“Un leggero accento straniero” – Einaudi, 1972

Un romanzo sul mistero della nostra identità, che nessuno scandaglio riesce mai a rivelare completamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

Marina Jarre è tra i pochi scrittori ita­liani d'oggi che abbiano ancora il gusto della costruzione romanzesca solida e precisa: non tanto e non solo il dipanar­si della trama, ma il fitto intreccio dei dialoghi, il chiaroscuro delle psicologie, l'orchestrazione dei temi, la campitura dello sfondo ambientale. Eppure il risul­tato non è quel che si dice il romanzo di pura evasione. Al contrario, i temi che la Jarre orchestra con sicurezza in questo libro (già apparso in una diversa stesura col titolo di Monumento al parallelo) chiamano in causa il nostro modo di es­sere, oggi, e il peso dei condizionamenti storici e ambientali cui siamo sottopo­sti.

Il leggero accento straniero del titolo appartiene a Klaus, che porta con sé un segreto mostruoso, che il lettore non tar­derà a scoprire. Per far perdere le pro­prie tracce, l'uomo sceglie una metropoli industriale: una città dai due volti, in cui il perbenismo della superficie può trovare un suo segreto rovescio demo­niaco; e lì si mimetizzerà abilmente nei panni di un distinto ed efficiente profes­sionista. L'itinerario della nuova identi­tà dello straniero finisce per incrociare quello di un gruppo di giovani amici, cresciuti insieme fin dalle scuole inferio­ri, legati dai sottintesi di un linguaggio comune, e da una comune visione delle cose. C'è Carlin, il più intelligente del clan, indebolito da una sensibilità che sconfina spesso nella nevrosi; c'è Filip­po, il suo «risvolto» efficiente e raziona­le; c'è una ragazza ebrea, Daria; Marianna, dai molteplici amori; e Maria Grazia, e Gino (che diventerà socio di Klaus) e Patrizia, che appartiene a una facoltosa famiglia «bene» e che, sposando lo stra­niero, ne sancisce la definitiva integra­zione nell'ambiente cittadino.

Le loro storie procedono a intarsio si­no all'inquietante epilogo «giallo», un misterioso incidente. Alla narrazione «obiettiva» delle vicende dei giovani, fa da contrappunto il lungo monologo di Klaus, che ripercorre le tappe della sua abiezione.

L'autodifesa di Klaus si fa via via più aggressiva: tende a coinvolgere tutti nel ruolo di coimputati. Per il freddo cini­smo di Klaus, sono le circostanze della vita a far esplodere o meno i mostri che sono radicati inconsciamente in ognu­no. La fenomenologia dell'esistenza of­fre dati troppo contraddittori e oscuri per consentire di emettere sentenze. Il mistero è soprattutto quello della nostra identità, il mistero dell'io che nessun scandaglio riesce mai a chiarire comple­tamente. È il tema del «doppio», dell' «altro» che nascondiamo in noi. Un te­ma che la Jarre, léttone di nascita, ha ri­preso dalla tradizione culturale mitteleu­ropea in cui si è formata, e che ha svolto con originalità e con vigore.

 

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04/01/01