“I padri lontani” – Bollati Boringhieri, 1995

Un intrepido personaggio femminile emerge dal confronto tra generazioni e tra mondi lontani.

 

 

 

 

 

 

 

Prendendo a prestito il titolo di un libro precedente dell’autrice, si potrebbe dire che nei Padri lontani – rievocazione autobiografica – si avverte “un leggero accento straniero” che sottrae il racconto a ogni concessione emotiva per restituirlo oggettivato nella precisione della distanza, del controllo prospettico. Sono dunque “lontani”, ma per qualità di stile, la Lettonia dove la scrittrice è nata, il padre ebreo, bello e misterioso “come un principe arabo”, la madre colta ed elegante, severa con sé e con gli altri, e ancora la sorella, la nonna piemontese e la nuova famiglia che la Jarre si costruisce in Italia.

Il romanzesco nasce in queste pagine proprio dall’assenza di un partito preso, nasce quasi dalla provvisorietà evocata nella chiusa del libro e le figure e le vicende sono di un’intensa compiutezza proprio là dove sembrerebbero semplicemente scaturite dallo scorrere del racconto.

Marina Jarre è di cultura valdese e forse a queste sue radici si deve almeno in parte il timbro di spontanea e limpida moralità che rende la sua scrittura aliena dai compiacimenti e dalle astuzie di tanta prosa italiana.

 

“Quale patria, per chi non ne ha nessuna o piu’ di una?”, relazione di Marina Jarre

 

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04/01/01