“Lezione di storia” |
Davanti a noi sterminate
e deserte distese. Foreste, paludi, pochi campi coltivati. Lontano, sull’orizzonte,
galoppa Carlo Magno. Va a Roma per farsi incoronare imperatore. I confini del
suo impero sono indefiniti, comunque non si trovano sulla carta geografica.
Egli continua a galoppare, di là e di qua dalle distese paludose e dalle
foreste s’intravedono rovine. Nelle abbazie i monaci copiano libri. Come Carlo
Magno, anch’essi non si distolgono mai dalle stesse occupazioni: lui a cavallo
verso Roma, loro sui libri.
Da ragazzina studiavo
storia con passione, il problema del sale sotto Carlo Alberto mi appariva di
primaria importanza. Quando i più grandi dei miei nipoti arrivarono alla scuola
media, mi accadde di dover spiegar loro, ogni tanto, argomenti storici e mi
resi conto ben presto che nulla della mia passione si era trasmesso loro. Il
maggiore, incredulo, riluttante, mi provocava su quisquilie, sembrava ritenermi
personalmente responsabile della Lotta per le Investiture; qualche anno dopo,
il fratello, rassegnato, rispettoso invece verso le mie stranezze, s’illuminava
se qualche particolare pratico estraeva la storia dalla sua nebbiosa
inverosimiglianza. Ma via via che ci allontanavamo dalle caverne, dalle
piramidi, dai vasi di coccio, era sempre più scoraggiato.
Mi avverte: “Per domani «ho» Tamerlano”.
“Tamerlano? Non è
possibile”.
“Certo, quello che ha
fatto arrivare i turchi in Turchia”.
Gli avvenimenti si
presentano in macchie irregolari, fissati ad appigli casuali, in immagini non
collegate tra di loro. Carlo Magno galoppa, i monaci copiano, Tamerlano rimane
isolato sulla scena, sperso in un indistinto secolo buio. Talvolta qualcuno
sopravvive ai secoli, soprattutto se porta un nome colorito. I vescovi conti,
per esempio, ricompaiono alla vigilia della Rivoluzione Francese, fanno, parte
del clero. Dico: “Non ci sono più da centinaia d’anni”. Mi accorgo che il mio
interlocutore si chiede in silenzio dove sono finiti; c’è un grande abisso
insondabile in cui scompaiono inspiegabilmente, inghiottiti dall’imprevedibilità
della storia, re, comandanti, città, imperi.
Il nipote incredulo
recalcitra davanti alla scoperta dell’America. “Che c’è di straordinario? Non
hanno avuto neppure un incidente”. Cerco di rappresentargli l’immensità dell’oceano,
l’incubo della fine dell’acqua dolce, i mostri marini. Lui va da solo in aereo,
trova che esagero.
Il minore, un po’
schifato, s’interessa allo scambio di epidemie tra il Vecchio e il Nuovo Mondo.
E’ un po’ dubbioso quando gli spiego che gli indigeni sono morti a migliaia di
morbillo e noi, del resto, di sifilide. Ma si cura? Si cura e intanto si può
anche prevenire. “Ah sì, - dice soddisfatto, - col profilattico, si capisce”.
Il momento peggiore lo
passiamo durante la Rivoluzione Francese. “D’accordo, è giusto che tutti gli
uomini siano uguali, ma perché tagliare la testa a Maria Antonietta?”.
Il popolo insorge,
prende la Bastiglia, è l’inizio d’una nuova era. Il miscredente s’indigna: “Ma
dov’erano le forze dell’ordine?”.
Non si commuove neppure
quando gli canto la Marsigliese. Semplicemente non mi crede, non mi crede
affatto. Non capisce perché la cosa dovrebbe riguardarlo.
“Ma era vero che Danton
era corrotto?”. Certo, non tutta la sua ricchezza aveva un’origine pulita, ma
era pur sempre un grande uomo politico, aveva tenuto in piedi l’esercito,
conservato il consenso popolare. “A me piace Robespierre. Era onesto”.
Lo abbandono ai suoi
insegnanti delle superiori, se la caveranno loro con tutte le rivoluzioni
successive.
Col fratello minore,
ormai in IV ginnasio, ottengo un successo insperato anche se un po’ improprio,
poiché dovuto a mezzi, come dire, multimediali. Riesco a fargli leggere “Guerra
e Pace”, che ho purgato nelle parti più lunghe, riassumendo pure le
conversazioni in francese. Dopo, guardiamo insieme il film americano, vedo che
si accorge dei tagli e nota le semplificazioni. Sarò riuscita ad evitare che
Napoleone fugga per sempre in slitta dalla Russia, come per sempre Carlo Magno
galoppa sull’orizzonte verso Roma?
La sorellina dei due è
un’implacabile prima della classe. Studia anche storia, naturalmente, seppure
con freddo disdegno e senza passione alcuna.
Non servo più a nulla,
evidentemente.
L’anno scorso, tuttavia,
Daniele, nove anni, mi chiede: “Nonna, tu facevi religione o alternativa?”
Sul momento mi abbasso a
un compromesso: “Alternativa, come te”.
In fondo, mi giustifico,
la mia ora di religione al Collegio Valdese, lo studio della Bibbia per cinque
anni, dalla Genesi all’Apocalisse, può ben essere considerata alternativa a una
cultura religiosa di schiacciante maggioranza.
Ma ricado nella tentazione: al momento
opportuno, mi dico, gli dovrò pure spiegare che ci sono altre religioni oltre
la cattolica romana. Però, mi crederà? E se non mi credesse?
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03/01/01