La miniera
di
salgemma
E una delle più antiche miniere dItalia. Sorge a 404 m. sul livello del mare ed a circa tre km. da Lungro, ai margini del rilievo calcare del Cozzo del Pellegrino, nelle cui vicinanze presso il monte Tavolaro ha inizio il vero e proprio distretto salifero. Lestrazione del salgemma, la cui prima escavazione avveniva a cielo aperto, risale a tempi primordiali ed è venuta a cessare soltanto una ventina di anni fa. Era il 1976.
La natura del terreno,
il lavoro delluomo che essa ospita
contribuiscono nello scorrere dei secoli
a quel momento che si chiama "storia".
E inopinabile che quanto si sustanzia in quel momento
non può essere considerato obsoleto
e decaduto solo perché escluso da fattori produttivi
immediati in termini finanziari.
Quanto di esso è antico
fa ancora sentire i suoi effetti nella cultura
e nei costumi delle popolazioni
che vivono nel tempo che scorre ancora oggi.
(Amerigo Degli Atti, nota introduttiva a
"La millenaria miniera di salgemma di Lungro"
di Alfredo Frega, "Calabria turismo" n. 22-23, 1975)
Notizie storiche
Era già nota quando i colonizzatori greci abitavano Sibari. Poi del salgemma si servirono i romani, come ricorda Plinio "il naturalista" il quale, venuto in Calabria essendo prefetto della Flotta Romana di stanza a Misseno, accenna nella sua "Storia Naturale" della presenza, in questa parte della regione, dei cristalli balbini (per la vicinanza del sito ad Altomonte, lantica Balbia). Dallanno mille la miniera fu di appartenenza ai feudatari della zona.
Nel 1145, Ogerio del Vasto, conte di Bragalla, lodierna Altomonte, proprietario dei terreni in cui si trovavano i depositi di salgemma, assegnò una soma al mese di minerale al monastero di Acquaformosa: " et in Salina nostra Brahallae damus ut recipere debeat omni tempore una quaque hebdomada salmam salis, videlicet tumulus octo per salman".
Nel 1156, il conte Ogerio eresse a Lungro un
monastero basiliano dedicato a "Santa Maria delle Fonti" e successivamente, con atto di donazione del 1197, agli abati diede "in perpetuum" i diritti di giurisdizione civile e mista sugli abitanti del casale e quindi anche la miniera, dove poterono continuare a lavorare gli abitanti del luogo, quasi da sempre tutti dediti allattività estrattiva.Nella seconda metà del XV secolo, si presume lanno 1486, giunsero i profughi dallAlbania che dovettero abbandonare a seguito delloccupazione ottomana determinatasi dopo la scomparsa delleroe nazionale
Giorgio Castriota Skanderbeg , avvenuta ad Alessio nel 1468. I nuovi arrivati ripopolarono il casale e trovarono subito lavoro in miniera.Lestrazione del sale interessò anche i Normanni. Fu Federico II a stabilirne il prezzo ed a organizzare la distribuzione e la vendita, ponendo in tal modo fine alla privatizzazione con lespropriazione dei poderi interessati.
La miniera ebbe il suo primo responsabile nella persona di un ingegnere, il suo primo regolamento tecnico ed amministrativo nel 1811 allorquando passò in proprietà del demanio, sotto il regno di Gioacchino Murat ed un anno dopo fu costruito il primo fabbricato e disegnata la prima pianta della miniera. Allinaugurazione, si racconta, presenziò lo stesso Murat che, dal balcone del nuovo edificio, assistette alla celebrazione di un matrimonio (martesa) secondo la tradizione albanese, rimanendo affascinato sia dal rito bizantino sia dagli splendidi costumi delle donne. Ai fortunati sposi, come regalo, assegnò otto carlini al mese.
Nel 1825 Gregorio Galli, ufficiale del Genio, ideò ed aprì il primo pozzo verticale di 81 metri che migliorò subito le condizioni igieniche della miniera.
Una descrizione dellinterno della miniera cè offerta dal geologo Pilla che nel 1835 si recò a Lungro durante una sua visita in Calabria, considerando quella salina, peraltro sconosciuta, per grandezza al pari delle altre più famose del globo. Il salgemma, secondo il Pilla, si presentava come un enorme ammassamento, con ampie ma disordinate gallerie disposte in quattro piani, lultimo dei quali lo si raggiunge scendendo ben 1200 gradini intagliati nel sale. Di sale si presentano pure le pareti e la volta. Uno scenario surreale si sarà presentato allo studioso, come ai moltissimi "turisti" che giungevano da ogni dove per visitarla. Il sale ai suoi occhi si presentava ora bianco e purissimo, ora bigio e non puro. "Messo una volta piede nel deposito salino, scriveva il Pilla, non si vedea altra cosa che sale infino al punto più basso della miniera".
Nel 1850 le gallerie salifere, per merito dei dirigenti Fava e Morrone furono consolidate con pilastri in muratura e riempimento dei vuoti con i materiali di rifiuto, per ulteriore sicurezza agli operai. A decorrere da quellanno la miniera di salgemma, che anticamente si chiamava "Miniera di Altomonte", prese il nome definitivo di "Salina di Lungro", tanto a seguito della istituzione delle nuove circoscrizioni.
I minatori di Lungro scrissero pagine di eroismo durante il Risorgimento. In massa accorsero come volontari a combattere il Borbone nelle battaglie a SantAngelo e Campotenese e, nelle file garibaldine, sul Volturno.
Gli anni che seguirono furono caratterizzati da continue modifiche dei metodi estrattivi e di coltivazione del salgemma che hanno fatto della vecchia ed antica miniera un raro esempio di "architettura sotterranea", essendo essa una delle più vaste dEuropa, non seconda, a detta degli esperti, a quelle più famose di Bochnia e di Vieliczka in Polonia.
Nel 1871 fu introdotto luso della polvere che ridusse i tempi estrattivi, un tempo lunghi e dispendiosi. La roccia, al termine della giornata lavorativa, era frantumata e distaccata per mezzo di mine introdotte su appositi fori realizzato con le perforatrici manuali. Il mattino seguente il materiale caduto era pronto per la cernita.
Da una relazione del geologo Tamarelli del 7 marzo 1880 si legge che " il campo coltivato del deposito di salgemma di Lungro era di circa 100 metri di larghezza per 300 metri di lunghezza con sezione irregolarmente elittica, quasi una grande lente, constratificata colle argille; che gli scavi infine si sprofondano 220 metri, senza che vi sia indizio di diminuzione del minerale. Si afferma daltronde esser quel sale senza confronto il migliore che sia somministrato dalle saline del regno, per la purezza, pel sapore e per la sua bianchezza quando è rivolto in polvere ". Lo studioso indica, altresì, alcuni dati interessanti sulla produzione. Nel 1880 era di 60,000 quintali, al costo di £. 2,90 al quintale, con la possibilità di un aumento della produzione a 400,000 quintali, se il consumo si potesse estendere oltre i confini delle due regioni limitrofe. "Termino col ricordare scrive ancora il Tamarelli insieme al deposito salino, la popolazione del comune di Lungro, della quale una buona parte, cioè circa 400 uomini, lavora in miniera. I più, instancabili e pazienti come formiche, salgono e scendono in doppia corrente quel migliaio e mezzo di gradini, nudi, trafelati, ansanti; e salgono portando sul dorso almeno quaranta chilogrammi di sale. Altri con grande abilità, profittando di un cotal clivaggio marcatissimo della roccia, ne sfaldano dei grossi parallelepipedi, che con grande rumore cadono sul suolo delle ampie camere di escavo, si rompono in pezzi minori e danno poi da fare alla categoria dei cernitori. Il materiale meno puro, che però contiene sempre almeno quattro quinti di sale viene gettato negli sterri e disperso da un rivoletto presso la bocca della miniera. Allestremità di un pozzo vidi un argano, ma non funzionava. Il trasporto a spalle è più economico, e quella gente non guadagna più di una lira al giorno". Lo studioso non muove osservazioni nella sua relazione, ma termina col dire: "Al naturalista tornò assai consolante quel bel saggio del carattere calabrese, che dà il popolo di Lungro; né fu quella la sola occasione, in cui mi persuasi che nessuna popolazione meglio di quei montanari potrà dimostrare col tempo la fallacia di un proverbio, che alla bellezza della natura pone in desolante contrasto la tristizia della gente".
Nel 1881 lingegnere Giovanni Bellavite salvò la miniera che stava per essere abbandonata essendosi prolungati i trafori di ricerca e la ventilazione venuta a scarseggiare. Bellavite fece aprire un nuovo pozzo di estrazione che, scendendo fino ai 250 metri, ha potuto risolvere il problema, salvando nello stesso tempo la salute dei minatori e leconomia di una vasta zona. Esso collegava tutti i piani: il primo detto "Via dei Plinii" a 77,75 m. di profondità, il secondo "Speranza Terza" a 103 m. e poi "Magliani" a 150 m. e "Garibaldi" a 200 metri. In quello stesso periodo in miniera vennero impiegati i primi strumenti meccanici ad aria compressa.
La miniera era divisa in sei ordini o piani di coltivazione: il primo arrivava fino a 110 metri di profondità, il secondo a 140 m., il terzo a 170 m., il quarto a 200 m. ed il quinto a 250 m.. Da ciascuno di questi piani, dove vi sono i cantieri di lavorazione del sale, si irradiano i trafori di ricerca, molti dei quali abbandonati per mancanza di minerale. Allepoca in cui scriveva il lungrese Ambrogio Martino in una sua pubblicazione del 1926, che tre erano i trafori più importanti: il traforo Ovest, lungo 350 m. circa, per la ricerca del sale in località Pettinaro, allora in attività; il traforo 150, lungo appunto 150 m. abbandonato per la presenza di acqua ed argilla; il traforo 200 allora ricco di filoni di sale puro.
Il trasporto del sale allesterno avveniva da sempre a spalla dagli operai, in condizioni davvero inumane, in seguito circoscritto per la realizzazione dellascensore e la rete dei carrelli della "decouville" ha alleviato. Il Martino così lo descrive: "E questo il lavoro più pesante e demoralizzante che si fa in questa industria; come tanti fantasmi, completamente nudi, madidi di sudore, corrono sperdendosi questi solerti lavoratori, nei meandri silenziosi delle caverne, tra le luci tremolanti, portando sul dorso e per centinaia di metri il peso di 50 kg., cercando di raggiungere con ogni celerità le vie che conducono alla pesatura, ove si ammassa il sale, da distribuire poi ai vari carrelli, che lo portano allimbocco dellascensore. Questo trasporto è a cottimo e non si protrae più di 4 ore, altrimenti costituirebbe un lavoro esaurientissimo, perché è in rapporto ai viaggi che ognuno fa, la remunerazione però è buona, e quindi si viene ad alleviare in qualche modo la sua bruttura".
Qual era limpressione del visitatore nellentrare in miniera: Così il Martino: "La miniera ha il suo ingresso a ponente e scende nellinterno per gradini tagliati nel masso, percorrendo un cammino quasi a spirale, interrotto a ripresa da vari vani, che sono come lanticamera di un meandro di gallerie e trafori, che lasciano nellanimo del visitatore, un impressione di terrore e nello stesso tempo di rude bellezza incancellabile".
Negli ultimi tempi la Salina ha dato lavoro a 300 operai e la produzione si era stabilizzata a 100.000 quintali in media annualmente. Il salgemma era distribuito dai Monopoli di Stato in quasi tutti i centri della Calabria e della Basilicata, sia per uso alimentari sia industriale e conserviero.
Ma la storia della salina non finisce qui. Abbiamo solamente tracciato alcune tappe importanti del suo sviluppo, mentre ancora vi sarebbe tanto da dire sul suo lento declino e sui perché lAmministrazione dei Monopoli di Stato abbia voluto inesorabilmente sbarazzarsi di questo insediamento, unica industria statale della Calabria, nonostante lespresso parere opposto del popolo di Lungro. Grazie alla presenza della salina i lungresi hanno saputo condurre importanti lotte sociali e scioperi, in difesa del diritto al lavoro, della salvaguardia dei salari e della sicurezza degli impianti, in tempi in cui era impensabile qualsiasi rivendicazione, specialmente nei riguardi dello Stato.
Tanto si è scritto su questa miniera. Sarebbe opportuno raccogliere quanto pubblicato. Come sarebbe auspicabile che, finalmente, le testimonianze ancora vive, le cartografie topografiche e quanto ancora è possibile recuperare possano essere raccolte e conservate in un museo della Salina da allestire in quegli stessi edifici, oggi malridotti ed abbandonati, da restaurare, perché nella sua storia è impressa la stessa storia di Lungro e di intere sue generazioni, sin dalla notte dei tempi.
Alfredo Frega
Bibliografia essenziale
Giovanbattista Rennis, La tradizione Bizantina della Comunità italo-albanese. Lungro: il rito, le festività, la storia e le usanze. Editoriale progetto 2000, Cosenza 1993
Giovanni Sole, Breve storia della Reale Salina di Lungro, Edizioni Brenner, Cosenza, 1981
Ambrogio Martino, La Miniera di Salgemma di Lungro, sua storia e sua coltivazione, Cosenza, 1926
Gregorio Galli, Salina di Altomonte, in Calabria citeriore, presso Borel e Comp., Napoli, 1828 (in Calabria Nobilissima, articolo di Fulvio Terzi, n. 68-69, 1980, Cosenza)
Torquato Taramelli, Sul deposito di salgemma di Lungro nella Calabria citeriore, relazione del 7 marzo 1880, in Classe di scienze fisiche ecc. Memorie vol. V°
L. Pilla, Trattato di geologia, vol. II, p. 181