Che cos'è realmente l'inganno sociale? Dicevamo la volta scorsa che è la sua scoperta che spinge al rifiuto. I1 concetto è stato molto spesso banalizzato, sciupato dall'uso che ne hanno fatto illuministi e anarco-romantici prima, pseudo-ribelli oggi. Effettivamente il quieto vivere, per narcotizzare questo minaccioso interrogativo, si è dato da fare per ridurlo a luogo comune.

In generale si può dire che ingannare significa dire il falso, e dunque sentire l'inganno sociale equivale ad accorgersi che la struttura, entro la quale l'individuo è collocato, mente. Promette valori (in particolare libertà), ma ad un esame anche superficiale incarna, pragmaticamente, lo strumento di poche persone che mirano al loro proprio utile. Un anarchico avrebbe già fin qui abbastanza argomenti per concludere che il sistema è una gabbia che bisogna distruggere. In realtà se questa bugia è funzionale alla collettività, si può anche accettare di essere ingannati, almeno fino ad un certo punto, come vedremo. Dobbiamo inoltre ammettere che si tratta di una menzogna congenita ad ogni cultura, e pertanto precisare che ogni rivoluzione ne porta una con sé. Credere di svincolarsi da questa imposizione, più o meno forte, è utopia. Il patto sociale lascia un relativo margine decisionale all'individuo,  che per l'altra metà deve dirsi cittadino. Per essere realisticamente crudi possiamo dire che il "cittadino" quanto più crede all'inganno, tanto più è condizionato dall'aspetto artificiale della sua esistenza comunitaria. Si riduce a "mezzo" da ideale fine della società man mano che perde la sua già limitata libertà.

Il ribelle condanna l'ultima fase di questo processo: il "farsi zero" dell'uomo sociale, inteso come risultato ultimo dell'azione mistificatoria di una certa educazione. Non abbiamo scoperto niente di nuovo: se ne parla dal secolo XVI. Montaigne prima, i libertini dopo, e infine gli illuministi hanno visto nell'educazione non illuminata da critica ragione il primo passo verso ogni assolutismo. Se intendiamo tale educazione come limitazione e controllo di  individui potenzialmente (seppur parzialmente) liberi, in quest'ultima metà di secolo i media sono stati utilissimi a questo scopo. I media contribuiscono a creare "cittadini" congeniali ad una certa politica: l'uomo "mezzo" ha un mucchio di opinioni su questioni di nessuna importanza, le esprime con gli amici, è gratificato e non rompe le scatole a nessuno. Se poi guarda il programma che ho ideato io per lui e compra le Nike Air vattelapesca vuol dire che mi sto avvicinando al suo centro nevralgico. E' prevedibile: non scoprirà mai la contraddittorietà del sistema, e pertanto sarà facile fargli credere ciò che credo io.  L'educazione impartita al cittadino in qualsiasi democrazia odierna non è molto più aperta di quella impartita in un regime. Solo che lì si gioca con l'ignoranza, qui con l'ignoranza travestita da scienza. Per quanto indiscutibilmente in uno stato democratico attuale ci sia più libertà che sotto una dittatura, le due realtà sono proporzionali. La dittatura è persino più sincera: il suo controllo sulle menti è esplicitato dalle armi. In democrazia è tutto più ambiguo, il condizionamento è invadente ma è sempre coperto da un ottimismo di facciata.

L'informazione ufficiale (che è quasi la totalità dell'informazione) s'insinua nel privato del cittadino nelle più disparate maniere (giornali, televisioni, internet, propagande) ponendogli una visione mediata della cose. Certo, il problema dell'obiettività della comunicazione è sempre esistito e la mediazione del giornalista o del politico è necessaria. E' altrettanto vero che molto spesso i mediatori non se lo pongono nemmeno questo problema. Un po' di retorica e il fatto passa in secondo piano. Ciò che conta è l'interpretazione. Non per niente l'industria delle pubbliche relazioni spende miliardi. Gli "interpreti" sanno convincere il "cittadino" che il suo mondo obiettivo si allarga anche ai prodotti mediatici, costringendolo a prendere come verità,  come evidenza immediata, ogni informazione di parte. Nessun potere  può fare a meno di loro. Può essere più raffinato, più civile, più umano di un regime, ma non per questo rinuncia ad arruolare menti al suo servizio. Fa comodo possedere degli automi, fa ancora più comodo possedere automi che credono di non esserlo. In ultima istanza qui troviamo l'inganno: la società mi promette di poter pensare con la mia testa, ma non mantiene. Mi indica cosa mi deve piacere e cosa non mi deve piacere. Mi mostra fini preconfezionati, in serie. Chi si adatta ad essa vive beato, ma limitato. L'individuo che scopre la bugia è turbato, impotente, ma è obbligato a cercare una propria personale libertà dietro la menzogna. Senza rivoluzioni, senza violenza, senza altre menzogne, mutando all'interno innanzitutto, e provando a mutare l'esterno.

Incamminandosi verso il bosco il ribelle, che non si fida di chi l'ha ingannato una volta, pensa a quella frase di Cartesio: "Libertà è l'agire in modo da non sentirsi costretti da nessuna forza esteriore", e la prende come prima verità, dopo tanta afasia.


APORIA: Macchine da indottrinamento

di Lorenzo Baravalle