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ATTRAVERSAMENTI 2001
una generazione di mezzo
Casa Olla [Quartu S.E.], 19 maggio, 26 giugno 2001

 
     
 
STEFANO GRASSI

Onde magnetiche si sprigionano dalle gigantografie di Stefano Grassi saturando lo spazio e, allo stesso tempo, dilatandolo illusivamente in un vortice centripeto e centrifugo. Niente è più stabile, niente è più sicuro, proiettati nella dimensione del costante dinamismo, siamo parte di un processo cinetico che ripete il movimento stesso dell'esistenza. I lavori di Stefano Grassi innescano meccanismi intensi, suscitano emozioni forti provocando coinvolgimenti fisici e psichici: la fotografia diventa installazione e trova il proprio equivalente estetico nella sintassi pittorica. Nei grandi riquadri in bianco e nero, corpi nudi si liberano in uno spazio - tempo assoluto dove, superate le categorie relative agli accadimenti comuni, la scena si offre nella teatralità del mito classico. Corpi sorpresi nella simulazione della lotta, del gioco, della competizione; corpi che si incontrano, si sovrappongono, si compenetrano, si respingono in una rappresentazione tragica e dionisiaca. Da anni Stefano Grassi indaga con il mezzo fotografico il nudo, in particolare quello femminile, di cui si serve per proporre una nuova identità, fuori dagli stereotipi, che, particolarmente con quest'ultimo lavoro, approda a soluzioni iconiche di singolare efficacia visiva.


Il nudo femminile era apparso, in precedenza, con ricercata eleganza stilistica, negli audaci scorci compositivi, nelle trasversali angolazioni, nelle brusche sforbiciate che rendevano la visione del corpo lirica e aerea, focalizzata su particolari anatomici restituiti monumentalmente alla visione dallo sfaldamento continuo dell'immagine mai in riposo. La danza sacrale a cui la figura veniva sottoposta faceva sì che questa rispondesse con magica adesione, sollecitata dalla musicalità diffusa in un ambiente naturalistico in cui diveniva necessario amalgamarsi e in cui ritrovare il respiro vitale della terra e dell'aria. L'occhio del fotografo si spostava, veloce e attento, a cogliere il momento ideale consegnato poi alla stampa dove, in ultima analisi, ciò che domina, sempre, sono le ragioni compositive dell'opera. Ora, la visione poetica e sensuale del nudo femminile si è consolidata in una nuova morfologia: l'immagine si duplica e si scolpisce in nuovi volumi che i fondali scuri lasciano emergere con maggiore evidenza accrescendo la vibrazione delle forme trasmessa allo spazio circostante. I confini allargati della scena sospendono i corpi in una nuova statuaria, ritmica e flessuosamente plastica: si precisa meglio, adesso, nel moto avvinghiante dei corpi, la levità delle strutture muscolari trasformate in masse atmosferiche e la deformazione elastica dei nudi infinitamente moltiplicati nel ritmo cadenzato e avvolgente delle forme in movimento. Nelle vertiginose movenze si disegnano profili leggeri come aria, silhouette infuocate, metafore corporee del fluido scorrere dell'acqua.

La sintesi di questi elementi, che Stefano Grassi ha definito metamorfosi, scompone e ricompone continuamente le forme, annullando la sensualità, per porsi al di là del bello e del brutto, del bene e del male, e rintracciare le forze primigenie che muovono l'esistenza. Si assiste così, grazie alla sua abile regia, ad un rituale arcaico e prepotente, ad una danza matissiana condotta nel buio dello scenario da cui i corpi fuoriescono come travolti da un vento impetuoso e costretti a compiere una frenetica e concitata interpretazione pagana.
In queste ultime opere, si rivela inoltre una maggiore attenzione verso l'espressività non solo fisica ma anche mimica e i volti si trasformano in maschere tragiche o crudeli, dolorose o eteree. In questo modo, per Stefano Grassi, il movimento acquista valore non esclusivamente fisico ma diviene l'immagine psicologica del movimento stesso, l'estensione del ritmo motorio alla realtà psichica della coscienza
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