MARINA JARRE

“Una telefonata no, quella no”

Molti anni fa, a Natale, ho regalato ad amici un mazzo di magnifici carciofi. M’ero detta: in fondo fanno l’effetto d’una pianta e li avevo avvolti in una carta allegra. Del resto, mi toccava ricorrere alla fantasia per preparare i miei regali poiché avevo pochi soldi e molti amici e mi piaceva pensare a tutti.

Il piacere, appunto, nel fare regali, sarebbe quello di pensarci prima. Uno ad uno passi in rivista le persone a cui li destini e nessuno è uguale ad un altro, dunque a ciascuno toccherebbe un regalo diverso. Il regalo partecipa d’una doppia natura: deve essere adatto a chi lo riceve, ma deve anche avere l’impronta di chi lo porta. Bisogna portarli, infatti, i regali, non depositarli. Si depositano i regali dovuti, specie particolare che non ha il carattere di augurio, ma che serve a ringraziare in qualche modo per un favore ricevuto. Regali bastardi quelli dovuti e non sai neppure se opportuni. Come affidare al mare una bottiglia con un messaggio. Chissà se approderà su qualche spiaggia, se sarà aperta e lo scritto ben accolto. Mi pare che attraverso gli anni, da quel tempo in cui regalavo mazzi di carciofi - ma ho anche regalato una volta, in un momento di estrema penuria, una pannocchia di granoturco, peraltro in una scatola americana - il regalo natalizio abbia subito una graduale trasformazione, via via che diventavamo più ricchi e più dispersi.

Lontano ormai il periodo migliore quando ci si frequentava abbastanza per sapere gli uni degli altri, e, nel contempo, si aveva denaro sufficiente per scegliere a ciascuno ciò che era più adatto. Bisognava incominciare presto a correre in giro per confronti e trovate. Poi accumulare pacchi e pacchettini coi loro biglietti. Passava cosi tutto un mese e nella settimana prima della festa, sera dopo sera, si portavano i doni oppure ci si incontrava per scambiarseli. Era una cerimonia pre-natalizia con i suoi riti. Della cerimonia oggi è rimasto ben poco. Siamo invasi da oggetti, premuti da ogni parte, ci occhieggiano incontro dalle vetrine, si sostituiscono nella loro abbondanza, nei loro colori, nella loro forma e preziosità a qualsiasi sforzo di fantasia. Devi soltanto allungare la mano e pagare. D’altronde non resta per distinguere gli uni dagli altri se non il prezzo. Fare dunque la lista degli amici a seconda del prezzo: questi vale più o meno di quell’altro? Mantenersi su una linea di giustizia egualitaria - difficile - oppure dividere i destinatari in categorie, a seconda dell’anzianità, per esempio, e del numero di volte che ci si è visti nell’anno, o, infine, tristemente, del numero di volte che ci si è telefonati?

Questo della telefonata è un regalo del tutto particolare. Non so che cosa si risveglia verso Natale nell’animo di qualcuno. Sarà l’avvicinarsi d’un bilancio che si traccia alla fine dell’anno (data, a dir il vero, puramente di convenzione) o saranno i programmi natalizi televisivi, ma in mancanza di meglio si telefona. Ma certo, di costui non so più nulla dal Natale precedente! Una tenue sensazione di bontà te ne può sempre venire. Usa talvolta la lettera circolare che ti informa di quel che mese per mese è accaduto in una data famiglia. Usanza lugubre, poiché che cosa può accadere in una famiglia che non accada in tutte le famiglie? Vivere, sopravvivere, invecchiare. Come si risponde a una lettera circolare? “Ringraziamo per la pregiata vostra...”. C’è chi, addirittura, ti prega di trasmetterla ad altri. Vero si è che in tal modo non si fanno preferenze, non vi sono gelosie e l’informazione è, almeno si suppone, la più esatta possibile.

Ma i regali per i bambini? Qui la questione è drammatica. I bambini hanno tutto. Ricevono regali estemporaneamente al di fuori delle feste riconosciute, il regalo è un fenomeno naturale, come il sole e la pioggia.

Capita che davanti a una vetrina io abbia un soprassalto di speranza. Ecco un giocattolo nuovo, non visto nel fornitissimo armadio dei nipoti. Poi mi rendo conto che invece l’oggetto piace a me (quasi vorrei giocarci), ma nell’armadio dei nipoti è replicato non una ma tre volte, in plastica, naturalmente. Tre trenini, quattro camion, scavatrice, scavatore, automobili di tutte le misure, incastri, orribili bambole con seni, cassette di canzoni, libri di fiabe, per altro edulcorate, dove la strega è una vecchina un po’ stramba e i genitori di Hänsel e Gretel li perdono nel bosco con la speranza che le bacche selvatiche nutrano finalmente i figli affamati. La jungla di Mowgli, infine, non è il luogo delle magnifiche avventure, ma un parco della Mandria un po’ pericoloso.

Che cosa possono dunque inventare i nonni? Proporrei loro di regalare se stessi rinunciando a competere con gli oggetti: di presentarsi nudi e crudi con quel che siamo e il poco che sappiamo. Raddrizziamo le favole innanzitutto, che le streghe siano streghe, il lupo cattivissimo, Pinocchio un po’ triste per essere diventato un bravo bambino. Conduciamo i nipoti sul cavalcavia a vedere passare i treni, promettiamo una gita in tram. Cantiamo vecchie canzoni in cui Garibaldi entra in Roma per la breccia di Porta Pia e i camini che fumano sono le nostre belle che si consumano. Qualche mistero non, guasta in una educazione nella quale per forza di cose l’interruttore e il bottone primeggiano. Quanto agli adulti, forse l’unica è di regalare libri. Libri che ci è piaciuto leggere o che ci piacerebbe leggere. A ciascuno il più appropriato. In fondo è ancora un modo di fare conversazione, seppure a distanza.

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03/01/01