POESIE

Ispirate e dedicate a Matilde


E NON CI SEI

Sei l'amore
sei il dolore
sei la tristezza
sei la gioia
sei la vita
sei la morte
sei tra noi
e non ci sei
sei la rosa
piu' preziosa
che e' fiorita rigogliosa
ma ancor prima
di appassire
ancor prima
di invecchiare
dio ti ha raccolta
e ti ha portato con se
perche' di te aveva bisogno
perche' di te voleva aver cura
perche' a lui sei molto cara
perche' sei pura
perche' sei rara
sei con noi
e non ci sei.

Raffaella Vicigrado


Per Matilde.

Dolcissima, fanciulla
creatura gioiosa, bella e spensierata
Tu che improvvisamente da questo mondo te ne sei andata
i nostri cuori però non hai lasciato,
le nostre menti non hai abbandonato!
Continua da lassù a inebriare le nostre anime col tuo profumo delicato che sa di rose appena sbocciate!
Col tuo sguardo angelico, limpido, innocente
contempla tutti noi quaggiù!
Tu Matilde veglia sul tuo papà, sulla tua mamma, sui tuoi fratelli
accompagnali in ogni istante della loro vita. Illumina i loro cuori con lo sfolgorante splendore
che ti avvolge senza limiti lassù!
Fa che in sogno, essi possano percepire la bellezza accecante in cui tu ora sei immersa,
la gioia immensa della tua anima e fa che torni sui loro volti lo stesso sorriso che a te non mancava MAI !

Antonietta Cirillo


PROFUMO DI MATILDE.

Matilde, fosti tu, o diletta nipotina, la musa ispiratrice
che fe' di me, imberbe all'arte, novel cantor,
giacchè dopo il tristo evento il sonno, invero
amico mai, fuggia del tutto le mie notti.

E sovviemmi di te, piccoletta dai riccioli d'oro
E dagli occhi azzurri e profondi quanto il mare
Che ognun era fiero di recarti in braccio o condurre a mano
Echeggia ancora, il suono argentin della tua voce, squillante, gaia, quasi un cinguettio, bimba felice e bella
bramosa di ogni cosa, mai paga di balocchi e di desii.

Sovviemmi pure di quando, ragazzetta d'energia dirompente Colma, empivi le giornate coi par tuoi, i più cugini, tra quei il figliol mio,che siccome dello stesso piglio tuo
solevi spesso litigar, ma il cor non ti bastava prolungar la tenzone
e dal balcon il nome suo prendevi a nominar, anchei t'amava
e l'infantil trastullo il durava, a quel tempo... Tilde! Piacevanci nomarti

Poscia che, di pubertà soglia varcasti e il dardo di Cupido
Raggiunse le tue vene, fanciulla più gentil giammai conobbi,
celestial viso, angelica figura, regal portamento, e se lo sguardo
altero e fiero spandea sorriso, allor splendea il sole e niun potea
il sostener senza in esso naufragar, ogni segreta cura obliando.

Nobil animo e di premure pieno per chi dié la luce,
per la sorellin tua dolce, roccaforte del piccolo german,
paladina di giustizia e di piedate d'ognun genti
o nostra nata nova d'Orleans giovin pulzella!

Piaciommi anche mentovar di quel tuo particolar modo di manifestar dolor allorché, seppur minuzia feria l'orgoglio,
restavi immota, lo sguardo fiso, e come scorgea sol legger tremor
del labbro basso, così facean a gar le stille ad imperlar le luci
per poi sgorgar copiose solcando il viso.

E noverar il tempo che di malia d'amor cuor traboccava e l'ora s'incantava seduta al sonor legno,
inneggiavi canti pien di dolci melodie che rallegravan l'aere
sublimando ogni pensier!

E di quando chissà per qual d'amore bega, o altro fine ascoso,
rapasti il capo, sicchè le luci tue emettevan bagliori a guisa d'uragano folgore in mezzo a estate, facelle sfavillanti
in notte fonda, cangiandi nel colore, dal turchese all'ametista,
forse per compensar difetto alle recise chiome?
Fu allor che ti scoprimmo bimba implume ancora,
quando i riccioli d'oro non adornavan l'almo viso e gran desio
prendea i cari tuoi di carezzarti il capo e scoccarti un bacio in piena fronte.

Finché amor t'avvinse e fu sì feroce da render prigionier tuo costume,
siccome è d'uso, quando bramosia acceca il senno, s'ingegna l'arte
degli amanti che col mantel d'ammaestrar ti sottrae all'altrui bene
e tu, ammaliata, reggevi il gioco, ma fu come governar vascello
con in tempesta il mare!

Come temprar spirto libero? Si può forse imprigliar tornado?
O il divampar del fuoco? Scossa tellurica il contener? O arrestar
del vulcano il magma? Alfin ragion prevalse,ed amor non più tiranno
si nutriva del tuo guardo ed ambo i cor esultavan lieti con gaudio grande
di tutt'intorno.

Ma, ahimè! Non fu sì cortese fato, il traditor sempre in agguato,
crudele e beffardo vibra il colpo quant'un disarma ogni periglio...
qual fulmine al ciel sereno, la mala nova giunse all'ora tarda
e squarciò i cuori e squassò i corpi... poi restam basiti, sol sfogo il pianto.

O diletta! Di Calliope figlio esser vorrei per cantar le lodi tue
ed evocarti con più misura, ma non dispero e a te invoco aiuto
che l'ora è triste e l'impresa si fa dura ed io non son di razza
così il verso il ver non regge

Come real falco d'in su le vetti spicca il volo, qual saetta
si catapulta sino alle pendici per poi involarsi verso il sole così, di te, dispose il traditore,senza cura alcuna del fiore in boccia,
di tua beltà, di tua natural gaezza...,dei sogni..., speranze..., illusioni...

Or dimmi, adorata nostra! Poiché di tanto mi struggo, nell'attimo fatal
ci furon pensieri? E quali turbinavan la mente tua? Patisti visceral tremor al cieco balzo? T'avviluppò il vuoto e scosse
Le tue fibre? Sgomento e terror evitar potesti ?qual fu l'affanno?
Ah! Io son persuaso, siccome ti conobbi impavida e temeraria,
che fu sol per te esasperato gioco e nequizia alcuna attentò alle tue carni né sussulto, sfidò le membra tue.

Veder la madre e il padre, proni , sul tuo viso, consci e non del tuo stato,
a covar con gli occhi tutto il loro mondo, smaniosi nel prestar cure,
ma piano per non recarti offesa, gelosi anche del guardo altrui,
voluto ella avrebbe ricacciarti al ventre suo.

E poi..., l'un l'altro avvinchi, per fondersi con te, con la restante prole,
per esorcizzare il male, fuggire il tempo,
abissar..., dissolversi...,
vorticar nei gorghi , aspirati dal crogiolo del tempo... Oh ! perché durare a tanto strazio? Vecchia megera biega e crudele
Perché falciasti le messi ancora verdeggianti? Perché ghermisti il frutto
ancora acerbo?

Eppure il volto è sempre fiero, gli occhi ceruli,la pelle custodisce ancora
Il segreto dell'ambra purissima, l'ombra della notte non ha steso il velo
Sul tuo bel viso, solo scorgea corruccio lieve, forse per esser cagion
Di tanta ambascia?

Ma allor che adorna della nunzial veste nella bianca alcova
disparve ogni tratto che di luce non fosse orientamento. Oh arcana figura! A tanto anelavi? Al sublime Amore? Volesti suggellar tua beltà e apparir così in Alto Loco? ... L'Orfeo tuo per troppa tema dell'antico error, giunse a te
in sembianze nuove e strinse il patto con l'Eterno di non
mai più lasciar l'Euridice sua.

Or io mi domando. A qual porto tende l'umano perigrare? A che tanto patir ? gli eventi, le cose, lo spazio, il tempo,
brillan di luce propria, fuori di noi, o son riflesso del pensier?
Perché sperar di più di quel che siam? E' forse il mondo più
di quel che appare, o solo della mente un divagar?

Siamo zombie che brancolano senza meta? O esiste un fine?
Or tu, diletta! Sei mutata in altra essenza e spandi luce là dove
L'aree è fosco intrisa d'inebrianti effluvi?
O sei nel nulla eterno? Qualcun dice che il solco è già tracciato
ma io ignaro taccio e chino il capo per ciò che non conosco
e mal m'appare

O affranto genitore, nobile sangue mio! Il danno soverchia il dire
ed io senza certezze non posso il consolar, vorrei poter per te protender
mano e cogliere una stella, la più lucente, a te più cara ma non mi è dato
poiché basso è nostro stato, sol di quest'umil canto farti dono che son
certo gradirai.
Talvolta, nel vederti muto e triste mi si scioglie in petto il cuore
Non sapendo trarti fora, ognun verbo s'inceppa in gola e seppur n'esce
Non va l lo scopo e non da calore, son vuote le parole, il silenzio è più loquace.

Sovente mi parli di lei, con infinito amore, gli occhi arsi
E tremor del mento, e pertanto mi ribello ai numi, che fan
Degli uomini canne al vento, argilla nelle mani del vasaio.

Or qualche tempo ha preso il corso come pioggia sulla selce,
ma nell'ora che l'usignol migra romito alla campagna e della cicala si perde il sistro, il disco d'oro, ormai vermiglio e greve,
cala all'orizzonte e bacia il mare..., ed io sol compagno di me stesso,
il pensier tuo domina la mente, allor si fa grosso il cuor e la strozza
la gol non regge finché, una stilla, il dolce sapore salso lambisce.

Or dovrei limar la strofa, ma non mi basta il cor, e arrivederci o addio dirti non so poiché disperato e di speranza
è il canto, a chi è avvezzo all'arte implor mercede, per lo stil
la strofa, la rima, il metro giacché volto a tanto bene, e già costò travaglio ai giorni miei.

Nostra adorata! Mi piace somigliarti a quel fuoco d'artificio
Che tuo padre non disdegnò d'offrirti al tuo cangiato genetliaco,
... nasce con crepitio allegro, scoppietta, sibilante s'inerpica rapido
nel firmamento..., dirompe, sfolgora sfavilla in mille e mille lucciole
che accendono la notte...,e già annegano nel buio.

Lo sguardo estasiato e una punta d'amarezza stringe l'animo a pensar
Come, tutto al mondo è vano, e appen fiorisce...,è già caduco,
certo così non era lo sguardo di tuo padre, che non distinse bene
siccome avea gli occhi velati dai fumi e da un acre..., pungente,
odore di zolfo

Saverio Diana