Introduzione a “Scusa i mancati giorni” |
Arrivando da Torino, il
castello di Rivoli si vede da lontano; Rivoli, anzi, sembra il suo castello, un
enorme ammasso rigido di mattoni che invade la sommità del colle. La collina è
ripida, non appena ci s’incammina dalla fermata dell’autobus verso una delle
vie che sale - da ogni parte salgono vie e viuzze - il castello scompare. E
subito su chi obliqua nelle stradine che si dipartono in curve dalle vie
principali, incombono muri. Le case di Rivoli vecchia sono nascoste da muri,
lunghi muri che accompagnano chi cammina. Talvolta, proprio nel centro della
cittadina, le stesse case sono muri che si arrampicano tra erte scalinate uno
sull’altro fino ad altissimi poggioli. Sono, nella buona stagione, poggioli
fioriti, e anche al di sopra dei muri sorgono, scavalcano, si gonfiano piante,
cespugli, alberi e fiori dai vecchi giardini di Rivoli. Nelle cinte più
sconnesse che si trovano ogni tanto, le piante si sono scavate strade per
giungere fin nella via.
Sul lato sud la collina
si allarga in una discesa ampia e la pianura rimanda la sua luce distante
attraverso i portali aperti delle grandi case affacciate sul sole. A chi sale
da quella parte, il castello offre alla fine della salita una facciata rosea,
interrotta tra il corpo principale e la manica dell’edificio, dall’entrata buia
di un tunnel dalle pareti rivestite di mattoni, che conduce da sud a nord. Al
primo inoltrarsi le piante appaiono di là di un verde più scuro, riluttante
alla luce.
Eppure, di là, il
castello ha permesso a un piazzale di ampliarsi, grande, ombroso e lungo; vi
giungono da est le vie che salgono da Rivoli, e ne scende ad ovest una larga
strada che porta verso la valle di Susa. Ai bordi del piazzale, panchine
rivolte verso le vicine mura del castello che chiudono ogni vista, persino del
cielo.
Da questo piazzale si
avvia verso nord-ovest un ripidissimo viottolo, poco più di una mulattiera. A
pochi metri a sinistra, la cancellata e la recinzione di ferro dipinte in
bianco di una grande villa, a destra, di nuovo un muro. Dietro, sul declivio,
discosta dalla strada, tra i rami ricurvi di alberi da frutta, la casa di
Daniele, una casetta vecchia come il muro di cinta; le inferriate e gli infissi
hanno ancora tracce di una tinta turchese che pure si ritrova sul portoncino in
ferro dell’ingresso. Sul portoncino due cognomi, quelli del padre e della madre
di Daniele: Leandri e Conte.
La casetta non è sola
sulla ripida collina, tutto intorno si addensano altre piccole case, più nuove,
più vecchie, separate tra loro da giardini e orti. Le strade sono strette,
alcune con acciottolato, altre in terra battuta. Il largo fondovalle appare
illuminato dal sole, ma chiuso a nord dalla mole montagnosa bruna e nuda del
Musinè.
A monte, la mattina e
nei giorni festivi, sostano nel piazzale i pullman dei turisti e delle
scolaresche in visita al restaurato castello, ma la sera e nelle altre ore i
passanti sono rari, perché sul piazzale stesso non vi sono case. Pochi prendono
la ripida scorciatoia in terra battuta lungo il muro del giardino di Daniele,
che ha pure un nome: via Moncenisio. Sin dal piazzale scende dunque lungo il
vecchio muro rappezzato in più punti da pietre e mattoni, il silenzio. Scende
sin quasi a Borgonuovo, sorto là ai piedi della collina al di sotto del confine
di via Roma, ancora bordata di vecchie case e cascine già intervallate da case
più nuove. Verso la Val di Susa via Roma conduce alla chiesa e all’oratorio,
dall’altra verso il centro di Rivoli.
Borgonuovo, come dice il
nome, è nuovo, cioè confuso di costruzioni varie, di officine, palazzine,
scuole, negozi, distributori di benzina. Fuori dal silenzio della collina, vi
corre il rumore del traffico e del lavoro. Anche qui molti i giardinetti, non
più segreti, ma casalinghi e aperti alla vista dietro le basse recinzioni.
Proseguendo per via Roma
verso il centro di Rivoli si giunge all’antica piazzetta sbilenca e in discesa
dove si trova in una casa barocca il municipio della cittadina, e da lì per la
grande via principale «Fratelli Piol» alla stazione dei pullman. Il pullman
collega Rivoli a Torino con una corsa ogni cinque minuti. È il luogo dove si
incontrano più giovani insieme. Ragazzi e ragazze vanno e vengono, soprattutto
all’entrata e all’uscita delle scuole, ma se ne trovano anche nelle altre ore;
si radunano in gruppo in fondo al pullman, si scambiano battute da una parte
all’altra al di sopra della testa dei passeggeri. E parecchi sono sempre fermi
alla stazione di Rivoli e di Torino, in attesa di qualche loro appuntamento,
seduti sulle sbarre della ringhiera che delimita la fermata, accovacciati per
terra, appoggiati l’uno all’altro in un discorrere masticato di gomma americana
o di gelati.
Il pullman corre in una
corsa ansiosa verso la città. Si precipita ma si arresta ad ogni pie sospinto
ai semafori che segnano i numerosi attraversamenti, alle fermate: Cascine Vica,
Aurora, Leumann, Collegno, e già all’entrata di Torino, Aeronautica. Tutto
corso Francia, che il pullman percorre nel suo precipitoso e inceppato impeto,
è bordato da case, da cartelli, da officine. Si alternano in fila fitta e
serrata ancora vecchie cascine e nuovi palazzoni, autorimesse, mercati,
fabbriche e nomi, sempre nomi di tutte le parti d’Italia, sulle insegne, sui
cartelloni pubblicitari, sui muri delle case. La bandiera delle «Aquile
Giallorosse di Catanzaro» sventola a due passi da una vecchia fabbrica piemontese
ormai in disuso. Le grandi finestre ricordano l’inizio del secolo.
È una barriera cosi
spessa e variegata, ininterrotta, che ti chiedi se davvero dietro vi siano le
cittadine delle fermate, o se piuttosto essa non sia costruita del materiale
immaginario d’una città del West, pronta per una ripresa cinematografica. Il
suo disordine non lascia infatti spazio per ritrovarti in un punto sicuro; se
scendi non sai dove in realtà potrai finire: forse, al di là delle facciate, un
deserto.
In un solo tratto il pullman
si alza fuori dalla barriera, e allora veleggia su una distesa di casette
immerse d’estate in un verde informe non altrimenti definibile, un agglomerato
di costruzioni scolorite che si estendono sino all’orizzonte che tuttavia qui è
presente per pochi minuti, e d’inverno, quando il verde diventa grigio, si
amplia e confonde con la pianura. Non ti accorgi di entrare in Torino se non
quando già il pullman vi si è inoltrato e alla confusione si è sostituito il
rigore degli alti palazzoni sui corsi.
Così ogni cinque minuti
il pullman di Rivoli collega la cittadina alla città, al lavoro e alle scuole,
ma pure all’avventura spicciola nelle strade e nelle discoteche, ai passi senza
orario per i viali, alle stazioni da cui forse partire per altre mete. Alle piazze
dove ritrovare altri giovani seduti in cerchio sul prato a fumare, appoggiati a
parlottare l’uno all’altro, soli a parlare con se stessi.
Daniele Leandri
Suggerisco
[…] di leggere “Scusa i mancati giorni” (Einaudi) di Daniele Leandri. L’autore è
morto di droga nel gennaio 1983. Il suo è un diario assolutamente segreto e
pubblicato postumo. L’autenticità delle pagine di Leandri riesce in qualche
modo a trasformarsi in scrittura. Da notarsi poi lo sdoppiamento tra chi scrive
e il diario individuato, in modo molto curioso, come interlocutore.
Alberto Moravia
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03/01/01