Orazione in difesa del poeta Archia

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Traduzione

[I] 1. Se vi è in me, o giudici, un po' di talento - riconosco quanto esso sia modesto - o una discreta esperienza nell'oratoria, nella quale non posso negare di essere un po' versato, oppure una certa conoscenza di essa derivata dallo studio e dall'esercizio delle arti liberali, da cui mai in nessun periodo della mia vita mi sono allontanato, il qui presente A. Licinio, in modo particolare, deve da me pretendere, quasi come un suo diritto, il frutto di tutte queste doti.

Quanto più lontano possibile la mia mente ritorna al passato e al ricordo della prima fanciullezza, risalendo tanto indietro, mi accorgo che proprio costui fu il primo ad avviarmi a questi studi e a mettermi sulla strada della loro conoscenza. E se talvolta questa eloquenza, che si è formata grazie all'incoraggiamento di Archia e in virtù dei suoi insegnamenti, fu motivo di salvezza per qualcuno e se da lui appresi bene l'arte con cui posso assistere tutti gli altri e salvare alcuni, senza dubbio a lui sono obbligato ad offrire sostegno e difesa, per quanto è nelle mie possibilità.

2. E affinché nessuno si stupisca di quanto affermo, cioé che in costui vi è una sorta di ingegno naturale che va al di là della cultura oratoria vera e propria, intendo precisare che nemmeno io fui mai esclusivamente dedito a questa sola disciplina, perché tutte le arti che si riferiscono all'uomo hanno un certo vincolo comune e sono tenute insieme quasi da una sorta di parentela.

[II] 3. Ma perché a nessuno di voi sembri strano che in un processo legale e in una causa penale che si tiene davanti a un pretore del popolo romano, uomo eccellente, e davanti a giudici di grande moralità, con così cospicua presenza di spettatori, io ricorra a questo tipo di oratoria che non soltanto si allontana dalla consuetudine processuale, ma anche dal linguaggio forense, vi prego in questa causa di concedermi questa libertà, degna di un imputato di tal genere e, come mi auguro, a voi non molesta, che mi consentiate, cioé, mentre difendo un grandissimo poeta e uomo dottissimo, al cospetto di questa assemblea di uomini di varia cultura, di fronte alla vostra disponibilità e infine davanti al presidente dei tribunale, che mi consentiate, ripeto, di parlare un po' più liberamente di studi e di cultura letteraria e di ricorrere per una persona di tal valore, pochissimo coinvolta in processi e cause per la sua vita ritirata e dedita agli studi, ad un nuovo, per così dire, e inconsueto tipo di oratoria. 

4. Se avrò la certezza che mi concediate tanto, farò in modo che giudichiate non solo di non dover togliere il qui presente A. Licinio dal numero dei cittadini, essendo già un cittadino, ma persino, se non lo fosse, di doverlo ammettere.

[III] Infatti, non appena Archia uscì dalla fanciullezza e lasciata quella prima fase educativa che di solito avvia i ragazzi alla cultura, si dedicò all'arte della scrittura ed ebbe il merito di superare tutti per la fama del suo talento, prima ad Antiochia - dove nacque da nobile famiglia -, città un tempo popolosa, ricca, meta di uomini dottissimi e fiorente di studi liberali. Poi in tutte le altre parti dell'Asia e in tutta la Grecia il suo arrivo era motivo di tale affluenza di persone che l'attesa del personaggio era superiore alla fama del suo talento e l'ammirazione per lui all'attesa del suo arrivo.

5. Allora l'Italia era fiorente di cultura e civiltà greca e questi studi in quel tempo erano coltivati con più passione che adesso nelle medesime città e anche qui a Roma non erano trascurati grazie ad un clima di stabilità politica. Pertanto i Tarantini, i Reggini, i Napoletani gli fecero dono della cittadinanza e di altre onorificenze e chiunque fosse in grado di valutare il talento di qualcuno, lo stimò degno di conoscenza e di ospitalità. Noto per tanta fama anche a chi non lo conosceva, venne a Roma sotto il consolato di Mario e Catulo. Conobbe anzitutto quei due consoli dei quali l'uno poteva fornirgli come materia di ispirazione le grandissime imprese compiute, l'altro, oltre alle imprese, poteva vantare la passione per le lettere e la sensibilità poetica. Ben presto i Luculli, quando Archia indossava ancora la toga pretesta, lo accolsero in casa loro. E in conseguenza non solo del suo talento e della sua cultura, ma anche della sua naturale predisposizione alla virtù, quella casa, che fu la prima per lui ancora giovane, gli sarebbe stata assai familiare anche da vecchio.

6. Era allora caro amico del famoso Q. Metello Numidico e di suo figlio Pio, dava lezioni a M. Emilio, era in intimità con Q. Catulo padre e figlio, era trattato con riguardo da L. Crasso, aveva strette relazioni con i Luculli e Druso, con gli Ottavi, Catone e tutta la famiglia degli Ortensi, ed era oggetto di grande considerazione perché tenevano alla sua amicizia non solo quelli che desideravano apprendere o ascoltare qualcosa da lui, ma anche chiunque volesse persino simulare un tale desiderio.

[IV] Dopo un certo periodo di tempo, partito con Lucullo per la Sicilia ed essendone ritornato con lui, giunse ad Eraclea, città federata con parità di diritti, e volle diventarne cittadino, cosa che ottenne dagli Eracleesi sia perché ne era ritenuto degno di per sé, sia per l'autorità e l'appoggio di Lucullo. 7. Gli fu concessa la cittadinanza secondo la legge di Silvano e Carbone, cioé 'a condizione che si fosse stati cittadini di città federate a condizione che al momento dell'emanazione della legge si avesse avuto il domicilio in Italia e se ne fosse fatta dichiarazione entro sessanta giorni davanti al pretore'. Avendo già egli da molti anni domicilio in Roma, fece la dichiarazione davanti al pretore Q. Metello, suo intimo amico.

8. Se di nient'altro dobbiamo parlare se non del diritto di cittadinanza e della legge che lo regola, non avrei più nulla da aggiungere: la difesa è già chiarita. Infatti, o Grazzio, quale di questi fatti potrebbe essere invalidato? Potresti forse negare che ebbe la cittadinanza di Eraclea? E'qui presente un uomo di grande autorità, scrupolosità e dignità, M. Lucullo, il quale afferma non di esprimere delle opinioni, ma di essere a conoscenza, non di aver avuto una semplice parte, ma di aver trattato la questione in prima persona. Sono qui gli esponenti di Eraclea, uomini nobilissimi; sono qui per questo processo con l'incarico di fare pubblica testimonianza e deporre che costui fu iscritto nelle liste dei cittadini di Eraclea, che, come tutti sanno, sono andate distrutte nell'incendio dell'archivio durante la guerra italica.

E' ridicolo da parte tua non rispondere nulla ai fatti che vediamo e chiedere ciò che non possiamo avere, tacere delle testimonianze verbali e reclamare documenti scritti. Di fronte alla scrupolosità di un uomo così autorevole e al giuramento e alla buona fede di così onesti cittadini di un municipio, è ridicolo da parte tua respingere queste prove, che in nessun modo possono essere inquinate e pretendere di avere in mano quei documenti che, come tu stesso affermi, possono essere oggetto di falsificazione.  9 . Costui, che tanti anni prima che gli venisse concessa la cittadinanza, fece di Roma la sede di tutti i suoi beni, non ebbe forse domicilio in Roma? Non fece forse la sua dichiarazione? Sì, la fece, e proprio in quei registri che in pratica ricevono forza di ufficialità da quella dichiarazione resa davanti al collegio dei pretori.

[V] Infatti, mentre si diceva che i registri di Appio erano stati custoditi con poca cura e che quelli di Gabinio avevano addirittura perso ogni valore legale, per la di lui superficialità, prima per la condanna e poi, per la sua caduta in disgrazia in seguito alla condanna stessa, Metello, invece, l'uomo più a modo e onesto che esista, fu cosi scrupoloso da presentarsi davanti al pretore L. Lentulo e ai giudici, dichiarando di essere rimasto interdetto dalla cancellatura di un nome. Ebbene, voi vedete bene che in questi registri non c'è alcuna cancellatura sul nome di A. Licinio.

10. Stando così le cose, che motivo avreste di dubitare della legittimità della sua cittadinanza, soprattutto se considerate che fu iscritto anche nelle liste di altre città? Difatti, quando in Grecia facilmente si concedeva la cittadinanza a tanti personaggi di poco valore, di nessuno o mediocre talento, devo davvero credere che i Reggini, i Locresi, i Napoletani, i Tarantini non vollero dare a costui, sostenuto dalla fama del suo talento, ciò che di solito concedevano agli attori. Perché, mentre tutti gli altri, non solo dopo la concessione della cittadinanza, ma anche dopo la legge Papia, in qualche modo scivolarono tra i nominativi dei registri di quei municipi, costui, che non può nemmeno avvalersi di quelli in cui fu iscritto, perché volle sempre essere cittadino di Eraclea, ne dovrebbe rimanere escluso?

11. Tu giustamente esigi la presentazione dei nostri registri; infatti non è di dominio pubblico il fatto che Archia al tempo dell'ultimo censimento si trovava al seguito dell'illustre generale Lucullo, che durante il censimento precedente si trovava in Asia con Lucullo in veste di questore e che al tempo del primo censimento ad opera di Giulio e Crasso nessuna parte della popolazione era stata censita. Ma giacché il censimento non prova la legittima cittadinanza, ma  indica soltanto che il censito già allora si comportò da cittadino, questo, che tu accusi di non aver goduto affatto dei diritto di cittadinanza romana, a quei tempi non solo fece spesso testamento secondo le nostre procedure legali, ma entrò in possesso di eredità e anzi il suo nome fu persino proposto dal proconsole L. Lucullo all'erario per un pubblico ringraziamento.

[VI] 12 . Cerca pure delle prove, tutte quelle che puoi, perché costui giammai sarà smentito dalla sua condotta e da quella dei suoi amici. Mi chiederai, o Grazzio, perché quest'uomo mi sia tanto caro. Rispondo: perché mi offre un rifugio in cui poter ricreare l'animo dal clamore del foro e riposare le orecchie stanche del suo chiasso. Tu pensi che potremmo avere materia a sufficienza su cui discutere ogni giorno tante cause diverse, se non educassimo il nostro animo alla cultura, o che il nostro animo potrebbe sostenere tanto sforzo di parola se non lo ricreassimo con la stessa cultura? Quanto a me, confesso di dedicarmi a questi studi; si vergognino gli altri se senz'altra preoccupazione si immmersero a tal punto negli studi letterari da non poter offrire alcun contributo al bene della collettività o da non riuscire a portare alla luce alcuna loro creazione. Da parte mia, di che cosa dovrei vergognarmi, dato che da tanti anni vivo dedicandomi alle difficoltà o all'interesse di chicchessia senza esserne mai stato distolto dal legittimo desiderio di riposo, o trattenuto dal piacere o addirittura ritardato dal sonno?

13. Pertanto, chi mai potrebbe riprendermi, o a ragione biasimarmi, se tutto il tempo che alcuni impiegano per provvedere ai loro affari o per 'santificare' i giorni festivi con i giochi, o per dedicarsi ad altri divertimenti o al riposo dell'animo e del corpo, o altri riservano a banchetti prolungati o al tavolo da gioco o alla palla, io invece questo tempo l'ho sfruttato per coltivare di continuo questi studi? Anzi, ancor di più mi si deve riconoscere che grazie a questi studi risulta accresciuta questa mia abilità oratoria che non è mai venuta meno di fronte ai problemi degli amici. Che se essa a qualcuno sembra alquanto modesta, conosco bene la fonte a cui attingere quelli che sono i supremi valori della vita.

14. Se io, infatti, sin dalla giovinezza, non mi fossi convinto, grazie all'insegnamento di molti e alle ampie conoscenze letterarie, che niente nella vita vale la pena di ricercare con ogni mezzo se non la gloria e l'onestà, e che nella loro ricerca tutte le fatiche fisiche, i pericoli di morte, l'esilio devono essere considerati di poco conto, giammai mi sarei esposto per la vostra salvezza in tali e tante lotte e tra questi quotidiani attacchi di uomini corrotti. Ma di questi esempi sono pieni tutti i libri, pieni i discorsi dei sapienti, piena l'antichità; essi resterebbero sepolti nelle tenebre se non gli si accostasse il lume delle lettere. Quanti ritratti di uomini valorosissimi, non solo da ammirare, ma anche da imitare, ci hanno lasciato gli storici greci e latini! E tenendoli sempre presenti nel governo dello Stato, io portavo avanti il mio tirocinio morale e intellettuale meditando su quegli uomini illustri.

[VII] 15. Qualcuno potrebbe pormi la domanda: 'Ma quei grandi uomini, le cui eccellenti qualità furono immortalate nelle opere letterarie, furono essi stessi uomini dotati di quella cultura che tu esalti?' In verità sarebbe difficile dimostrarlo di tutti, ma comunque posso dare la mia risposta personale. Sono convinto che molti uomini furono intellettualmente e moralmente elevati anche senza essere colti, e che per una dote quasi divina della loro indole riuscirono naturalmente equilibrati e saggi e aggiungo che a conseguire gloria e valore valse l'inclinazione naturale. Ma nello stesso tempo sostengo che quando ad una natura virtuosa e splendida si sia integrata una profonda formazione culturale, allora ne risulta una personalità veramente luminosa e straordinaria.

16. E di questa tempra c'è un uomo di natura divina come l'Africano, che i nostri antenati ammirarono di persona; di questa stessa tempra Lelio e Furio, uomini di grande equilibrio e moderazione, e così pure l'uomo più autorevole e più dotto dei suoi tempi, quel caro vegliardo di Catone: personaggi, questi, che certamente non si sarebbero mai rivolti allo studio delle lettere, se queste non li avessero aiutati nell'apprendimento e nell'esercizio della virtù. E se anche non fosse evidente tanta utilità e da questi studi si ottenesse il solo diletto, credo comunque che voi giudichereste umanissimo e nobilissimo questo svago. Tutti gli altri, infatti, non sono né di tutti i momenti, né di tutte le età, né di tutti i luoghi; al contrario, questi studi educano i giovani, dilettano i vecchi, dànno lustro ai successi, offrono rifugio e consolazione nelle avversità, dànno piacere in casa, non sono d'impedimento fuori, ci fanno compagnia di notte, nei viaggi, in vacanza.

[VIII] 17. E se non potessimo accostarci noi personalmente a questi studi, né gioirne con la nostra sensibilità, tuttavia dovremmo ammirarli anche solo vedendoli in altri. Chi di noi fu di animo così rozzo e duro da non lasciarsi commuovere dalla recente scomparsa di Roscio, il quale, pur essendo morto in età avanzata, tuttavia grazie all'eccellenza e alla bellezza della sua arte pareva non dovesse mai morire? Egli con le sole movenze del corpo era riuscito a guadagnarsi la simpatia di tutti noi e noi dovremo rimanere indifferenti verso gli impulsi dell'animo e l'agilità della mente?

18. Quante volte ho visto Archia, o giudici - approfitterò della vostra benevolenza, giacché mi ascoltate con tanta attenzione in questo nuovo genere d'oratoria - quante volte l'ho visto recitare all'occasione, senza aver preparato nulla per iscritto, un gran numero di versi eccellenti sulle vicende allora in atto! Quante volte l'ho visto, se richiamato, ritrattare un soggetto cambiando parole e concetti! Ciò che poi aveva composto con cura e riflessione, ho notato che riscuoteva un'approvazione degna della gloria degli antichi scrittori. E quest'uomo non dovrei dunque amarlo, non dovrei ammirarlo, non dovrei pensare di difenderlo in tutti i modi? Ma noi abbiamo appreso da uomini di grande valore e grande cultura che lo studio delle altre discipline è fatto di dottrina, di regole, di tecnica, mentre il poeta vale per la sua naturale inclinazione, è animato da forza intellettiva, è come pervaso da uno spirito divino. Perciò giustamente quel nostro celebre poeta che fu Ennio chiama sacri i poeti, perché sembrano esserci stati assegnati come per un dono e un favore degli dei.

19. Sia dunque sacro davanti a voi, o giudici, che meritate pienamente il nome di uomini, questo nome di poeta che nemmeno alcun popolo barbaro potè mai violare. Le pietre e i deserti rispondono alla parola della poesia, spesso le bestie feroci si piegano all'armonia del canto e si fermano e noi, educati nelle migliori discipline, non dovremmo lasciarci commuovere dalla voce dei poeti? Gli abitanti di Colofone dicono che Omero è loro concittadino, quelli di Chio lo rivendicano come proprio, quelli di Salamina lo reclamano, quelli di Smirne garantiscono che è uno di loro e gli dedicarono anche un santuario in città molti altri centri sono in lite per lui e se lo contendono.

[IX] Essi, dunque, per il solo fatto che fu poeta, reclamano anche dopo la morte uno straniero e noi dovremo rifiutare costui che è vivo e che ci appartiene per volontà e per legge, soprattutto se consideriamo che Archia un tempo dedicò tutto il suo studio e tutto il suo talento a esaltare e celebrare il popolo romano, quando, ancora giovane, trattò la materia delle guerre cimbriche e riuscì gradito persino a Mario, che pareva piuttosto insensibile verso questo tipo di studi?  20. Nessuno, infatti, è così contrario alle Muse da non consentire volentieri che l'elogio delle sue imprese sia eternato dalla poesia. Si dice che il famoso Temistocle, l'uomo più eminente di Atene, a chi gli chiedeva quale musicista o comunque la voce di chi ascoltasse più volentieri, rispose: 'Quella di chi sapesse esaltare meglio il mio valore'. Per questo, per lo stesso motivo, il grande Mario nutrì una spiccata predilezione per L. Plozio, perché era convinto che con il suo talento potesse celebrare le sue imprese.

21. La guerra mitridatica, immane e aspro conflitto, combattuta per terra e per mare con alterna vicenda, fu tutta messa in versi da Archia e quei libri non esaltano soltanto L. Lucullo, uomo valorosissimo e splendido, ma anche il nome dei popolo romano. Fu il popolo romano, infatti, che sotto il comando di Lucullo si aprì una strada verso il Ponto, difeso sia da fortificazioni un tempo fatte costruire dai re, sia dalla stessa natura del luogo. E furono gli eserciti del popolo romano che, guidati dal medesimo condottiero, pur non molto numerosi, sbaragliarono le soverchianti truppe degli Armeni. E torna a lode del popolo romano, grazie alla tattica sempre di Lucullo, aver strappato e salvato da ogni attacco tirannico e dalle fauci spalancate di una guerra totale la fedelissima città alleata di Cizico. Sarà sempre esaltata e celebrata come nostra impresa, la flotta nemica affondata con i suoi comandanti, quella incredibile battaglia navale presso Tenedo sotto il comando di Lucullo. Nostri sono i trofei, i monumenti, i trionfi e coloro che esaltano queste imprese col loro genio poetico, celebrano nello stesso tempo la gloria del popolo romano.

22. Caro fu all'Africano maggiore il nostro Ennio e proprio per questo si pensa che il suo busto di marmo fu collocato sulla tomba degli Scipioni. E certamente quelle lodi non onorano soltanto colui che le riceve, ma anche i meriti del popolo romano. Ennio leva sino al cielo le lodi di Catone, antenato di questo qui presente: grande onore s'aggiunge alle imprese dei popolo romano. E, infine, tutti quei famosi personaggi, i vari Massimo, Marcello, Fulvio, sono celebrati non senza che ne torni gloria a tutti noi.

[X] Dunque, i nostri antenati concessero la cittadinanza a colui che aveva fatto tutto ciò, all'uomo di Rudie: e noi dovremmo privare della nostra cittadinanza questo cittadino di Eraclea, richiesto da molte città, ma qui stabilitosi secondo le leggi di Roma?

23. Ora, se si pensa che i versi in greco diano una minore resa in gloria rispetto a quelli in latino, si sbaglia di grosso, giacché la poesia greca è letta in quasi tutto il mondo, quella latina è limitata al suo territorio davvero ristretto. Perciò, se le imprese da noi compiute hanno per confine il mondo intero, dobbiamo desiderare che ugualmente gloria e fama nostre si diffondano laddove in minor misura giunsero le armi dei nostri eserciti, poiché tutto ciò, come torna a lustro di quegli stessi popoli di cui si scrive la storia, così costituisce il supremo incitamento ad affrontare rischi e fatiche per quanti mettono a repentaglio la vita per il desiderio di gloria.

24. Che gran numero di scrittori delle sue imprese si dice che Alessandro Magno tenesse con sé! E tuttavia egli, fermatosi davanti al sepolcro di Achille, al Sigeo, esclamò: 'O giovane fortunato, perché trovasti in Omero il cantore del tuo valore'. Ed è vero! Perché, se quel capolavoro dell'Iliade non fosse esistito, il medesimo sepolcro, che aveva custodito il corpo di Achille, ne avrebbe seppellito la fama. E ancora, non è forse vero che il nostro Pompeo Magno, che dimostrò valore pari a fortuna, in un'assemblea militare, fece dono della cittadinanza a Teofane di Mitilene, suo storico, e quei nostri soldati valorosi, ma pur sempre rozzi soldati, come inebriati dalla dolcezza della gloria, quasi partecipi del medesimo onore, approvarono con grande plauso?

25. Pertanto sono fermamente convinto che se Archia non fosse cittadino romano per legge, non avrebbe potuto ottenere il dono della cittadinanza da qualche comandante! Silla, per esempio, che pure la concedeva a Spagnoli e Galli, ne avrebbe respinto la richiesta! E vedemmo che Silla in un'assemblea, quando un poetastro come tanti gli sottopose un libretto con un epigramma in suo onore, per il solo fatto di averlo scritto alternando versi di ineguale lunghezza, subito ordinò che gli fosse data una ricompensa attingendo dalle vendite all'asta, ma ad una precisa condizione, che non scrivesse più nulla in futuro. E chi dovette giudicare comunque degna di una ricompensa la cortigianeria di un poetastro, non avrebbe valorizzato fortemente il talento, la maestria letteraria, la facondia di Archia qui presente?

26. E che? Non avrebbe ottenuto la cittadinanza per suo stesso interessamento, o per quello dei Luculli, da Q. Metello Pio, suo intimo amico, che ne fece dono a molti? Tanto più che questi desiderava a tal punto che si scrivesse delle sue gesta, che avrebbe concesso audizione anche ai poeti di Cordova, i cui versi risentono di una pronuncia grossolana e dell'intonazione straniera.

[XI] Non dobbiamo dissimulare ciò che non si può nascondere, ma tenerlo sempre presente: tutti siamo attratti dal desiderio di lode e ognuno, quanto più vale, tanto più è attratto dal desiderio di gloria. Gli stessi filosofi che scrivono del disprezzo della gloria, proprio in quelle opere lasciano la loro firma: in quello stesso libro in cui stigmatizzano celebrità e gloria, vogliono poi autocelebrarsi e autocitarsi.

27. Decimo Bruto, grand'uomo e grande generale, ornò con i versi di Accio, suo intimo amico, l'ingresso di templi e monumenti elevati in suo onore. Quel famoso Fulvio, poi, che nella guerra contro gli Etoli ebbe al suo seguito Ennio, non esitò a consacrare alle Muse il suo bottino. Ecco perché persino i giudici togati non devono rifuggire dal culto delle Muse e trascurare la salvezza dei poeti nella nostra città in cui generali ancora armati resero onore al nome dei poeti e ai santuari delle Muse.

28. Ma affinché lo facciate con più convinzione, o giudici, vi farà delle rivelazioni sul mio conto e vi confesserò una mia particolare debolezza per la gloria, eccessiva forse, ma legittima. Infatti, tutto ciò che io feci nel mio consolato, insieme a voi, per la salvezza di questa città e dell'impero, per la vita dei cittadini e dello Stato tutto, costui scelse come argomento e cominciò a trattare in versi. E dopo averli ascoltati, poiché mi parvero di gran valore e armoniosi, lo misi nelle condizioni di portare l'opera a compimento. Infatti la virtù non altra ricompensa desidera alle fatiche e ai rischi che elogio e gloria e tolta di mezzo anche questa, che cosa potremmo aspettarci in mezzo a così grandi fatiche, in questo così ristretto e brevissimo corso della vita umana?

29. Certo, se l'animo non avesse alcuna sensibilità per il futuro e rinchiudesse tutti i suoi pensieri in quei medesimi limiti in cui è ristretto il corso della vita, non si fiaccherebbe in tante fatiche, né si consumerebbe in tante veglie angustiose, né metterebbe a repentaglio tante volte la vita stessa. Ora, invece, in tutti i migliori è insita la virtù, che notte e giorno pungola l'animo alla gloria e lo ammonisce a non lasciar cadere il ricordo del nostro nome con la fine dell'esistenza, ma a segnalarlo alle future generazioni.

[XII] 30. Ma forse noi tutti, che siamo coinvolti nella politica e quindi in questa vita di pericoli e di travagli, dovremmo sembrare così meschini da pensare che, non avendo avuto un solo momento di riposo e di tranquillità sino all'ultimo, tutto è destinato a morire insieme con noi? Molti grandi uomini si premurarono di lasciare statue e ritratti, riproduzioni non dell'animo ma del corpo, e noi, invece, non dovremmo preferire soprattutto di lasciare un'immagine della nostra esperienza e della nostra moralità, espressa in tutte le sue sfumature dai grandi geni letterari? Davvero ho sempre pensato, nel momento stesso in cui le compivo, di spargere e di diffondere tutte le mie azioni destinandole all'eterna memoria dell'universo. E sia che essa, dopo la morte, sfuggirà al mio sentire, sia che influirà su una parte della mia anima, come invece sostengono uomini di grande sapienza, ora almeno provo gioia a pensarlo e a sperarlo.

31. In conclusione, o giudici, assolvete quest'uomo, il cui merito è tale da essere apprezzato, come vedete, da amici tanto prestigiosi quanto anziani; un uomo, inoltre, di notevolissimo talento, come è giusto che sia stimato, voi stessi lo vedete, chi è stato ricercato da uomini di ingegno altrettanto grande un uomo, per di più, la cui condizione processuale è tale da essere garantita dal sostegno della legge, dall'autorità di un municipio, dalla testimonianza di Lucullo, dalle liste di Metello. Stando così le cose, o giudici, se è vero che in tali ingegni vi è come un segno di privilegio non solo umano, ma anche di origine divina, vi chiedo di accogliere sotto la vostra tutela, in modo che possa apparire assolto dalla vostra umanità, piuttosto che punito dalla vostra severità, colui che ha sempre reso onore a voi, ai vostri comandanti, alle imprese del popolo romano, colui che anche ai recenti pericoli civili, che hanno riguardato me e voi insieme, promette di dare eterna testimonianza di gloria, e che appartiene a quella categoria di persone che sempre e universalmente furono giudicati e detti sacri.

32. Quanto avevo da dire sulla materia, o giudici, l'ho esposto, come è mia abitudine, in modo semplice e sintetico e confido che abbia riscosso il generale consenso. Quanto invece ho argomentato in modo inconsueto rispetto al linguaggio forense e alla prassi processuale, sul talento del personaggio e in generale sulla sua opera letteraria, mi auguro, o giudici, che sia accolto benevolmente da voi; il pretore, ne sono certo, non può non mostrarsi ben disposto verso di me.

Traduzione di V. Todisco

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