Un intrepido
personaggio femminile emerge dal confronto tra generazioni e tra mondi lontani.
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Prendendo a prestito
il titolo di un libro precedente dell’autrice, si potrebbe dire che nei Padri lontani – rievocazione
autobiografica – si avverte “un leggero accento straniero” che sottrae il
racconto a ogni concessione emotiva per restituirlo oggettivato nella precisione
della distanza, del controllo prospettico. Sono dunque “lontani”, ma per
qualità di stile, la Lettonia dove la scrittrice è
nata, il padre ebreo, bello e misterioso
“come un principe arabo”, la madre colta ed
elegante, severa con sé e con gli altri, e ancora la sorella, la nonna piemontese e la nuova
famiglia che la Jarre si costruisce in Italia.
Il romanzesco nasce in queste pagine proprio
dall’assenza di un partito preso, nasce quasi dalla provvisorietà evocata nella
chiusa del libro e le figure e le vicende sono di un’intensa compiutezza
proprio là dove sembrerebbero semplicemente scaturite dallo scorrere del
racconto.
Marina Jarre è di cultura valdese e forse a queste sue radici si deve almeno in parte il timbro di spontanea e limpida moralità che rende la sua scrittura aliena dai compiacimenti e dalle astuzie di tanta prosa italiana.
“Quale
patria, per chi non ne ha nessuna o piu’ di una?”, relazione di Marina Jarre
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04/01/01