verso di esse per esporre me stesso ai loro colpi, io, da solo, in difesa di tutti i cittadini. E questa mia antica e perenne predisposizione per lo Stato, ora mi riunisce e mi riconcilia, ripristinando l'amicizia con C. Cesare. In breve, pensino pure gli uomini, ciò che a loro piace; io non posso non essere amico di chi è un benemerito dello Stato.

X. 24. In verità, se io contro coloro i quali hanno voluto distruggere questa città col ferro e col fuoco, non solamente ho giurato tutto il mio odio, ma ho anche dichiarato e mosso guerra aperta, pur trattandosi in parte di miei amici, ed alcuni, grazie alla mia difesa, fossero stati assolti nei giudizi capitali, per quale motivo, lo stesso Stato che pure riuscì a rendermi un nemico per i miei amici, non potrebbe ora farmi riconciliare con i miei nemici? Quale motivo avevo io per odiare P. Clodio, se non quello di ritenerlo un probabile cittadino pericoloso per lo Stato soprattutto perché egli, infiammato da una vergognosissima passione, aveva calpestato con il medesimo crimine due valori sacrosanti, la religione e la morale? Si può forse dubitare, considerando queste malefatte che egli ha commesso e sta commettendo ogni giorno, che io con i miei attacchi contro di lui mi occupavo più degli interessi dello Stato che della mia stessa tranquillità, mentre altri che lo difendevano pensavano più alla loro tranquillità che alla pubblica pace?

25. Non vi nascondo che, in fatto di politica, in quel periodo avevo opinioni differenti da quelle di Cesare, e che ero d'accordo con tutti voi; ora sono ancora d'accordo con voi, come lo sono stato un tempo. E voi, cui L. Pisone non ha avuto il coraggio di inviare le relazioni sulle sue imprese, voi che avete bollato col marchio rovente dell'infamia ben nota a tutti e senza precedenti le lettere di Gabinio, avete decretato a favore di C. Cesare pubbliche preghiere in numero tale, come non è mai avvenuto prima d'ora a qualcuno per una sola campagna di guerra, e come a nessun altro quanto ad onori. Perché dunque dovrei attendere che un uomo intervenga facendomi riappacificare con lui? Questo ordine degno del massimo rispetto ha fatto da intermediario fra noi due; quest'ordine, che è insieme ispiratore e guida suprema dei pubblici consigli e di tutte le mie decisioni personali. Vi seguo, o senatori, vi obbedisco, sono pienamente d'accordo, perché per tutto il tempo che non avete avuto una favorevole opinione nei riguardi della politica di C. Cesare, anch'io, lo avete notato, gli sono stato vicino molto poco; ma dal momento che voi avete mutato le vostre opinioni ed i vostri sentimenti in seguito alle sue gloriose imprese, mi avete visto non solo condividere i vostri pareri, ma anche tributare ad essi tutto il mio plauso.

XI. 26. Ma qual è il motivo per cui, in questa occasione, gli uomini si meravigliano tantissimo e addirittura contestano le mie opinioni, dal momento che anche in passato ho fatto molte proposte e votato a favore di fatti attinenti più la dignità dell'uomo che la sicurezza dello Stato? Io ho fatto approvare un pubblico ringraziamento di quindici giorni su mia proposta personale. Sarebbe stato sufficiente, per il bene dello Stato, che il numero dei giorni fosse uguale a quello decretato a favore di C. Mario. Per gli dei immortali non sarebbe stato piccolo un ringraziamento uguale a quello celebrato in loro onore dopo le più grandi guerre mai combattute. In conclusione, quel numero ben superiore di giorni fu attribuito alla dignità dell'uomo.

27. A questo riguardo, durante il mio consolato, e in seguito ad una mia mozione, per la prima volta vennero decretate cerimonie di ringraziamento di dieci giorni a favore di Cn. Pompeo dopo la morte di Mitridate e la conclusione della guerra contro di lui; sempre per la prima volta, su mia proposta, furono raddoppiate le pubbliche preghiere per i consolari, (infatti voi foste tutti pienamente d'accordo, quando, in seguito alla lettura in pubblico delle relazioni di Pompeo, e venendo a conoscenza che tutte le battaglie, sia per mare sia sulla terraferma si erano concluse felicemente, voi decretaste una preghiera di ringraziamento di dodici giorni), io ammirai il valore e la grandezza d'animo di Cn. Pompeo per il fatto che mentre egli stesso era stato entusiasticamente preferito a tutti gli altri uomini per tutti i generi di onori, egli allora stava attribuendo ad un'altra persona onori più ampi rispetto a quelli che egli stesso aveva ricevuto. Quindi, con quel ringraziamento pubblico che io proposi allora fu reso omaggio sia agli dei immortali sia alle usanze dei nostri antenati, sia alla dignità dello Stato; ma l'autorevolezza del linguaggio con cui fu presentato il decreto, e l'onore e la novità delle circostanze, come pure il numero dei giorni stabiliti, andò ad onore e gloria dello stesso Cesare.

28. Di recente è stata presentata , a noi senatori, una mozione concernente la paga dei soldati. Io non solo ho votato in suo favore, ma mi sono anche adoperato attivamente per indurvi a dare anche voi il vostro voto; ho risposto molto dettagliatamente a quanti avevano sollevato obiezioni, e sono stato presente alla redazione del verbale. In quella occasione ho attribuito maggiore importanza all'uomo, che a qualunque altra questione. Infatti ritenevo che egli, anche senza questo sussidio straordinario di denaro, fosse in grado di mantenere il suo esercito grazie al bottino che si era già procurato, portando a termine le operazioni belliche. Ero convinto, però, che non si dovesse sminuire la grandiosità del trionfo con lo spirito di parsimonia da parte nostra. Ci fu anche una discussione circa i dieci luogotenenti che egli desiderava fossero nominati; alcuni tendevano a non darli affatto, altri andavano alla ricerca di esempi analoghi, altri ancora cercavano di rinviare la decisione ad altra occasione, altri davano la loro approvazione, ma senza alcuna parola di elogio. Ma anche in quella circostanza ho parlato in modo tale che tutti capissero ciò: quello  che io sentivo per lo Stato, lo facevo anche con maggiore impegno per rendere onore alla persona di Cesare.

XII. 29. Ora, nel proporre il decreto per l'assegnazione delle province vengo interrotto, io che ho discusso con la vostra silenziosa attenzione tutte quelle questioni precedenti, le quali costituivano un omaggio dovuto all'uomo, mentre ora non ho altro obiettivo se non il buon andamento della guerra ed il supremo interesse dello Stato. Riguardo allo stesso Cesare, che motivo può esserci perché egli desideri rimanere più a lungo nella provincia, se non quello di consegnare allo Stato, portate completamente a termine, tutte quelle opere già da lui avviate? E' forse la deliziosa natura del paese e dei luoghi, la bellezza delle città, la civiltà e la cortesia degli abitanti e di tutte quelle popolazioni, il desiderio di vittoria, l'ampliamento dei confini dell'impero, è questo che lo trattiene. In realtà, cosa c'è di più selvaggio di quelle terre, più incivile di quelle città, più feroce di quei popoli; oltretutto, cosa si può immaginare più desiderabile delle vittorie già conseguite, cosa si può scoprire più distante dell'oceano? Forse il ritorno in patria potrebbe essere sgradito a qualcuno? Sgradito forse al paese, dal quale gli fu ordinato di partire, oppure al Senato, dal quale è stato ricoperto di onori? Forse il tempo rafforza il desiderio di rivedere il proprio paese, o piuttosto l'oblio? E gli allori che egli si è guadagnati in mezzo a tanti pericoli, hanno forse perso la loro freschezza? Perciò, se vi sono coloro i quali non provano simpatia per quell'uomo, non c'è ragione per richiamarlo dalla provincia, in realtà lo chiamano alla gloria, al trionfo, a ricevere le congratulazioni, a ricevere i ringraziamenti dell'ordine equestre e quelli del popolo devoto.

30. Ma se egli non ha fretta di sfruttare i suoi successi così importanti per l'interesse dello Stato, allo scopo di portare a termine tutte quelle operazioni, perché mai dovrei spingerlo io, in qualità di senatore, io che dovrei pensare soltanto agli interessi dello Stato, mentre egli desiderebbe ben altro? Personalmente la penso così, o senatori. In questo momento, nell'assegnazione delle province è opportuno non perdere di vista la pace duratura. In effetti, chi c'è qui che non si renda conto come tutti gli altri nostri possedimenti siano al sicuro da ogni pericolo e persino da qualsiasi sospetto di guerra?

31. Ormai da qualche tempo noi vediamo quel mare immenso, le cui condizioni di rischio minacciavano non solo i nostri viaggi via mare, ma persino le città e le vie militari. Ora invece, grazie al valore di Cn. Pompeo, dall'Oceano fino alla estremità del Ponto esso è controllato dal popolo romano come un solo porto sicuro e difeso da ogni parte. E, in merito a questi popoli, i quali per numero di abitanti e la stessa moltitudine della popolazione, avrebbero potuto inondare le nostre province, noi abbiamo assistito alla riduzione del loro numero, ed altri così duramente schiacciati dallo stesso uomo;  l'Asia, una volta limite del nostro impero, è essa stessa circondata da tre nuove province. Potrei parlare ugualmente di ogni regione, di ogni genere di nemici: non c'è popolo alcuno che non sia stato soggiogato in modo che a malapena esista come nazione, o così domato da vivere in pace, o così pacificato da rallegrarsi delle nostre vittorie e della nostra stessa sovranità.

XIII. 32. La guerra gallica, o senatori, sotto la guida di C. Cesare è stata portata avanti, mentre in passato era stata soltanto tenuta a freno. I nostri generali hanno sempre ritenuto che fosse preferibile tenere a freno quei popoli, piuttosto che provocare la loro ostilità con i nostri attacchi. Persino quel grande uomo, che fu C. Mario, il cui valore rifulse in modo divino, infuse fiducia nel popolo romano; sia pure fra grandi lutti e perdite, riuscì a bloccare le ingenti forze dei Galli che minacciavano di inondare l'Italia, ma egli non cercò di invadere le loro città e le loro piazzeforti. E di recente, quel compagno delle mie fatiche, dei pericoli, delle decisioni, che è M. Pomptino, uomo di grandissimo valore, ha stravinto in vari scontri la guerra degli Allobrogi nata all'improvviso, suscitata da questa scellerata congiura; egli ha domato coloro i quali l'avevano provocata, per cui, soddisfatto della vittoria, dopo aver liberata la repubblica dallo stato di terrore, egli è rimasto tranquillo. Ma, a quanto vedo, ben diversi sono stati i piani di C. Cesare. Egli, infatti, era convinto non soltanto che si dovesse combattere contro quelli che egli già vedeva armati contro il popolo romano, ma che si dovesse ridurre l'intera Gallia sotto il nostro dominio.

33. Egli ha conseguito i più grandi successi combattendo contro le popolazioni fortissime e assai fiere dei Germani e degli Elvezi, ha messo in allarme le altre popolazioni, le ha respinte, le ha domate e le ha abituate a sottostare al dominio del popolo romano, in maniera tale che quelle regioni e quelle nazioni, che in passato non ci erano note, né attraverso qualche relazione scritta, né orale, sono state percorse in lungo e in largo dal nostro generale, dall'esercito e dalle armi del popolo romano. Finora, o senatori, noi avevamo a disposizione soltanto uno stretto passaggio in Gallia; tutte le altre strade erano in mano a popoli, o ostili a questo nostro impero, oppure senza dubbio incivili, barbari e bellicosi;  in passato mai s'è fatto vivo qualcuno che desiderasse schiacciare e soggiogare questi popoli. Né mai alcuno fra i nostri politici pensò prudentemente, fin dall'inizio di questo impero, che la Gallia dovesse essere oggetto di grandissimi timori da parte di questa nostra amministrazione. Ma proprio in relazione alla forza ed al numero degli abitanti di quelle nazioni, non si era mai affrontata una guerra con esse, ma ci siamo sempre limitati a respingerne gli attacchi, se questi avevano luogo. Ora, finalmente, si è ottenuto che il confine ultimo del nostro impero sia lo stesso di quelle regioni.

XIV. 34. La natura aveva protetto già da tempo l'Italia con le Alpi, non senza l'opera di una divina provvidenza. Infatti, se quell'accesso fosse stato aperto ai rozzi Galli ed al loro numero, questa città non sarebbe mai stato il centro e la sede prescelta dell'impero del mondo. Ma esse possono ormai persino abbassarsi; infatti non c'è nulla ormai, al di là di quelle alte montagne fino all'Oceano, che possa costituire oggetto di timore per l'Italia. Eppure, nello spazio di una o due estati, si potrebbe finalmente legare a noi con vincoli indissolubili l'intera Gallia o con la paura o con la speranza, oppure con la ricompensa, ovvero con le armi o con le leggi. Se le imprese di Cesare saranno lasciate imperfette e incompiute, benché siano state tagliate le radici delle ribellioni, tuttavia un giorno potrebbero rinascere e rinverdire per dare vita ad una nuova guerra.

35. Perciò, rimanga la Gallia sotto la sua tutela; questa è stata affidata da voi alla sua lealtà, al suo valore, al suo successo. Se, a dire il vero, egli, dopo essere stato colmato di questi ricchissimi doni della sua fortuna non volesse più esporsi ai capricci di quella dea; se egli fosse ansioso di ritornare nel suo paese, ai suoi Penati, a quella dignità che egli vede a lui riservata in questa città, ai suoi figlioli fortunatissimi, al famosissimo genero, se egli fosse impaziente di essere portato in trionfo come conquistatore in Campidoglio, incoronato di alloro; in breve, se egli fosse in apprensione per qualche evento pericoloso, poiché nessun evento potrebbe ora aggiungere tanta gloria, quanto togliergliela, sarebbe pur sempre vostro dovere insistere perché quelle imprese siano portate a termine da lui stesso, lui che le ha iniziate con tanto successo. In verità, dal momento che egli ha già fatto abbastanza per la sua gloria, ma non ancora per la repubblica, e preferisce invece giungere più tardi a godere il frutto delle sue fatiche, piuttosto che non portare a termine l'incarico assunto nell'interesse dello Stato, certamente noi, da parte nostra, dovremmo evitare di richiamare in patria un generale tanto premuroso per un leale servizio a vantaggio dello Stato e non creare confusione ostacolando i suoi piani per l'intera guerra gallica ormai prossima alla fine.

XV. 36. Ebbene, i pareri di questi due illustri personaggi non possono essere affatto degni di approvazione; uno di essi propone la Gallia Ulteriore insieme con la Siria, l'altro la Gallia Citeriore. Quello che propone la Gallia Ulteriore, crea confusione su tutte quelle questioni che ho appena discusso, e dimostra allo stesso tempo che egli vuole bloccare una legge che per lui non ha valore; egli, infatti, intende separare quella parte della provincia sulla quale non vi può essere il veto, ma di non voler toccare quella parte che abbia un difensore. Egli nello stesso tempo non osa contestare ciò che è stato accordato dal popolo ma, da senatore, si affretta a togliere ciò che è stato accordato dal Senato. L'altro prende in esame la guerra gallica, e così adempie pienamente il compito di un buon senatore: sebbene ritenga la legge non valida, egli la rispetta; infatti egli sta fissando il giorno per il successore. Per questi motivi, nulla a me sembra più in contrasto con la dignità e con le consuetudini dei nostri avi, del fatto che, per il console il quale il primo Gennaio deve avere una provincia, la ottenga come promessa, e non assegnata regolarmente per decreto.

37. Supponiamo che rimanga l'intero consolato senza la provincia, sebbene gli sia stata assegnata prima ancora di essere eletto. Si dovrà ricorrere al sorteggio, oppure no? Infatti sarebbe assurdo non ricorrere al sorteggio per un incarico, ed ugualmente assurdo sarebbe non ottenere ciò che è stato attribuito per sorteggio. Si metterà dunque in marcia con le insegne di comandante? Per dove? Per un luogo che gli sarà consentito raggiungere non prima del giorno stabilito per legge. Fino a tutto Gennaio e Febbraio egli dunque non avrà la provincia. Il primo Marzo spunterà per lui una provincia all'improvviso. E tuttavia, durante questi dibattiti, Pisone rimarrà nella provincia.

38. Ora, essendo chiaro che si tratta di casi limite, abbastanza gravi, niente però è più grave di questo: è una vergogna che si punisca un generale togliendogli una provincia, per cui bisognerebbe provvedere affinché ciò non avvenga, non solo ai danni di un grand'uomo, ma neppure ai danni di un uomo di modesta reputazione.

XVI. Capisco bene, o senatori, che voi avete colmato Cesare di magnifici onori e, direi, senza precedenti. Se avete fatto ciò per il motivo che tanto si era meritato, siete stati grati; se, aggiungo, perché egli era un uomo assai legato a quest'ordine, siete stati di una saggezza davvero divina. Quest'ordine non ha mai concesso i suoi benefici ad alcuno, che abbia ritenuto di aver ricevuto da altri un segno di distinzione preferibile a quello ottenuto grazie al vostro intervento. Pertanto sostengo che non è possibile per chiunque sia un capo, qui fra voi, che abbia mai preferito corteggiare il favore popolare. Eppure vi sono stati uomini, i quali, poco confidando nei loro propri meriti, o allontanatisi dall'unione con quest'ordine a causa della maldicenza altrui, si sono gettati quasi necessariamente nei flutti, fuori da questo porto. Coloro i quali da quel mare in burrasca e dalle agitazioni popolari, dopo aver ben servito lo Stato, rivolgono il loro sguardo al Senato e desiderano rendersi graditi a questa nobilissima assemblea, io dico che dovrebbero essere non solo non respinti, ma anzi accolti a braccia aperte.

39. Un uomo fra i più energici, il console a memoria d'uomo migliore ci ha consigliato di provvedere affinché la Gallia Citeriore, pur contro la vostra volontà, sia assegnata a qualcuno dopo la nomina dei consoli che saranno designati ora e, inoltre, non venga governata in seguito e per sempre con metodi sediziosi e popolari da coloro che sono in aperto conflitto con questo consesso. Sebbene io non sottovaluti tale pericolo, o senatori, specialmente quando vengo messo in guardia da un console di grandissima saggezza, da uno che è un custode molto attento della pace e della tranquillità, tuttavia sono dell'avviso che esista in realtà un pericolo che deve essere seguito con attenzione ben maggiore rispetto a quello di sminuire gli onori dei più illustri e potenti cittadini, di rifiutare il loro zelo per il mantenimento di questo ordine. In sostanza, io non posso in alcun modo essere mosso dal sospetto che C. Giulio, ricoperto dal Senato di tutti gli onori possibili, splendidi e senza precedenti, sia costretto a consegnare questa provincia nelle mani di uno che voi non vorreste vedere lì, e che egli voglia privare della libertà questo consesso, per mezzo del quale egli ha raggiunto l'apice della gloria. Infine, sappiatelo, io ignoro del tutto quale disposizione d'animo avrà ciascuno di voi;  sono consapevole solamente di quelle che sono le mie speranze. In qualità di senatore,  sono pronto ad adoperarmi, per quanto rientra nelle mie possibilità, affinché nessun uomo illustre o potente dia l'impressione di avere il diritto di irritarsi contro quest'ordine. Così la penserei, anche se fossi il peggior nemico di Cesare, anche per riguardo alla repubblica.

XVII. 40. Non ritengo fuori luogo, affinché io non venga interrotto meno spesso oppure condannato dal giudizio di quelli che se ne stanno in silenzio, mettere in chiaro quali siano le mie relazioni con Cesare. Anzitutto sorvolo sull'età dell'amicizia e della stretta familiarità che esisteva fra lui e me, fra lui e mio fratello, fra lui e mio cugino C. Varrone, fin dall'adolescenza di tutti noi. Dopo essermi dedicato completamente alla vita pubblica, le nostre idee furono talmente in contrasto con le sue, che sebbene divisi nei principi, noi restammo uniti nella nostra amicizia privata.

41. Egli, in qualità di console, adottò misure nelle quali volle avere me come collega; se talora non fui del tutto d'accordo, tuttavia non riuscii ad esimermi dal mostrare soddisfazione per l'apprezzamento nei miei confronti. Egli mi pregò anche di accettare l'incarico di quinqueviro; volle che io fossi uno dei tre membri di rango consolare uniti a lui da vincoli molto stretti e mi offrì anche ogni tipo di luogotenenza di mia scelta e con tutti gli onori che io volessi. Tutte offerte che io rifiutai con grande fermezza nei miei principii, senza sentirmi obbligato a lui per esse. Non intendo pronunciarmi sulla saggezza della mia condotta; infatti non riscuoterò l'approvazione di molti, ma sicuramente io ho agito con coerenza e fermezza, mentre potevo premunirmi con mezzi molto efficaci contro ogni tipo di malvagità dei miei nemici, e fossi stato in grado di respingere gli attacchi dei popolari con la protezione di uomini popolari, preferii accettare qualunque colpo della fortuna e subire ogni genere di violenza, piuttosto che allontanarmi dai vostri sacrosanti principii, oppure deviare dalla linea di condotta che mi ero tracciata. Eppure un uomo è obbligato ad essere grato non soltanto se riceve un beneficio, ma anche se ha avuto l'occasione di accettarlo. Io non ritenevo che mi convenisse accettare quegli onori che egli mi concedeva e che convenissero alla mia condotta tenuta in precedenza. Capivo bene però che egli mi teneva nella stessa considerazione di suo genero, primo cittadino di Roma.

42. Successivamente diede un appoggio ad un mio grande nemico, affinchè passasse nel rango dei plebei, sia perché egli era adirato con me quando si accorse che io non potevo essere legato a lui neppure con i suoi benefici, sia perché era stato supplicato con insistenza. E persino tale mia condotta fu un'offesa dal suo punto di vista, perché in seguito non solo mi invitò ad essere suo luogotenente, ma addirittura mi pregò caldamente. Ma neppure questo onore fu accettato da me, non perché lo ritenessi contrario alla mia dignità, ma perché ero lungi dal sospettare che incombevano sulla repubblica progetti veramente folli da parte dei consoli designati.

43. Pertanto, finora io devo temere di più che si biasimi il mio orgoglio di fronte alla sua generosità, piuttosto che un suo torto nei confronti della nostra amicizia.

XVIII. Rivolgete il vostro sguardo su quella tempesta, su quella nebbia intorno alle persone oneste e sull'improvviso e imprevedibile terrore, le tenebre della repubblica, la rovina e l'incendio della città, il terrore provocato nei riguardi di Cesare in relazione ai suoi atti di governo, la paura del massacro di tutti i cittadini onesti, la scelleratezza, le cupidigie, l'indigenza, l'audacia dei consoli! Se io allora non ricevetti il suo aiuto, non ne avevo il diritto; se fui abbandonato, forse egli allora stava pensando a sè stesso; se io fui persino combattuto da lui, (come qualcuno pensa, o vuole che si pensi), allora la nostra amicizia fu violata, io - è vero - ricevetti un'offesa; dovetti necessariamente diventare un nemico per lui, non posso negarlo. Ma egli allora fu in ansia per la mia salvezza, quando voi mi rimpiangevate come il vostro figlio più caro; e se voi per tutto quel tempo pensaste che fosse della massima importanza per la mia causa, che Cesare non fosse contrario alla mia salvezza; e se io ho suo genero come testimone delle sue buone intenzioni, il quale incitò in mio favore tutta l'Italia nei municipi ed il popolo romano in assemblea, e anche  voi che avete sempre desiderato ardentemente la mia salvezza in Campidoglio; se infine, lo stesso Pompeo mi è testimone della volontà di Cesare e garante della mia nei suoi confronti, non vi sembra giusto che io debba allontanare dal mio cuore, se non mi è possibile strapparlo dalla natura delle cose, quel tristissimo periodo, con il ricordo dei fatti recenti e la memoria di quelli recentissimi?

44. In verità, se a me, per riguardo ad alcune persone, non è consentito vantarmi di aver sacrificato il mio risentimento e le mie inimicizie nell'interesse dello Stato, se tutto ciò sembra degno di un uomo magnanimo e molto saggio, mi servirò di questi argomenti, che varranno non tanto a guadagnarmi la lode, quanto ad evitare il biasimo, dimostrando che io sono una persona riconoscente che si commuove non soltanto per benefici così grandi, ma anche per quel tanto di benevolenza umana ancora esistente.

XIX. Io chiedo questo, ad alcuni uomini di grande valore che mi hanno reso un grande servigio, che se io non ho voluto che essi condividessero le mie sofferenze e le mie disgrazie, ebbene, neppure essi pretendano che io mi unisca ai loro rancori; lo chiedo soprattutto per il fatto che essi stessi mi hanno concesso di difendere quegli atti di Cesare, che prima d'oggi mai ho contestato, né difeso.

45. Infatti i cittadini più eminenti della repubblica, dietro i cui consigli io mi mossi quando salvai la repubblica, e in difesa della cui autorità evitai di legarmi a Cesare, negano che le Leggi Giulie e tutte le altre che furono emanate durante il suo consolato siano illegali; i medesimi sostenevano che quella famosa legge della mia proscrizione era stata proposta, è vero, contro gli interessi dello Stato, ma essa era del tutto legittima. Pertanto, una persona della più alta autorità e di grandissima eloquenza dichiarò con estrema energia che quella mia disgrazia era come il funerale della repubblica, un funerale, tuttavia, giusto e notificato in forma legale. E' un titolo di merito per me, che il mio esilio sia stato definito il funerale della repubblica; io non intendo muovere appunti sugli altri aspetti della questione, ma voglio semplicemente basarmi su di essi per giustificare i sentimenti che provo. Infatti se alcuni si permisero di affermare che quella proscrizione era legalmente deliberata, e per la quale non vi era alcun precedente, né legge alcuna che autorizzasse il procedimento, per il fatto che nessuno in quel giorno aveva osservato annunci celesti, essi avevano forse dimenticato che, nel momento in cui l'autore di quella legge contro di me fu fatto plebeo in base alla Legge Curiata, non vi fu alcun annunzio che un magistrato stava osservando il cielo? E se per lui era del tutto irregolare diventare plebeo, come poteva diventare tribuno del popolo? E se il suo tribunato è valido, non c'è nulla di invalido negli atti di Cesare; quindi non solo il suo tribunato, ma anche i suoi atti più dannosi, se è stato rispettato il sacro culto degli Auspici, dovranno essere considerati come legali?

46. Di conseguenza,  voi dovete stabilire che la Legge Elia è in vigore, che la Legge Fufia non è abrogata, che in pratica non è consentito far passare una legge in tutti i giorni fasti, che quando si presenta una legge è consentito osservare il cielo, rivelare i segni nefasti, fare opposizione, che le decisioni dei censori ed i loro atti e la più stretta vigilanza sulla morale non era stata abolita in Roma da leggi esecrande, se un patrizio che è stato tribuno della plebe, lo è stato in contrasto con le Leggi Sacrate, se plebeo, lo è stato a dispetto degli auspici; quindi due sono i casi, o voi ammettete quanto sopra, oppure i miei avversari mi concedano di non imporre, in questioni importanti, l'osservanza di certe formalità di legge che essi stessi non pretendono in atti scellerati, tanto più perché, a più riprese, fu fatta la proposta a Cesare di presentare le medesime leggi in altra forma. Con tale patto essi intendevano richiedere gli auspici e, nello stesso temo, riconoscevano la validità delle leggi. nel caso di Clodio è in gioco lo stesso motivo degli auspici, ma tutte le sue leggi sono state la rovina generale della repubblica.

XX. 47. Questa è l'ultima cosa che io ho da dire. Se vi fosse inimicizia fra me e C. Cesare, oggi, nonostante tutto avrei il dovere di pensare all'interesse dello Stato, e riservare la mia ostilità per un'altra occasione. Potrei persino, sull'esempio degli uomini più eminenti, mettere da parte i miei sentimenti ostili per amore della repubblica. Ma dal momento che non vi è mai stata inimicizia, il sospetto di un'offesa da parte sua è stato cancellato dai favori che egli mi ha reso. Secondo la mia opinione personale, o senatori, se si tratta della dignità di Cesare renderò omaggio all'uomo, se si tratta di qualche incarico a titolo onorifico, provvederò affinché si raggiunga l'unanimità nel Senato; se si tratta dell'autorità dei vostri decreti, farò di tutto perché quest'ordine perseveri nel decretare onori al medesimo generale; se si tratta della continuazione della guerra contro i Galli, mi occuperò dello Stato; se si tratta di qualche mio incarico privato, vi dimostrerò che non sono un ingrato. E soprattutto vorrei rendere ben accette a tutti, o senatori, le mie ragioni personali; ma non proverò alcun rammarico se per caso o non riuscirò gradito a coloro i quali hanno spalleggiato il mio nemico, pur opponendosi la vostra autorità, oppure a coloro i quali condanneranno la mia riconciliazione con il loro nemico, mentre essi stessi non esiteranno a riconciliarsi con il mio e con il loro nemico.

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Traduzione di V. Todisco - agosto, 2002

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