Il museo nazionale del cinema di Torino, inaugurato in pompa magna nel luglio scorso, rappresenta una fra le più importanti e significative realizzazioni all'interno del complesso di iniziative culturali e urbanistiche che, ormai da alcuni anni, stanno interessando la città in vista delle Olimpiadi invernali del 2006, ma indirizzate più in generale alla riqualificazione e valorizzazione degli spazi e delle risorse cittadine.

Soluzioni espositive all'avanguardia, frutto di un originalissimo allestimento scenografico, una cornice suggestiva e imponente come la Mole Antonelliana e soprattutto una grandissima quantità di materiale documentario (cinematografico e non) di prim'ordine sono le carte vincenti di una struttura che può a ragione fregiarsi del titolo di unica in Europa.

Incamminandoci su per scale e piattaforme (da sottolineare come nel progetto di ristrutturazione si sia tenuto conto delle esigenze dei disabili) incontriamo, come prima tappa del nostro itinerario, la sezione dedicata all'archeologia del cinema, ovvero a quel florilegio di macchine variopinte e meravigliose che precedettero l'invenzione del cinematografo, un vero e proprio paese dei balocchi dove è possibile sperimentare dal vivo la perfezione tecnica e la grandissima suggestione di piccoli gioielli d'epoca tra cui: lanterne magiche, teatrini di ombre, giocattoli ottici e altre "fantasmagorie"; una festa per gli occhi e per la fantasia, velata di sottile malinconia per un tempo ormai lontano, una panoramica completa ed esauriente a testimonianza di come Torino, grazie all'impegno ormai cinquantennale di Adriana Prolo e della fondazione a lei intitolata, possa vantare una fra le collezioni di oggetti precinematografici più ricche al mondo.

Proseguendo la visita un percorso guidato ci accompagna alla scoperta di una raccolta di reperti storici assolutamente imperdibili tra cui: rare foto di scena, strumenti e materiali di lavorazione originali, pagine dalle sceneggiature di "Quarto Potere" di Welles e di "Effetto notte" di Truffaut con appunti autografi dei registi, contratti e documenti di lavorazione, oltre ad un'incredibile collezione di memorabilia che farebbero la gioia di ogni cinefilo feticista, e cito alla rinfusa: una delle bombette di Charlie Chaplin, un bustino di Marilyn Monroe, una sciarpa di Fellini, il vitello d'oro dal film "I dieci comandamenti" (!) di Cecil B. de Mille.

Ogni passaggio relativo all'assemblaggio e alla costruzione filmica, dalla prima stesura della sceneggiatura al lavoro di post-produzione, è illustrato con il supporto didattico di numerosi frammenti scelti fra i più celebri e significativi della storia del cinema; completa il tutto una raccolta di manifesti e di materiale iconografico originale relativi ai più grandi successi di tutti i tempi.

Nella sala centrale, che rappresenta il volto ludico e spettacolare dell'esposizione, troviamo una serie mozzafiato di ambientazioni splendidamente ricostruite, ognuna dedicata a un particolare genere o a un'ossessione tipicamente cinematografica: ecco dunque la cappella del Golem, dall'omonimo film, o l'interno del tempio di Moloch dal kolossal torinese "Cabiria", tutti corredati da contributi visivi in tema (in questo caso la scelta degli spezzoni è apparsa quantomai discutibile: che ci fa "Romeo e Giulietta" con DiCaprio accanto al "Vangelo secondo Matteo" di Pasolini?).

Sotto la splendida volta della Mole è infine possibile assistere alla proiezione di due brevi film di montaggio: un tributo alla piccola ma operosa Torino di celluloide e un omaggio al grandioso progetto di Sergio Amidei consistente nel sogno di realizzare una serie di lungometraggi sulla storia d'Italia attraverso pagine tratte dai migliori film che hanno unito il discorso artistico a quello storico-politico sul nostro paese.

Giudizio dunque ampiamente positivo per una struttura che offre una preziosa occasione per aprire gli occhi in maniera diversa su un mondo tanto affascinante e fare un tuffo nella "materia di cui sono fatti i sogni"; in conclusione, due brevi considerazioni personali su questa operazione cultural-spettacolare così abilmente orchestrata e giustamente remunerativa.

Innanzitutto ho vivamente apprezzato la scelta di fornire un quadro d'insieme semplice e ragionato dei tratti salienti del congegno cinematografico, senza trascurarne o banalizzarne alcuno, ma facilitandone la fruizione con una presentazione piacevole e accattivante; se i musei rappresentano infatti uno degli ambienti in cui proliferano gli eruditi dell'aria fritta, i guru della citazione, odiosissima specie di individui che non riescono a trattenersi dal rovesciare valanghe di conoscenza su tutto ciò che si trovano innanzi, l'esposizione torinese rappresenta a questo proposito una piacevole eccezione, mettendo fianco a fianco lo studioso di cinema e il semplice appassionato e azzerandone la distanza culturale in virtù di un comune, ammirato stupore di fronte a uno tra i più eclettici e multiformi orizzonti della creatività umana: tutti a bocca aperta e per una volta nessuno che parla, questa sì che è democrazia!

Il tarlo che però, molto modestamente, mi sento di insinuare, più un vago solletico che un dubbio vero e proprio, è questo: in una Torino proiettata nel nuovo millennio con un'infinità di iniziative sempre più ambiziose, travolta dalla frenesia di conquistare un posto di spicco tra le capitali della cultura e del turismo europee, con un festival del cinema (per restare in argomento) sempre più bello e ricco di manifestazioni parallele, il museo della Mole non corre forse il rischio di diventare, proprio in virtù di questa sua vocazione "popolare", un gigantesco luna-park in grado di attirare visitatori da tutto il mondo, perdendo così di vista l'attitudine e lo scopo principale di ogni

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