«Lo stato indigente delle nostre lettere, la loro incapacità di attrarre, hanno dato luogo ad una superstizione dello stile, a una distratta lettura di attenzioni parziali».* 

Così Borges ritraeva la letteratura di quegli anni (per la cronaca è il '30), in questa "discussione", così acuta, tanto da essere tentato di ripresentarla nella sua interezza e con tutto il suo valore effettivo e profetico. Ragionamento valido sia per la prosa sia per la poesia, ma soprattutto per la prosa in decadenza degli ultimi tempi, dato che almeno la poesia (non sempre) non la si pubblica così facilmente come un romanzo scadente.

La Loewenthal qualche tempo fa, in un suo articolo, lamentava la carenza di buoni scrittori comici e la presenza di troppi scrittori austeri o boriosi. Non credo abbia tutti i torti, ma non riesco neppure a darle pienamente ragione, poiché di scrittori che vorrebbero essere comici e comici che vorrebbero essere scrittori ce ne sono a volontà, ma senza buoni esiti per entrambe le "categorie". In altri casi, comunque, sappiamo bene che non è la serietà a dare valore al libro. Poi, abbiamo i boriosi i quali vorrebbero essere scrittori e gli scrittori che vorrebbero essere seri, perché il letterato deve essere sfigato e incazzato, affronta solo argomenti elevati e ardui, etc.., naturalmente anche loro come sopra si sono persi. Io lamento la mancanza di una letteratura con la L maiuscola.

Ciò che caratterizza invece il panorama letterario italiano degli ultimi vent'anni (ovvero il periodo che più mi e ci riguarda), è l'assenza di forti linee di tendenza (reali s'intende, perché di fasulle ne abbiamo piene le tasche), nel quale è difficile individuare indubitabili talenti o autori che si siano distinti per meriti particolari. Per altro, va tristemente ricordato che proprio questi anni sono stati segnati dalla scomparsa di numerosi autori di gran valore lasciando un vuoto che non è stato colmato dalle generazioni più giovani, creando così un gap culturale difficilmente sanabile.

Ormai, la banalità di certi argomenti, il linguaggio povero o dall'altra i tecnicismi gratuiti - che sembrano quasi dovuti -, sono la norma, prescindendo naturalmente la letteratura dalle valanghe di prosa insulsa che ci viene oggi somministrata, in quantità a dir poco monumentali, dall'editoria di mercato e dagli scrittori della domenica (i quali anche volendo non potrebbero permettersi una tecnica efficace). Altro aspetto importante da considerare, conseguenza di questa situazione, è la potenzialità critica del lettore medio (spesso sprovveduto), che se non tecnico appassionato, rischia di diventare tecnicista compassionevole (ovvero l'ultima cosa di cui ha bisogno la nostra letteratura) e rendere impossibile lo sviluppo tanto anelato.

C'è bisogno di Letteratura, libera da formalismi, erudita, semplice, difficile, sostanziosa, nuova, etc… ma non distruttiva anzi necessariamente costruttiva (visto che anche noi stiamo vivendo un periodo - come già in passato - in cui si tende più a eliminare le tracce del passato che a costruirci sopra qualche cosa di buono) … La letteratura deve essere ricca in stile e contenuto, e a volte ci si può felicemente accontentare anche di una sola di queste due qualità, a patto che ci sia sincerità da parte dell'autore e consapevolezza da parte del lettore, dato che un libro si fa in due (scrittore & lettore togheter).

La Letteratura ha bisogno di letterati sapienti, non di improvvisati letteranti ispirati o di algidi ingegneri del periodo.

La Letteratura è bastarda, e se non fa male non si può chiamare in questo modo, e non serve ad altro che ad allietare i momenti morti del lettore da spiaggia, che legge lo scrittore della domenica chiudendo capitoli e copertine come chiude i barattoli dei cibi insipidi (da discount) comunque consumati per risparmiare. Ricordate, non ci si risparmia in letteratura perché è forse l'investimento più redditizio che può fare la mente umana!

«Rileggo queste annotazioni e penso: ignoro se la musica sa disperare della musica, e il marmo del marmo, ma la letteratura è l'arte che sa profetizzare quel tempo in cui sarà ammutolita e accanirsi sulle proprie virtù e innamorarsi della propria dissoluzione e corteggiare la propria fine».*

* J.L.Borges, "Discussioni", (1930)

                                               

Lo stato indecente delle nostre lettere

di Francesco Calabrese