MARINA JARRE

Introduzione a “Scusa i mancati giorni”

di Daniele Leandri

Arrivando da Torino, il castello di Rivoli si vede da lontano; Rivoli, anzi, sembra il suo castello, un enorme ammasso rigido di mattoni che invade la sommità del colle. La collina è ripida, non appena ci s’incammina dalla fermata dell’autobus verso una delle vie che sale - da ogni parte salgono vie e viuzze - il castello scompare. E subito su chi obliqua nelle stradine che si dipartono in curve dalle vie principali, incombono muri. Le case di Rivoli vecchia sono nascoste da muri, lunghi muri che accompagnano chi cammina. Talvolta, proprio nel centro della cittadina, le stesse case sono muri che si arrampicano tra erte scalinate uno sull’altro fino ad altissimi poggioli. Sono, nella buona stagione, poggioli fioriti, e anche al di sopra dei muri sorgono, scavalcano, si gonfiano piante, cespugli, alberi e fiori dai vecchi giardini di Rivoli. Nelle cinte più sconnesse che si trovano ogni tanto, le piante si sono scavate strade per giungere fin nella via.

Sul lato sud la collina si allarga in una discesa ampia e la pianura rimanda la sua luce distante attraverso i portali aperti delle grandi case affacciate sul sole. A chi sale da quella parte, il castello offre alla fine della salita una facciata rosea, interrotta tra il corpo principale e la manica dell’edificio, dall’entrata buia di un tunnel dalle pareti rivestite di mattoni, che conduce da sud a nord. Al primo inoltrarsi le piante appaiono di là di un verde più scuro, riluttante alla luce.

Eppure, di là, il castello ha permesso a un piazzale di ampliarsi, grande, ombroso e lungo; vi giungono da est le vie che salgono da Rivoli, e ne scende ad ovest una larga strada che porta verso la valle di Susa. Ai bordi del piazzale, panchine rivolte verso le vicine mura del castello che chiudono ogni vista, persino del cielo.

Da questo piazzale si avvia verso nord-ovest un ripidissimo viottolo, poco più di una mulattiera. A pochi metri a sinistra, la cancellata e la recinzione di ferro dipinte in bianco di una grande villa, a destra, di nuovo un muro. Dietro, sul declivio, discosta dalla strada, tra i rami ricurvi di alberi da frutta, la casa di Daniele, una casetta vecchia come il muro di cinta; le inferriate e gli infissi hanno ancora tracce di una tinta turchese che pure si ritrova sul portoncino in ferro dell’ingresso. Sul portoncino due cognomi, quelli del padre e della madre di Daniele: Leandri e Conte.

La casetta non è sola sulla ripida collina, tutto intorno si addensano altre piccole case, più nuove, più vecchie, separate tra loro da giardini e orti. Le strade sono strette, alcune con acciottolato, altre in terra battuta. Il largo fondovalle appare illuminato dal sole, ma chiuso a nord dalla mole montagnosa bruna e nuda del Musinè.

A monte, la mattina e nei giorni festivi, sostano nel piazzale i pullman dei turisti e delle scolaresche in visita al restaurato castello, ma la sera e nelle altre ore i passanti sono rari, perché sul piazzale stesso non vi sono case. Pochi prendono la ripida scorciatoia in terra battuta lungo il muro del giardino di Daniele, che ha pure un nome: via Moncenisio. Sin dal piazzale scende dunque lungo il vecchio muro rappezzato in più punti da pietre e mattoni, il silenzio. Scende sin quasi a Borgonuovo, sorto là ai piedi della collina al di sotto del confine di via Roma, ancora bordata di vecchie case e cascine già intervallate da case più nuove. Verso la Val di Susa via Roma conduce alla chiesa e all’oratorio, dall’altra verso il centro di Rivoli.

Borgonuovo, come dice il nome, è nuovo, cioè confuso di costruzioni varie, di officine, palazzine, scuole, negozi, distributori di benzina. Fuori dal silenzio della collina, vi corre il rumore del traffico e del lavoro. Anche qui molti i giardinetti, non più segreti, ma casalinghi e aperti alla vista dietro le basse recinzioni.

Proseguendo per via Roma verso il centro di Rivoli si giunge all’antica piazzetta sbilenca e in discesa dove si trova in una casa barocca il municipio della cittadina, e da lì per la grande via principale «Fratelli Piol» alla stazione dei pullman. Il pullman collega Rivoli a Torino con una corsa ogni cinque minuti. È il luogo dove si incontrano più giovani insieme. Ragazzi e ragazze vanno e vengono, soprattutto all’entrata e all’uscita delle scuole, ma se ne trovano anche nelle altre ore; si radunano in gruppo in fondo al pullman, si scambiano battute da una parte all’altra al di sopra della testa dei passeggeri. E parecchi sono sempre fermi alla stazione di Rivoli e di Torino, in attesa di qualche loro appuntamento, seduti sulle sbarre della ringhiera che delimita la fermata, accovacciati per terra, appoggiati l’uno all’altro in un discorrere masticato di gomma americana o di gelati.

Il pullman corre in una corsa ansiosa verso la città. Si precipita ma si arresta ad ogni pie sospinto ai semafori che segnano i numerosi attraversamenti, alle fermate: Cascine Vica, Aurora, Leumann, Collegno, e già all’entrata di Torino, Aeronautica. Tutto corso Francia, che il pullman percorre nel suo precipitoso e inceppato impeto, è bordato da case, da cartelli, da officine. Si alternano in fila fitta e serrata ancora vecchie cascine e nuovi palazzoni, autorimesse, mercati, fabbriche e nomi, sempre nomi di tutte le parti d’Italia, sulle insegne, sui cartelloni pubblicitari, sui muri delle case. La bandiera delle «Aquile Giallorosse di Catanzaro» sventola a due passi da una vecchia fabbrica piemontese ormai in disuso. Le grandi finestre ricordano l’inizio del secolo.

È una barriera cosi spessa e variegata, ininterrotta, che ti chiedi se davvero dietro vi siano le cittadine delle fermate, o se piuttosto essa non sia costruita del materiale immaginario d’una città del West, pronta per una ripresa cinematografica. Il suo disordine non lascia infatti spazio per ritrovarti in un punto sicuro; se scendi non sai dove in realtà potrai finire: forse, al di là delle facciate, un deserto.

In un solo tratto il pullman si alza fuori dalla barriera, e allora veleggia su una distesa di casette immerse d’estate in un verde informe non altrimenti definibile, un agglomerato di costruzioni scolorite che si estendono sino all’orizzonte che tuttavia qui è presente per pochi minuti, e d’inverno, quando il verde diventa grigio, si amplia e confonde con la pianura. Non ti accorgi di entrare in Torino se non quando già il pullman vi si è inoltrato e alla confusione si è sostituito il rigore degli alti palazzoni sui corsi.

Così ogni cinque minuti il pullman di Rivoli collega la cittadina alla città, al lavoro e alle scuole, ma pure all’avventura spicciola nelle strade e nelle discoteche, ai passi senza orario per i viali, alle stazioni da cui forse partire per altre mete. Alle piazze dove ritrovare altri giovani seduti in cerchio sul prato a fumare, appoggiati a parlottare l’uno all’altro, soli a parlare con se stessi.

 

 

Daniele Leandri

 

 

Suggerisco […] di leggere “Scusa i mancati giorni” (Einaudi) di Daniele Leandri. L’autore è morto di droga nel gennaio 1983. Il suo è un diario assolutamente segreto e pubblicato postumo. L’autenticità delle pagine di Leandri riesce in qualche modo a trasformarsi in scrittura. Da notarsi poi lo sdoppiamento tra chi scrive e il diario individuato, in modo molto curioso, come interlocutore.

Alberto Moravia

 

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03/01/01