L'omicidio Calabresi
a cura di LoCas
L'omicidio del commissario Calabresi è un episodio della storia d'Italia strettamente connesso alla storia delle stragi
e dei misteri degli anni '60 e '70. Il commissario Calabresi, della questura di Milano, era
stato accusato apertamente dalla sinistra extraparlamentare di essere il reale responsabile della
morte del ferroviere anarchico Pinelli, "caduto" dalla finestra della questura il 16 dicembre 1969,
durante un interrogatorio di polizia.
Il 17 maggio del 1972 venne ucciso da un killer uscito da una macchina
blu nel centro di Milano, sotto casa sua.
Le indagini rimasero per anni senza risultato: gli indizi erano costituiti da un identikit del killer,
visto da alcuni testimoni; dalla macchina dei killer, ritrovata; dalla pallottola; dalle testimonianze oculari, che sembravano
certe almeno su un punto: alla guida dell'auto c'era una donna.
Negli anni '70 le indagini puntarono su diverse piste, tutte abbandonate. La "pista nera"
prevedeva un coinvolgimento del terrorista Gianni Nardi, che sembrava somigliare moltissimo
all'identikit del killer. Gianni Nardi è morto in un misterioso incidente d'auto nel 1976 a
Palma di Maiorca. (Secondo Donatella Di Rosa sarebbe ancora vivo)
Negli stessi anni '70 alcuni pentiti del terrorismo rosso raccontarono di "voci" che
circolavano negli ambienti di sinistra secondo le quali il delitto Calabresi era opera
di Lotta Continua.
Nel 1988 un ex militante di LC, Leonardo Marino, decise di confessare le sue colpe:
rapine, reati vari e un omicidio, quello del commissario Calabresi, compiuto su ordine del
vertice dell'epoca di Lotta Continua.
In base a questa testimonianza furono arrestati Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani,
dirigenti di LC all'epoca, e Ovidio Bompressi, indicato da Marino come il killer di Calabresi.
Marino sostenne di aver svolto il ruolo di autista.
Durante gli anni seguenti, si sono svolti 8 processi:
- condanna in 1° grado
- condanna in appello
- annullata in Cassazione
- assoluzione in appello
- annullata in Cassazione
- condanna in appello
- convalidata in Cassazione (1997)
- istanza di revisione, rigettata (2000)
La sentenza è basata quasi completamente sulla confessione di Marino. Gli altri tre imputati hanno
confutato in vario modo le accuse: in particolare Sofri ha scritto più di un libro per dimostrare
la sua innocenza. In suo favore si sono schierati gruppi politici e intellettuali. Lo storico Carlo
Ginzburg ha scritto anche un libro (Il giudice e lo storico) per confutare la sentenza di colpevolezza.
Dopo l'ultima condanna, quella del gennaio 1997, e dopo che Sofri, Bompressi e Pietrostefani sono stati
incarcerati, è nato il comitato Liberi Liberi, che si è incaricato di raccogliere firme per una
revisione del processo. La revisione, ottenuta, ha avuto esito negativo nel gennaio 2000.
La dinamica dei fatti (i dati oggettivi)
Il giorno 17 maggio 1972, verso le 9.30 del mattino, il commissario capo della Questura
di Milano, Luigi Calabresi, uscì da casa sua (in via Cherubini 6) per recarsi
verso la sua auto, parcheggiata al centro della strada. Un uomo gli arrivò alle
spalle e gli sparò. Secondo i testimoni oculari, l'uomo era giovane, alto, a volto
scoperto.
Calabresi venne colpito da due proiettili, uno alla schiena e uno alla testa, mentre
stava per aprire la portiera della macchina.
Il killer, dopo aver sparato, riattraversò la strada ed entrò in una Fiat 125 blu che
si allontanò nel traffico.
Dopo meno di mezz'ora il commissario Calabresi, portato da un'autoambulanza all'ospedale
San Carlo Borromeo, cessò di vivere.
Durante l'autopsia, eseguita il giorno dopo all'istituto di Medicina Legale, venne
trovato il frammento di un proiettile nella testa (marca Giulio Fiocchi calibro 38).1
L'auto (rubata) utilizzata dagli attentatori viene ritrovata poche ore dopo. Dentro
non vengono rilevate impronte digitali, ma è piena di oggetti: un ombrello, un paio
di occhiali neri da donna, una antenna radio).
La dinamica dei fatti secondo l'accusa
Secondo la testimonianza di Marino, l'omicidio venne deciso dal vertice di Lotta Continua.
La difesa
Le "stranezze" del processo
Gli abiti che Calabresi indossava il giorno dell'omicidio, insanguinati,
vennero tagliati all'ospedale San Carlo. Il commissario Allitto Bonanno se ne
impossessò e non li restituì mai.
Tutti gli studi sui proiettili sono basati su un proiettile consegnato il 28 maggio
(undici giorni dopo l'omicidio) da un signore che l'aveva trovato per terra (si presume,
ma non è sicuro, perché ancora negli ultimi processi non è stato chiarito su quale
proiettile vennero fatte le perizie). Del tutto trascurato il "grosso frammento" trovato nella testa del commissario durante
l'autopsia.
Durante il primo anno di processi (il 31 dicembre 1988), la macchina
dell'attentato venne mandata allo sfasciacarrozze (pare non avesse pagato il bollo).
Le buste coi proiettili scomparvero nello stesso anno, per "motivi di spazio".
Il primo processo sarebbe dovuto arrivare naturalmente nelle mani del giudice Carnevale, noto
come "ammazza sentenze", ma arrivò stranamente a un altro giudice. Sofri protestò con uno
sciopero della fame, ottenendo che a giudicarlo fosse la Cassazione a sezioni riunite.
La sentenza di assoluzione poi annullata fu scritta dal giudice a latere, colpevolista,
che la scrisse volutamente in modo incongruente, in modo che fosse ovvia la sentenza di annullamento
della Cassazione.
I testimoni della difesa sono stati quasi tutti rigettati o non considerati
attendibili, in quanto "amici" degli imputati.
NOTE
1. Per un'analisi dei proiettili, delle perizie su di essi e sui risvolti processuali,
vedi Deaglio (1997).
Clicca qui per vedere una bibliografia sul caso Calabresi
Last updated on january 29, 2000
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