Del dell’urbanscape
ovvero: prove di iper-testo da “Nuove Sostanze”
Abbiamo già detto di come alla società
industriale sia subentrata la società dell’informazione, di come la
prima si sia lasciata dietro edifici dismessi come gusci vuoti di lumaca, di
come la seconda abbia sempre meno bisogno di “luoghi ad hoc”, ma sempre più di
situazioni spazio-tempo diversificate.
Eppure in questo passaggio c’è ben altro. Le
cattedrali della produzione ormai deserte sono state violate: svuotate del
vuoto e riempite di nuovo. Ma da cosa? Dal caos!
Dove prima processi industriali davano luce ad un
“oggetto oggettivo”, ora la società della circolazione scambia idee,
informazioni, immagini, culture, atteggiamenti, visioni, status, miti e falsi
miti: insomma, un bazàr di tutto e niente.
Esempi sono i grandi malls europei e americani ma soprattutto
delle metropoli asiatiche. Gli edifici industriali e i vecchi quartieri operai
fanno da attori e da scena allo stesso tempo di una grande
ricontestualizzazione dove il dentro e il fuori dello spazio architettonico
sono co-presenti e spesso ambigui. Lì si vende di tutto, e comunque sempre,
anche senza scambio prodotto – denaro; perché la nuova società ti vende
qualcosa pure quando non te ne accorgi o ti sembra gratuita. Sono luoghi di
passaggio distratto o attento, di intrattenimento, di incontro, di relazioni
complesse fra i flussi umani. Sono, insomma, le nuove piazze della nuova
società. E magari sono anche un po’ kitsch secondo il significato vecchio,
ormai svuotato, del termine.
La Tate Gallery a Londra si è ampliata con una nuova sede
sulle sponde del Tamigi appropriandosi di una centrale elettrica di folgorante
espressionismo per farle fare da volano all’interesse culturale verso una
collezione di opere contemporanee offerte al pubblico secondo principi
museografici rivoluzionati. Il nesso metaforico fra la produzione di “luce”
nel passato e nel presente di questa centrale è potentissimo ( noi ci dobbiamo
accontentare del più debole legame fra ex-fabbrica Peroni e attuale Museo
Comunale di Arte Contemporanea a Roma ).
Il Millennium Bridge unisce l’ampliamento della Tate
Gallery ai Docklands, riuso di aree portuali – industriali ( quello che a Roma dovrebbe accadere per
l’area Ostiense ) a scopo quasi esclusivamente residenziale. Eppure ancora
molto di più. Perché i Docklands sono un allevamento intensivo di ambitissimi
consumatori: facoltosi, ricercati, in maggioranza singles e quarantenni; lì
riuniti per essere studiati e sedotti dai pubblicitari. Così la società nuova
lavora sul filo invisibile della circolazione di informazione in laboratori a
cielo aperto.
E ancora: l’archeologia
industriale, ovvero le zone de-industrializzate riconvertite ad
ospitare turismo interessato a conoscere i processi di lavorazione ma
soprattutto la vita della classe operaia. L’Inghilterra fu la prima a
industrializzarsi così come lo è stata ad avviare questo cosciente processo di
storicizzazione con ricasco economico.
Non ci potrebbe essere superamento più evidente.
Succede quindi che i luoghi dove prima le “macchine”
producevano oggetti concreti, adesso producono storia, la vendono, la
reinterpretano o anche solo la ospitano…….. se lo avessero
detto ai Futuristi ?