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MAFFETTONE SEBASTIAN
Etica pubblica

Il Saggiatore, Milano 2001, pp.352 , ISBN 884280930, euro 19.63.
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In un paesaggio filosofico, quello italiano, dominato dalle rovine sparse dell'"essere" fatto a pezzi dai postmodernisti (quelli che... "non esistono verità, solo interpretazioni"), costellato dai mezzibusti marmorei di Heidegger e seguaci, di Lyotard, Jameson, Derrida e via decostruendo, torna a fare capolino la metafisica. E' un atto di riapertura delle ostilità filosofiche dopo lunga tregua. E ciò accade, non del tutto inaspettatamente, ad opera di Sebastiano Maffettone, con un libro appena uscito per Il Saggiatore, L'etica pubblica. La moralità delle istituzioni nel terzo millennio (pagg. 352, lire 38.000). Il coraggio in filosofia non basta mai, se vuoi rompere le righe: ogni affermazione che esca dai tracciati più prevedibili e dall'accademica ripetizione delle tesi della scuola cui appartieni e che ti protegge (che sia analitica o continentale, debolista o tomista, nichilista o costruttivista) è una sfida a duemilacinquecento anni di storia del pensiero. Se esci dalle file ti si vede da lontano e il primo cecchino, rintanato tra i suoi, ti può fare secco. E allora sia salutato l'ardimento di Maffettone, che sfida i frizzi e i lazzi dei postmodernisti di vario calibro parlando, ripeto, di metafisica. Avete letto bene: di metafisica. Che cosa si celi dietro questa parola desueta vale forse la pena di spiegarlo: Tà metà ta physikà è il titolo che da Aristotele in poi si attribuisce a quelle cose che vengono "dopo la fisica", ma quel "dopo" riguarda solo la disposizione dei tomi non l'ordine di importanza. Infatti i quattordici libri dello stagirita, così intitolati, trattano della "filosofia prima", ovvero dello studio "dell'essere in quanto essere", di quella forma più ambiziosa di sapere che riguarda il nostro mondo, la vita, il senso di tutte le cose, dell'inizio e della fine, di Dio (se c'è o se non c'è). Tutte quelle cose di cui, come è noto, il primo Wittgenstein, quello del Tractatus logicus-philosophicus, diceva lapidariamente (e un po' tautologicamente): "bisogna tacere" perché sono cose "di cui non si può parlare". Meglio lasciar perdere, voleva dire, perché sono al di fuori della nostra portata, pur essendo terribilmente interessanti. Lungo tutto il secolo scorso la metafisica se l'è passata male. Nell'Essere hanno scavato buche da tutte le parti: nichilisti nietzschiani, fenomenologi husserliani, esistenzialisti heideggeriani, ermeneuti gadameriani, analitici wittgensteiniani, empiristi logici carnapiani, e infine debolisti vattimiani e rortyani. E dunque il progetto di Maffettone è estremamente ambizioso. L'aveva inaugurato tre anni fa con Il valore della vita; qui i lavori avanzano e si fa più esplicita la dichiarazione di guerra agli avversari: i postmodernisti. O più dettagliatamente: lo scetticismo teorico, il cinismo culturale, il nichilismo etico. Le armi con cui Maffettone intende battersi sono le "buone ragioni" implicite nelle migliori pratiche cognitive, scientifiche, professionali, comunicative della nostra epoca. Che cosa vuol dire? Che non ci dovremo consegnare a una metafisica prescrittiva, come se non fosse mai esistito Kant con la sua revoca in dubbio dell'ingenuo filosofare preliberale, ma che possiamo ben estrarre dal nostro stesso agire e dalle istituzioni, con un metodo più rispettoso della pluralità dei punti di vista, alcune idee metafisiche ed etiche. E che il rispetto della varietà delle umane inclinazioni non ci precipita per ciò stesso in un delirio di fumisterie e di arbitri. Prendiamo un giornalista che ci scodella uno scoop fasullo e confrontiamolo con un altro affidabile. C'è o non c'è qualche valido criterio per farle, queste distinzioni? O sono solo fumi? La "metafisica pubblica" di Maffettone, distinta dalla "metafisica speculativa" lasciata alla dimensione della storia della filosofia o a quella delle intime convinzioni religiose e non, è quella che viene fuori da questa analisi dei criteri che ci consentono di fare distinzioni alle quali, voglio sperare, tutti noi non vorremmo mai rinunciare in un civile confronto tra diverse teorie, diverse tesi, diverse opinioni. La difficoltà dell'opera, il "disagio del concetto", non ci fermerà in questa ricerca, che è particolarmente necessaria, più ancora che altrove, in una società come la italiana, che "sembra quasi provare vergogna pubblica di sé". Ma il bisogno di enucleare questi principi e di saperci fare sopra un discorso pubblico è ancora più forte a causa della presenza incombente di una agenzia religiosa dominante come la Chiesa e, simmetricamente, di un laicismo che, nota maliziosamente Maffettone, "altrove sarebbe magari superfluo". In altri termini rinunciare al tentativo teorico di comprendere il reale - segno insieme di presunzione, di vacuità, e talvolta di trionfo della banalità postmodernista - vorrebbe dire consegnare il monopolio della "metafisica istituzionale", e con essa dell'etica, alla Chiesa cattolica. In parole ancora più semplici: se per il filosofo laico "Dio è morto", dunque "tutto è permesso", l'essere è ridotto a una grande buca vuota, l'esistenza del mondo ridotta a un flusso di impressioni probabilmente sbagliate, l'etica a un insieme di opinioni balzane dipendenti dagli usi locali, se le cose stanno così, come potete mai pensare di reggere una discussione con i teologi di madre Chiesa intorno alla fecondazione eterologa? Che decidano, perbacco, i vescovi, che una metafisica ce l'hanno, e millenaria. Naturalmente non si può negare al postmodernismo qualche ragione, se non altro per il fatto che una metafisica pubblica dei nostri tempi non può che coniugarsi con il pluralismo e con il liberalismo, dunque sul rifiuto della hybris etico politica che pretende di rappresentare la universalità dell'altro sulla base di un unico e indiscutibile disegno della Ragione. Rischio sul quale il postmodernista può rivendicare dei meriti, avendo individuato più di tutti la minaccia autoritaria contenuta nelle Verità con la "v" maiuscola. Ma andrebbe ricordato che il razionalismo trascendentale di Kant non era disarmato di fronte a questo allarme. E comunque nessuno qui vuol rischiare di farsi impallinare da un tiro al piccione così facile da parte di Vattimo, Rorty e soci. E Maffettone mette in mare la sua zattera di salvataggio metafisico (una conversazione sul nostro mondo etico e sociale di cui, a questo punto, dovrebbe essere chiara la natura dialogica, plurale e liberale critica) nelle acque agitate dagli anatemi scagliati contro ogni tentativo di ribellarsi alla notte nera. E lo fa in diversi campi: i fondamenti di etica e normatività, le comunicazioni di massa, la genetica, la bioetica, l'etica degli affari, le imprese, i diritti umani. A quest'opera di restituzione dell'onore perduto alla metafisica, in cui Maffettone certo non è solo, hanno aperto la strada le discussioni con altri filosofi contemporanei come Nozick, Davidson, Dummett, ma qui non possiamo seguirlo, vi rimandiamo al libro. Per chiarire come il confronto teorico si riverberi nelle polemiche correnti e in una certa vulgata post-modernista un tanto al chilo è invece il caso di citare la mai risolta quaestio della "obiettività" nel giornalismo, che viene in Italia posta tradizionalmente con i piedi per aria e la testa in giù. Il fatto che non siamo disposti ad accettare una versione filosofica del mondo candidamente realista come quella proposta da Giovanni Paolo II nella enciclica Fides et Ratio, ovvero una summa metafisica tomista, non significa ovviamente che siamo disposti ad accettare qualsiasi baggianata ci venga spacciata per vera dal sistema dei mass-media. Eppure c'è ancora chi non riesce a trovare una "terza via" tra le verità fondazionali e autoritative da una parte e il vuoto fumigare di vaghe e confuse immagini per l'aere, magari aiutandosi con un po' di senso comune. Come non capire che tra un resoconto plausibile, mettiamo, della realtà sociale e il puro parlare a vanvera di un ubriaco una differenza si riesce a trovarla, il più delle volte. Alberto Abruzzese ha sostenuto che "ogni processo comunicativo è un processo di falsificazione". Tutti manipolano e la realtà è dunque "il risultato di una serie di falsificazioni regolate da rapporti di potere". Secondo la solita solfa, niente più confini tra realtà e finzione: tutto è vero e tutto è falso, questioni di rapporti di forza. Così se una collana è falsa ma sembra vera fa lo stesso. Ora, obbiettiamo, se ve la fanno pagare per vera e ve la dànno falsa, in realtà vi hanno buggerato. La tesi di Maffettone si può anche riassumere così: per smascherare l'imbroglione che vi ha ingannato non possiamo fare a meno di un po' di "metafisica pubblica". Senza, non avremmo più scampo, sarebbe tutto un blob, il trionfo dei falsari. (Giancarlo Bosetti, La Repubblica)

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Data ultimo aggiornamento: Giovedì 24 ottobre 2002