MARINA JARRE

“Lezione di storia”

Davanti a noi sterminate e deserte distese. Foreste, paludi, pochi campi coltivati. Lontano, sull’orizzonte, galoppa Carlo Magno. Va a Roma per farsi incoronare imperatore. I confini del suo impero sono indefiniti, comunque non si trovano sulla carta geografica. Egli continua a galoppare, di là e di qua dalle distese paludose e dalle foreste s’intravedono rovine. Nelle abbazie i monaci copiano libri. Come Carlo Magno, anch’essi non si distolgono mai dalle stesse occupazioni: lui a cavallo verso Roma, loro sui libri.

Da ragazzina studiavo storia con passione, il problema del sale sotto Carlo Alberto mi appariva di primaria importanza. Quando i più grandi dei miei nipoti arrivarono alla scuola media, mi accadde di dover spiegar loro, ogni tanto, argomenti storici e mi resi conto ben presto che nulla della mia passione si era trasmesso loro. Il maggiore, incredulo, riluttante, mi provocava su quisquilie, sembrava ritenermi personalmente responsabile della Lotta per le Investiture; qualche anno dopo, il fratello, rassegnato, rispettoso invece verso le mie stranezze, s’illuminava se qualche particolare pratico estraeva la storia dalla sua nebbiosa inverosimiglianza. Ma via via che ci allontanavamo dalle caverne, dalle piramidi, dai vasi di coccio, era sempre più scoraggiato.

Mi avverte: “Per domani «ho» Tamerlano”.

“Tamerlano? Non è possibile”.

“Certo, quello che ha fatto arrivare i turchi in Turchia”.

Gli avvenimenti si presentano in macchie irregolari, fissati ad appigli casuali, in immagini non collegate tra di loro. Carlo Magno galoppa, i monaci copiano, Tamerlano rimane isolato sulla scena, sperso in un indistinto secolo buio. Talvolta qualcuno sopravvive ai secoli, soprattutto se porta un nome colorito. I vescovi conti, per esempio, ricompaiono alla vigilia della Rivoluzione Francese, fanno, parte del clero. Dico: “Non ci sono più da centinaia d’anni”. Mi accorgo che il mio interlocutore si chiede in silenzio dove sono finiti; c’è un grande abisso insondabile in cui scompaiono inspiegabilmente, inghiottiti dall’imprevedibilità della storia, re, comandanti, città, imperi.

Il nipote incredulo recalcitra davanti alla scoperta dell’America. “Che c’è di straordinario? Non hanno avuto neppure un incidente”. Cerco di rappresentargli l’immensità dell’oceano, l’incubo della fine dell’acqua dolce, i mostri marini. Lui va da solo in aereo, trova che esagero.

Il minore, un po’ schifato, s’interessa allo scambio di epidemie tra il Vecchio e il Nuovo Mondo. E’ un po’ dubbioso quando gli spiego che gli indigeni sono morti a migliaia di morbillo e noi, del resto, di sifilide. Ma si cura? Si cura e intanto si può anche prevenire. “Ah sì, - dice soddisfatto, - col profilattico, si capisce”.

Il momento peggiore lo passiamo durante la Rivoluzione Francese. “D’accordo, è giusto che tutti gli uomini siano uguali, ma perché tagliare la testa a Maria Antonietta?”.

Il popolo insorge, prende la Bastiglia, è l’inizio d’una nuova era. Il miscredente s’indigna: “Ma dov’erano le forze dell’ordine?”.

Non si commuove neppure quando gli canto la Marsigliese. Semplicemente non mi crede, non mi crede affatto. Non capisce perché la cosa dovrebbe riguardarlo.

“Ma era vero che Danton era corrotto?”. Certo, non tutta la sua ricchezza aveva un’origine pulita, ma era pur sempre un grande uomo politico, aveva tenuto in piedi l’esercito, conservato il consenso popolare. “A me piace Robespierre. Era onesto”.

Lo abbandono ai suoi insegnanti delle superiori, se la caveranno loro con tutte le rivoluzioni successive.

Col fratello minore, ormai in IV ginnasio, ottengo un successo insperato anche se un po’ improprio, poiché dovuto a mezzi, come dire, multimediali. Riesco a fargli leggere “Guerra e Pace”, che ho purgato nelle parti più lunghe, riassumendo pure le conversazioni in francese. Dopo, guardiamo insieme il film americano, vedo che si accorge dei tagli e nota le semplificazioni. Sarò riuscita ad evitare che Napoleone fugga per sempre in slitta dalla Russia, come per sempre Carlo Magno galoppa sull’orizzonte verso Roma?

La sorellina dei due è un’implacabile prima della classe. Studia anche storia, naturalmente, seppure con freddo disdegno e senza passione alcuna.

Non servo più a nulla, evidentemente.

L’anno scorso, tuttavia, Daniele, nove anni, mi chiede: “Nonna, tu facevi religione o alternativa?”

Sul momento mi abbasso a un compromesso: “Alternativa, come te”.

In fondo, mi giustifico, la mia ora di religione al Collegio Valdese, lo studio della Bibbia per cinque anni, dalla Genesi all’Apocalisse, può ben essere considerata alternativa a una cultura religiosa di schiacciante maggioranza.

Ma ricado nella tentazione: al momento opportuno, mi dico, gli dovrò pure spiegare che ci sono altre religioni oltre la cattolica romana. Però, mi crederà? E se non mi credesse?

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03/01/01