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(Mosaico di Josif Droboniku 1998) Rievocazione di Alfredo Frega

 

La famiglia dei Castriota era di nobili tradizioni cristiane, molto conosciuta nella Repubblica di Venezia. Con i Dukagini, gli Araniti, i Thopia, i Musaqi, i Baleha, gli Spano, i Koia-Zaccaria, gli Spata, gli Zenebisi ed i Gropa, rappresentava la casta feudale più potente dell’Albania di allora. La cittadella di Croia (in albanese Kruja) era la capitale del feudo che si estendeva attraverso i domini di Petrella, Petralba, Stellusio e Sfetigrado.

Giovanni Castriota, il padre del nostro Eroe, fu strenuo combattente di sanguinose lotte contro i turchi. Per consolidare e difendere i suoi possedimenti strinse amicizia con la Serenissima che nel 1413 gli conferì il titolo ereditario di "cittadino veneziano". Quattro anni dopo si professò persino vassallo. Per la lunga ed estenuante lotta contro gli eserciti della Mezzaluna fu costretto a chiedere alla Repubblica di Venezia consistenti aiuti. Questi non furono però sufficienti a fermare gli Ottomani ormai prossimi a conquistare il suo feudo. Anche la Repubblica di Ragusa e la Chiesa di Roma gli vennero incontro, ma con scarsi risultati. Il turco ormai aveva circondato i possedimenti e a Giovanni Castriota non rimase altro da fare che scendere a patti con il Sultano Murat II, il quale lo obbligò al pagamento di un forte tributo e alla consegna dei suoi quattro figli come ostaggi. Tanto avvenne secondo le consuetudini dei conquistatori turchi.

Giovanni Castriota era padre di nove figli dei quali cinque erano femmine. I maschi si chiamavano Giorgio, Costantino, Stanisha e Reposhi. Le figlie andarono spose a feudatari albanesi: Mamiza a Musaqi Tophia, Angela a Paolo Belcha, Angelina a Vladam Araniti, Vlaica a Gin Musaqi e Maria a Stefano Cernovich del Montenegro.

 

Giorgio, secondo il Barlezio (Historia de Vita et Gestis Scanderbegi, Epirotarum principis), fu preso in ostaggio dai Turchi all’età di nove anni. La data è alquanto controversa. Dai turchi gli fu imposto il nome di Scanderbeg (Iskander = Alessandro e bey = signore). Presso il Museo storico di Vienna è conservata la spada datagli dal Sultano per le sue prodezze in campo militare e che porta un’incisione in turco "Al valoroso Scanderbeg". Inizia così per Giorgio un’epoca nuova, una parentesi che lo tiene lontano dalla sua terra, un periodo che lo vede in poco tempo crescere sotto tutti gli aspetti. Il sultano Murat II dispose che gli fosse data una solida educazione al fine di poterlo destinare in un posto di comando. iorgio superò ogni attesa imponendosi su tutti gli altri principi della corte per il suo coraggio e l’intelligenza nell’arte bellica. Divenne ben presto una delle più potenti spade dell’Islam ed ebbe la nomina di sangiacco-bey.

Intanto in Albania, mentre la gente soffriva la tirannia, giunse la fama del giovane Castriota e si iniziò a sperare di un suo ritorno in patria. Emissari della sua famiglia lo raggiunsero di nascosto nel quartiere generale del sultano e lo informarono della drammatica situazione degli albanesi. Il giovane Giorgio non rimase insensibile all’appello ricordandosi di essere figlio dell’Albania e per di più un cristiano cattolico. La decisione di ritornare in patria la prese dopo aver saputo della morte del padre.

Nel 1443 Murat II fu sconfitto dal condottiero ungherese Giovanni Hunjadi a Nissa (Nish) e ciò portò un certo sbandamento nell’intera armata turca. Scanderbeg, approfittando del disordine per porre in essere il suo piano, radunò un manipolo di fidi soldati, quasi tutti albanesi, ed assieme al nipote Hamza, si dileguò rapidamente dal campo.

E’ l’inizio per la piccola Albania di un periodo eroico e tutta l’Europa rimase sbigottita per la titanica lotta che questo popolo, riunitosi in un’unica forza, per un quarto di secolo seppe resistere alle spinte degli eserciti ottomani, le cui intenzioni erano l’invasione dei Balcani, della stessa Repubblica Veneta, per poi giungere a Roma. Un sogno rimasto tale proprio per le gesta dell’eroe nazionale albanese Scanderbeg.

 

Kruja divenne caposaldo delle prime organizzazioni ed il luogo dove Scanderbeg, ora cristiano battezzato, diede inizio alla difficile operazione dell’unificazione in un’unica bandiera delle disparate forze albanesi. Il primo tentativo nel 1444 riuscì solo in parte. Aderirono, oltre a suo cognato Gino Musaqi, altri signori strettamente legati alla famiglia dei Castriota, come i Dukagjni. Riuscì, fondando la "Lega dei popoli albanesi" a comporre un esercito di oltre diecimila uomini ai quali si rivolse con un accorato appello prima di condurli sul campo di battaglia per affrontare il nemico turco. Nel discorso riportato nell’opera citata dal Barlezio, appare in tutta evidenza il dramma dell’eroe, il desiderio di dare alla sua terra la libertà perduta e il progetto di affrontare il nemico che poi si dimostrerà efficace e strategico. Proverbiali sono i suoi piani di battaglia impostati sulla guerriglia nelle aspre gole delle montagne albanesi e nel cogliere di sorpresa il nemico nelle pianure, anche se numericamente superiore. La sua prima battaglia vittoriosa risale al 20 giugno di quello stesso anno. Nel 1450 sconfisse il poderoso esercito osmano guidato personalmente dal sultano Maometto II. Quattro anni dopo rifiutò la pace offertagli dai Turchi, detentori di un vasto e potente impero, e la piccola Albania rimase l’unico paese cristiano in armi contro i musulmani. Kruja rimase sempre l’obiettivo principale dei Turchi che, però, subirono continue sconfitte dagli albanesi negli anni a venire.

 

Scanderbeg, nel frattempo, teneva ben saldi i rapporti con i regnanti d’oltre Adriatico. Nel 1457 venne in Galatina, nelle Puglie, in aiuto di Ferrante d’Aragona, per combattere gli Angioini. Anche i rapporti con i Papi furono stretti. Per la sua indomita lotta contro i turchi gli conferirono il titolo di "Atleta Christi".

Nel 1468 ad Alessio, impegnato ancora in quella sua leggendaria impresa bellica, lo colse la febbre e mori tra il pianto dei suoi fidi condottieri e dell’intero popolo. Scomparve da eroe e non da sovrano, lui amante delle libertà dei domini feudali e delle loro signorie. La sua figura è rimasta un perenne simbolo di fulgido eroismo, anche in tutta la diaspora albanese. Ancora oggi gli Arbëreshë ricordano le sue gesta soprattutto nelle rapsodie e nei canti epici.

Con la sua morte, ebbe inizio la rovina del popolo e delle contrade albanesi. Dopo dieci anni cadde definitivamente l’eroica cittadella di Kruja in mano ottomana ed ebbe inizio l’esodo più consistente di albanesi che si stanziarono in Italia nella provincia di Cosenza.