Leggo con piacere e avidità - quando mi passa sottomano - il vostro «Foglio culturale» e sono stato piacevolmente sorpreso dai titoli del numero di ottobre. Infatti animano le vostre pagine non solo riflessioni letterarie e poetiche, ma soprattutto un impegno (engagement) di tipo civile e di costume che sa pensare anche… al fenomeno religioso e del sacro. E così mi sono lasciato tentare ed ho letto non solo i titoli, ma anche gli articoli, tra cui due su cinque (Islam in Italia; Il Giubileo della ragione) appunto osano "pensare il religioso e il sacro come fenomeno di costume".

Mi ritrovo ora con un paio di meditazioni (inattuali, direbbe Nietzsche) che vorrei condividere (altrimenti i pensieri muoiono, il passato si seppellisce e gli articoli rimangono delle… macerie).

Prima meditazione: i valori ed il dialogo.

Nel primo articolo si solleva un problema di attualità - poche volte finora affrontato in modo riflesso e "non urlato" - ponendo sullo stesso piano molti aspetti (Stato, religioni differenti, valori e fondamenti del vivere sociale, soluzioni possibili…). Riprendo solamente la vostra (di Marco Milanesio e di Andrea Coletti) conclusione per evidenziare un problema: non è possibile «una soluzione» che preveda «una valutazione equivalente delle tematiche sollevate da entrambe le parti» e poi pensare - con don Ciotti - che l'alterità non debba rappresentare una minaccia. In altre parole, non è possibile (anche per Biffi!!) pensare i fenomeni religiosi dall'esterno, in quanto tutti rimandano a ciò che li sostiene: la fede - seppur differente - in Dio. Ed inoltre, questa è la nostra difficoltà di "occidentali" (tra cui stanno non solo Biffi & i conservatori, ma pure i musulmani che vivono da decenni in Europa): ritenere che il nostro pensiero illuminato ed illuminista sia una teoria valida in eterno, mentre è stata una politica necessaria per qualche stagione. Insomma il punto di partenza non sono i valori occidentali, ma l'affrontare i problemi realistici di integrazione religiosa e culturale, qui e là in Medio Oriente. Questo è il dialogo autentico, che scalzerà - ed è questa la gran fortuna di vivere oggi - i nostri schemi e favorirà non tanto una "religione universale", ma la possibilità di espressione di tutte le fedi.

Seconda meditazione: la ragione ed il Giubileo.

Andrea Gerbaudo riprende un episodio "culturale" in margine alla Giornata Mondiale della Gioventù che s'inserisce in un dibattito - ormai secolare e… stantio - tra fede e ragione. Per l'intellettuale moderno post-cartesiano, sia laico che cattolico, la fede e la ragione non sono più sorelle - ma nemiche - tant'è che il credente spegnerebbe il cervello prima di entrare in Chiesa, mentre l'ateo o il non credente "viaggerebbero sempre con il motore acceso" della ragione. Anch'io concordo «che basta ragionare un po', per capire che non c'è nulla di cui giubilare», ma si tratta di evidenziare i motivi - cosa che non si vede nell'articolo - sia per ragionare (tutti hanno la ragione, ma… tanti non la usano) che per giubilare, ovvero per credere.

In altri termini anche per ragionare si tratta di evidenziare il "perché" (i motivi, appunto), cosa che evidentemente tra Ratzinger e Flores D'Arcais in quel "salotto romano e televisivo" non si è detto, anzi si è sospettato. Ciò che interessava laggiù era l'audience o meglio, far restare nel salotto o nel tubo catodico la fede e la ragione, che solamente "a tavolino" si possono separare e dividere: questa è «la radice di tutti i mali», e non altre. Nella vita invece accade che il credente ed anche il non-credente vivano appunto di fede, ed anche quando ragionano; infatti da quando si nasce siamo invitati a vivere non perché "ragioniamo tanto", ma se ci affidiamo-confidiamo-ci fidiamo, insomma del mondo che ci è affidato dagli adulti. E Gesù Cristo ha rivelato (e non solo dimostrato!) con la sua incarnazione che tutto ciò riguarda Dio. Per questo tanti giovani sono stati alla GMG ed hanno giubilato, perché la fede è il sapere e l'intelligenza di chi crede.


Tra Ragione e Religione

di Damiano Raspo