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"Il Gattopardo"

Giuseppe Tomasi di Lampedusa


INDICE LIBRI

CONTESTO STORICO

Per comprendere il contesto storico in cui il libro si inserisce bisogna analizzare due periodi: quello che riflette le date nel testo e quello in cui visse l’autore Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Il primo periodo storico va dal 1860 al 1910 ed è il periodo delle guerre d’indipendenza e dell’unificazione d’Italia; il secondo è invece quello del secondo dopoguerra, verso la fine degli anni Cinquanta, periodo in cui il libro è stato scritto e pubblicato. Ho ritenuto inoltre che fosse utile analizzare solamente la situazione storica in cui l’autore viveva e in cui il romanzo è ambientato: quella italiana.

I PERIODO: DAL 1860 AL 1910 IN ITALIA

Il periodo che va dal 1860 al 1910 e’ il periodo delle guerre di risurrezione, della nascita dell’Italia unita, il periodo dei padri della patria e degli eroi, e’ il periodo di Garibaldi, di Cavour, di Mazzini, di Vittorio Emanuele e di Giolitti.

l’unita’ d’Italia fu opera soprattutto di tre uomini: Cavour, Mazzini e Garibaldi. Cavour, ex ufficiale miope con gli occhiali, rappresentava il prudente ma furbo politico; Mazzini, che aveva trascorso la maggior parte dei suoi giorni nascondendosi dalla polizia austriaca, era l’agitatore pubblico; Garibaldi, alla testa del suo esercito di volontari, era l’eroe popolare. Mazzini e Garibaldi erano a favore della Repubblica, Cavour era un monarchico e gli altri due, che gli riconoscevano l’abilita’ superiore come politico, sacrificarono le loro ambizioni per il bene della patria.

I moti del ‘48 avevano investito l’Europa e anche l’Italia con un’ondata rivoluzionaria. Dopo aver sconfitto e cacciato gli austriaci dal lombardo-veneto e dopo le annessioni degli staterelli dell’Emilia e la Toscana, rimanevano da liberare ancora il Sud e Roma. Garibaldi parti’ con un migliaio di soldati, le Camicie rosse, alla volta della Sicilia, che già nel ‘48 si era dichiarata indipendente dal regno borbonico di Napoli e che nutriva sentimenti positivi verso la liberazione, e in poco tempo la liberarono. Garibaldi, divenuto dittatore della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele, punto’ su Napoli dove arrivo’ dopo aver sconfitto l’ormai sbandato esercito borbonico ed entro’ trionfalmente nella città’. Cavour nel frattempo, nutrendo timori verso Garibaldi, con il consenso francese, leali difensori del papato ora divisi fra l’appoggio al Papa e quello ai loro fedeli alleati piemontesi nella guerra di Crimea, attacco’ e annette’ le Marche e l’Umbria, terre pontificie, per raggiungere assieme al re Vittorio Emanuele il napoletano dove avvenne lo storico incontro a Teano fra il re e Garibaldi che rimise tutte le sue conquiste nelle mani del monarca. Rimaneva ormai solo Roma, già nominata capitale del regno, da liberare, ma la città’ era ben difesa dalla truppe francesi. Garibaldi tento’ l’impresa con il rischio di compromettere la delicata situazione diplomatica europea ed allora Cavour fu costretto a mandargli contro l’esercito che lo sconfisse nella battaglia sull’Aspromonte. Garibaldi ferito si ritiro’ a Caprera. L’occasione della liberazione si presento’ allo scoppio della guerra franco-prussiana. Napoleone III, imperatore dei francesi, venne sconfitto e a Parigi si instauro’ la Repubblica con il conseguente ritiro delle truppe francesi da Roma per difendere la Francia dai prussiani. Con Roma ormai sguarnita fu facile per l’esercito piemontese entrare nella capitale. Al Papa, che rivendicava ancora il suo potere temporale, venne concesso il potere sul territorio e sui palazzi del Vaticano. Fatta l’Italia bisognava fare gli italiani e si impose allora una politica accentratrice che ebbe come conseguenza lo scoppio di disordini e il diffondersi delle idee anarchiche che portarono all’assassinio del secondo re d’Italia Umberto nel giugno del 1900 a Monza per opera dell’anarchico Gaetano Bresci. In ambito politico nei primi decenni dell’Italia unita si assiste all’emergere di figure come Crispi e Giolitti, che tentarono di avviare riforme sociali ed economiche per portare ad un’unita’ reale e non solo territoriale il giovane regno d’Italia. Si assiste in questo periodo all’emergere del problema meridionale, che riflette una divisione fra due realtà territoriali contigue avvenuta per più di un millennio che si cerco’ di risolvere ma le differenze culturali, linguistiche ed economiche sussistono tuttora.

II PERIODO: DALLA FINE DELLA GUERRA AGLI ANNI CINQUANTA IN ITALIA

L’Italia aderì subito dopo la guerra al piano Marshall, piano di aiuti economici e sociali forniti dagli Stati Uniti, in apparenza in cambio di alcunché, in realtà in cambio del rientro del paese nella sfera d’influenza americana e non in quella sovietica. Il nostro paese era diviso in due zone dal punto di vista economico: il Sud che aveva mantenuto l’economia agricola, il Nord che iniziava ad industrializzarsi grazie all’opera di privati cittadini spinti da spirito imprenditoriale. Nel Nord era diffusa al speranza di un deciso rinnovamento politico e sociale. Ovunque le difficoltà nell’approvvigionamento favorivano il mercato nero, mentre al Sud cresceva l’influenza della mafia.

Tra le formazioni politiche del dopoguerra ebbe grande seguito fra la classe operaia il Partito comunista di Togliatti. L’altro grande partito era costituito dalla Democrazia Cristiana guidata da De Gasperi. A queste due formazioni si aggiungevano il Partito socialista, il Partito repubblicano e quello Liberale, a Sud troviamo inoltre il Partito monarchico e il Partito dell’Uomo Qualunque. Nelle elezioni politiche del 1946 poterono votare anche le donne e si svolse anche il famoso referendum che sanciva la definitiva scelta del popolo italiano per un governo repubblicano con la conseguente fine della monarchia sabauda: l’ultimo re Umberto II con tutta la famiglia reale vennero esiliati.

Il 1° gennaio 1948 entrò in vigore la nuova Costituzione italiana repubblicana, votata tramite un referendum dai cittadini.

L’attentato a Togliatti del luglio del 1948 portò l’Italia a un passo dalla guerra civile, ma la si evitò grazie al governo, che represse con forza i moti di piazza, e anche grazie alla vittoria del ciclista Gino Bartali al Tour de France, che mutò l’umore della cittadinanza da rabbia a gioia per il trionfo italiano all’estero.

Grazie all’opera del liberale Luigi Einaudi, nel 1948, l’Italia avviò finalmente la ricostruzione. Nel 1950 De Gasperi varò la riforma agraria, fu creata la Cassa del Mezzogiorno. Nel 1952 l’economia italiana si era risollevata con costi sociali elevatissimi: il governo introdusse la libertà di licenziamento.

Sul piano politico si assisteva al distacco fra socialisti e comunisti e all’affermazione della Democrazia Cristiana come partito faro.

CONTESTO POLITICO – CULTURALE

All’apparenza si tratta di un romanzo storico e, certo, la storia vi ha una parte rilevante: ma in realtà lo scrittore, a differenza dei veristi, non crede nell’oggettività della storia. La sua cultura e la sua sensibilità sono decadenti. La storia e per lui solo un’apparenza esteriore, dietro cui si cela un significato più vero, il fluire costante della vita che svanisce. Anche l’impianto narrativo e solo apparentemente ottocentesco veristico: in realtà tutto e visto attraverso gli occhi del principe Salina, filtra attraverso la sua sensibilità e la sua intelligenza. All’oggettività veristica si sostituisce una dimensione del racconto essenzialmente soggettiva. Non solo nei temi dunque, ma anche nell’impostazione narrativa il romanzo si collega al filone del grande Decadentismo europeo, rappresentandone una manifestazione tarda ma di alta dignità culturale (data questa sua fisionomia, si può capire il rifiuto di Vittorini, massimo esponente della cultura dell’impegno politico e sociale).

Quindi Tomasi di Lampedusa non intendeva impegnarsi politicamente o socialmente con il suo romanzo, rientrando nella schiera della corrente letteraria del Decadentismo.

Decadentismo

Corrente artistico - letteraria nata a Parigi e sviluppatasi in Europa a partire dagli anni 1880-90. Atteggiamenti tipici del decadentismo (incline a cogliere i segni della raffinatezza e della eleganza intellettuale nelle epoche di "decadenza") furono: la predilezione per le esperienze rare, sottili, "proibite"; il recupero di un ideale estenuato di bellezza; l’evocazione di un Oriente misterioso e sensuale; il disprezzo per le idee umanitarie e socialistiche, inteso principalmente come rifiuto del positivismo borghese; l’esaltazione dell’irrazionale; il gusto per l’esoterico e I’occulto, per I’ascesi mistica, o (all’opposto) per I’inferno dei bassifondi. Solo in Francia, pero, si può parlare di una vera e propria corrente decadente. In diversi cenacoli, infatti, raccoltisi intorno a riviste e caffè, l’eredita dei "poeti maledetti" (di Verlaine e di Rimbaud soprattutto), viene concepita e sviluppata in un programma definito. Il romanzo Controcorrente di J.K. Huysmans, bibbia del decadentismo, segna nel 1884 la consacrazione della nuova poetica, incentrata sull’elaborazione di uno stile di vita estetizzante, e parallelamente sulla volontà più letteraria, affermata dallo stesso Huysmans nella prefazione al romanzo, di uscire dagli schemi della cultura imperante, suddita del naturalismo. Cosi concepito, il decadentismo rappresenta il tentativo di rovesciare i risultati della storia con la coscienza aristocratica e snobistica di essere al di sopra della mischia: la sconfitta diventa il destino delle anime grandi, confinate in una zona che i più non possono attingere. Nell’arco di un decennio, il decadentismo francese si esaurisce come movimento organizzato, determinando al contempo una svolta decisiva per la letteratura europea: l’avvento del simbolismo. Diverso è il percorso seguito dal decadentismo negli altri paesi europei. In Italia il fenomeno viene vissuto di riflesso principalmente nelle figure di G. D’Annunzio, per quanto riguarda gli aspetti più estetizzanti, e di G. Pascoli.

Sul piano della scrittura, il decadentismo non e riducibile a un comune denominatore: la gamma degli esiti risulta assai ampia e va dalle cadenze di più sottile e sfumata musicalità sino ai moduli più fastosi e altisonanti; dalla pronuncia più scorciata e folgorante alla "chiacchiera" garbatamente allusiva.

RIASSUNTO

La vicenda narrata nel libro "Il Gattopardo", scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel 1956, si svolge nella seconda metà dell’Ottocento e più precisamente dal Maggio 1860 al Maggio 1910 e narra la vicenda di una famiglia aristocratica siciliana in decadenza all’avvento di Garibaldi e dell’unione dell’Italia. Il libro è maggiormente narrativo, ricco di piccoli avvenimenti, e lascia poco spazio alla descrizione; descrive soprattutto le persone e la natura, che è quella siciliana: a parte le strade malandate, tutto il resto è stupendo: gli alberi, i paesini di case bianche colorate dal sole, lo stesso sole che asciuga i fiumi a ricordo delle quali restano solo i ponti sospesi. L’autore si esprime in terza persona ed è esterno alla vicenda, anzi postumo perché spesso fa confronti fra la realtà sua contemporanea e quella del romanzo; nonostante ciò conosce il pensiero del protagonista: il principe Fabrizio Salina, ovvero il Gattopardo (che in realtà è soltanto il simbolo del casato ma potrebbe anche essere l’espressione della personalità del principe). Grande proprietario terriero siciliano, era un uomo all’apparenza molto autoritario, ma in realtà molto comprensivo ed intelligente. Fisicamente imponente, con occhi azzurri e capelli biondi a causa dell’origine tedesca della madre, era un grande appassionato di astronomia e matematica, le uniche cose in grado di tranquillizzarlo forse perché lo isolavano dal mondo esterno. Era sposato con Maria Stella, donna molto legata alla religione e spesso colpita da crisi isteriche. Da lei aveva avuto sette figli: quattro maschi e tre femmine. Il primogenito, Paolo, era un inetto, pronto a far capricci se gli mancavano le sue galoppate con i cavalli e geloso delle attenzioni che il padre rivolgeva al cugino Tancredi, a causa del quale decide di lasciare la casa ed andare a vivere da solo a Palermo. Prima di lui, già un altro figlio aveva lasciato la casa: Giovanni, il secondogenito, il più amato, il più scontroso, che all’inizio del libro già da due anni era scomparso e da una sua lettera si avevano notizie che era andato a lavorare come operaio a Londra. La figlia più amata era Concetta, in cui il principe vedeva l’impronta fisica e caratteriale dei Salina e perciò anche sua: l’acutezza e la testardaggine, la raffinatezza e la classe aristocratica.

La vicenda comincia a Villa Salina presso Palermo, pochi giorni prima dello sbarco di Garibaldi in Sicilia. Il giorno narrato si apre e si conclude con la scena della recitazione del rosario, momento molto importante in cui tutta la famiglia si riuniva e per mezz’ora recitava le preghiere in una stanza in cui era impedito l’accesso a Bendicò, che è il cane di casa e a cui sono molto affezionati il principe, perché riusciva a infondergli buonumore, e Concetta, che alla sua morte lo imbalsamerà. Altro solenne momento era la cena, dove, nelle posate d’argento personalmente donate dal re Ferdinando e nei piatti, provenienti da vari servizi e perciò di diverse forme e colore, si può notare un antico sfarzo. Il principe dopo cena tradisce la moglie: scende a Palermo e va con una prostituta. Padre Pirrone, che era il prete di casa Salina, sapeva di queste scappatelle del principe e lo rimprovera di questa. Il prete, di origini rustiche perché proveniente da un paese della campagna palermitana, aveva due sorelle, ed era molto colto ed acuto, tanto che ritornando una volta al suo paese era riuscito a risolvere un lite causata da un possedimento tra famiglie sue parenti che durava da anni.

La mattina fece la sua comparsa all'abitazione del Gattopardo, il suo tanto amato nipote Tancredi Falconieri. Egli era un bel giovane, noto soprattutto per le sue frequentazioni poco raccomandabili, ma era in ogni modo il pupillo di Don Fabrizio, che lo adorava forse anche più dei suoi figli. Era venuto a salutare la famiglia e a comunicare allo zione, così affettuosamente lo chiamava, che sarebbe andato a lottare, insieme a numerosi contadini, per la liberazione della Sicilia dai Borboni. Questa cosa inizialmente al principe non faceva certamente piacere, in quanto era sempre stato un leale feudatario e servitore dei Borboni, ma poi ripensandoci ritenne che non era una cosa malvagia che il nipote si impegnasse politicamente e chiese solamente che nella guerra non venissero toccate le sue proprietà. Il principe riteneva che l'unico modo per non cambiare le cose fosse quello di modificarle e quindi pensava che tutto sarebbe rimasto uguale: ognuno avrebbe continuato a fare il suo mestiere alla stessa maniera, solo sarebbe nata una nuova classe sociale che sarebbe diventata sempre più ricca e influente.

Dopo questo momento la vicenda si sposta nella residenza stiva dei Salina, presso il feudo di Donnafugata, il preferito dal principe per il bellissimo palazzo e per la riverenza che gli riservavano gli abitanti del posto. Dopo uno spossante viaggio in carrozza di tre giorni, il principe con la famiglia e Tancredi, tornato dalla vittoriosa lotta per la liberazione d’Italia, ricevono una calorosa accoglienza. Il principe riceve però due scioccanti notizie: la prima che un borghese del posto aveva accumulato ricchezze pari alle sue: Don Calogero Sedàra, un esponente della nuova classe emergente; la seconda che Concetta era innamorata di Tancredi. Il padre non si rivelò assolutamente entusiasta, convinto che la figlia fosse troppo timida e riservata per diventare la compagna di un uomo così impegnato politicamente, come lo era suo nipote. Durante una cena che si tenne la sera fece la sua comparsa la figlia di Don Calogero, che stupì tutti non solo per la bellezza ma anche per la cultura e la raffinatezza. Di questa si invaghì Tancredi che iniziò a corteggiarla. Concetta da quel momento divenne molto più scortese nei confronti del cugino.

La Sicilia dopo un plebiscito viene annessa al regno di Sardegna, cosa accettata dal principe anche se non di tutto cuore. Tancredi, che nel frattempo è entrato a servizio dell’esercito sabaudo, manda una lettera in cui dichiara il suo amore per Angelica che vorrebbe sposare e chiede allo zione di andare da Don Calogero a parlare di questo. Durante l'incontro, il Principe fu nuovamente disgustato dalla volgarità e dall'ignoranza del suo ospite, che accettò felicemente al proposta. La sua opinione su Sedàra si modificò parzialmente, in quanto, vedendolo molto di frequente, si era ormai abituato a tutti i suoi difetti. Col tempo finì col chiedere all'uomo consigli nel campo degli affari, che spesso si rivelavano utili. Intanto Angelica aveva fatto anche la sua visita a casa Salina come fidanzata di Tancredi. Probabilmente lei non lo amava, le piaceva fisicamente e vedeva in lui la possibilità di entrare a far parte della nobiltà siciliana, non le importava troppo della sua cultura o del suo impegno politico. Qualche tempo dopo fece il suo rientro a casa anche il suo promesso sposo, accompagnato da due amici conosciuti nell'esercito del Regno di Sardegna. Durante questo periodo Angelica e Tancredi passavano molto tempo insieme nelle stanze più sconosciute del palazzo di Donnafugata, mentre uno degli amici del ragazzo tentava di sedurre Concetta, che però non ricambiava i sentimenti dell'innamorato.

Passa del tempo e Tancredi e Angelica si sposano. La famiglia viene invitata da una nobile famiglia ad un ballo e qui Angelica fa la sua prima comparsa nell’alta società siciliana figurando non solo per la sua bellezza ma anche per la sua conoscenza artistica. Mentre tutti si divertivano, ognuno a suo modo, il principe si annoiava: errava per i saloni denigrando il fastoso mobilio della casa, vedeva le vecchie amiche invecchiate, vede le giovani donne brutte al confronto di Angelica. Passò poi tra gli uomini che lo ritenevano uno stravagante per la sua dedizione all’astronomia ma lo rispettavano per il suo portamento e l’austerità che aveva. Andò quindi a sedersi in biblioteca perché era stanco. Qui pensò per la prima volta alla sua morte, che dopotutto era la morte di tutto il mondo, il suo mondo, e iniziò a pensare ai preparativi per la tomba, ma d’improvviso sovvennero Angelica e Tancredi. Quest’ultimo, comprendendo lo stato d’animo del principe, fece una battuta sulla morte che lo rasserenò e così Angelica invitò il principe a ballare.

Passano venti anni e quello che il principe aveva pensato nella biblioteca diventa realtà: la volontà di continuare a vivere iniziava a uscire da lui già da molto tempo e quella mattina, dopo un lungo viaggio, svenne. Fu subito portato in un albergo e, come un malato che non vuole riconoscere la sua malattia, rassicurò i familiari che tutto andava bene, ma poi vide la sua faccia allo specchio e si chiese perché gli uomini non possano morire con la faccia che hanno sempre avuto. Dopo poco vede arrivare la raffigurazione della morte che viene a prenderlo: una giovane e bella signora vestita da viaggio con il cappello di paglia. Con lui muore il casato del Gattopardo reduce di una storia secolare di nobiltà.

Si arriva all’ultima vicenda: diciassette anni dopo la morte del principe. Vengono ritratte le tre figlie di Don Fabrizio: Concetta, Carolina e Caterina, rimaste zitelle. I loro fratelli sono morti, anche Tancredi è morto e le tre sorelle ormai settantenni sono e alla prese con alcuni problemi con la chiesa, fatta costruire nel palazzo dopo la morte del principe. La meglio descritta è Concetta, alle prese con i suoi turbamenti dovuti sia al presente che ai ricordi del passato. A peggiorare ulteriormente il suo stato psicologico fu la notizia che probabilmente Tancredi non l'aveva mai odiata, anzi, provava qualcosa per lei. Capì che la sua vita era stata uno sbaglio, e la causa di ciò era solo lei e non gli altri, come le faceva comodo pensare.

ANALISI DEI PERSONAGGI PRINCIPALI

DON FABRIZIO SALINA

E’ l’unico e vero protagonista del libro. Aristocratico coltissimo, é un uomo dall’apparenza molto autoritario, ma in realtà molto comprensivo ed intelligente. Fisicamente imponente ("Non che fosse grasso: era soltanto immenso e fortissimo; la sua testa sfiorava (nelle case dei comuni mortali) il rosone inferiore dei lampadari; le sue dita sapevano accartocciare come carta velina le monete di un ducato; e fra villa Salina e la bottega di un orefice era un continuo andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiaini che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio. Quelle dita, d’altronde, sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel carezzare e maneggiare, e di ciò si ricordava a proprio danno Maria Stella, la moglie; e le viti, le ghiere, i bottoni smerigliati dei telescopi, cannocchiali e "ricercatori di comete" che lassù, in cima alla villa, affollavano il suo osservatorio privato, si mantenevano intatti sotto lo sfioramento leggero"), di carnagione chiara ("accendevano il colorito roseo") con occhi azzurri e capelli biondi ("il pelame color di miele") a causa dell’origine tedesca della madre ("Ma nel sangue di lui fermevano altre essenze germaniche ben più incomode per quel aristocratico siciliano, nell’anno 1860, di quanto potessero essere attraenti la pelle bianchissima e i capelli biondi"), é un grande appassionato di astronomia e matematica ("orgoglio e analisi matematica si erano a tal punto associati da dargli l’illusione che gli astri obbedissero ai suoi calcoli"), le uniche cose in grado di tranquillizarlo e dargli conforto forse perché riescono ad isolarlo dall’inquieto mondo esterno (dice delle stelle: "Felicemente incomprensibili, incapaci di produrre angoscia" ). E’ sposato con Maria Stella dalla quale ha avuto sette figli: quattro maschi e tre femmine.

E’ un feudatario e un grande proprietario terriero siciliano, fedele vassallo del re di Napoli, ma non di quello di adesso, bensì del suo predecessore ("Il Re, va bene. Lo conosceva bene, il Re, almeno quello morto da poco; l’attuale non era che un seminarista vestito da generale. E davvero non valeva molto."). E’ convinto che alla nobiltà siano assegnati alti compiti e doveri, anche se questa si deve dimostrare benevola verso la servitù e la povera gente. Lo sbarco di Garibaldi gli fa capire che la storia ha preso un cammino diverso: di qui la sua continua inquietudine, anche se il nipote Tancredi cerca di fargli capire che la rivoluzione va appoggiata va appoggiata dall’aristocrazia perché tutto ritorni poi come prima. Spina segreta di don Fabrizio é ritenere che quella di Garibaldi non é altro che una rivoluzione - commedia, in cui i contadini continueranno a zappare la terra come prima e i servi a servire, mentre dal tumulto degli avvenimenti uscirà una nuova classe sociale armata di denti e artigli; perciò si sente solo pur in mezzo agli aristocratici, ma é deciso a mostrarsi degno "gattopardo". Il principe perciò asseconda il nipote in questa sua scelta politica così come quando questi decide di sposare Angelica. Nei confronti dei processi storici in atto conserva sempre il suo sguardo distaccato, con il tipico atteggiamento di un aristocratico che osserva faccende che interessano il popolo, ma nella sua vitalità ancora vigorosa sente già oscuri presagi di morte.

ANALISI DEI PERSONAGGI SECONDARI

TANCREDI FALCONIERI

E’ il nipote di don Fabrizio, della casata nobiliare decaduta dei Falconieri. Suo padre e sua madre sono morti e le sostanze della famiglia sono state prosciugate dal padre scialacquatore prima della sua morte. Il principe é il tutore del nipote e lo sente come un figlio, quel figlio che non ha mai avuto. Tra i due c’è un rapporto di estrema fiducia e amicizia che assomiglia proprio a quello che c’è tra un padre e un figlio.

Lucido e spregiudicato, invece di difendere il regno borbonico, come sarebbe proprio di un aristocratico, preferisce unirsi ai garibaldini, avendo capito che, se si vuole che tutto rimanga com’è, occorre che tutto cambi. Il passaggio al nuovo regno d’Italia sarà quindi solo un mutamento esteriore, ma nella sostanza il potere resterà nelle mani delle classi dirigenti; per questo quelle classi devono impegnarsi nella rivoluzione nazionale, prendendone in mano il processo per indirizzarlo verso i loro scopi. Al giovane si apre così una brillante carriera prima militare e poi politica nel nuovo regno unitario. La sua lucidità lo spinge anche a sposare Angelica Sedara, bellissima figlia di un borghese arricchito, per sancire l’alleanza di interessi con le nuove classi in ascesa.

CONCETTA SALINA

E’ la figlia maggiore di don Fabrizio e anche la sua prediletta ("Egli amava molto Concetta: di lei gli piaceva la perpetua sottomissione, la placidità con la quale si piegava ad ogni esosa manifestazione della volontà paterna: sottomissione e placidità, del resto, da lui sopravalutate"). Allo stesso tempo la ritiene inadatta ad una vita di matrimonio e a condurre una qualsiasi vita politica o solamente di rappresentanza ("Concetta, con tutte le sue virtù passive, sarebbe stata capace di aiutare un marito ambizioso e brillante e salire le sdrucciolevoli scale della nuova società? Timida, riservata, ritrosa come era? Sarebbe rimasta sempre la bella educanda che era adesso, una palla di piombo al piede del marito.") Tancredi si innamora di lei e anche Concetta lo ama ma non riesce a manifestare i suoi sentimenti risultando fredda e insensibile agli occhi del cugino che alla fine preferirà Angelica a lei e Concetta soffrirà molto di ciò. La sua freddezza si manifesta anche quando Cavriaghi, amico di Tancredi, tenterà di conquistarla ma lei non lo degnerà nemmeno di un saluto alla sua partenza. Solamente quando ormai sarà vecchia le saranno svelati da Angelica i reali sentimenti del cugino verso di lei e Concetta si renderà conto di aver gettato via la sua vita e questo non era colpa degli altri, come lei tentava di giustificare, ma era solo colpa sua.

ANGELICA SEDARA

E’ la moglie di Tancredi e la figlia di don Calogero. Si presenta, come figlia del sindaco, per la prima volta alla grande cena che la famiglia organizza a Donnafugata e subito stupisce i commensali, primo fra tutti Tancredi, per la sua bellezza, la sua raffinatezza e la sua cultura, cosa che appare difficile da capire se si pensa che é la figlia di un paesano di Donnafugata, ma pare chiara se si sa che ha studiato ha Firenze dove ha imparato a parlare in corretto italiano ("la porta si aprì ed entrò Angelica. La prima impressione fu di abbagliata sorpresa. I Salina rimasero col fiato in gola; Tancredi sentì addirittura come gli pulsassero le vene nelle tempie. Sotto l’urto che ricevettero allora dall’impeto della sua bellezza, gli uomini rimasero incapaci di notare, analizzandola, i non pochi difetti che questa bellezza aveva; molte dovevano essere le persone che di questo lavoro critico non furono capaci mai. Era alta e ben fatta, in base a generosi criteri; la carnagione sua doveva possedere il sapore della crema fresca alla quale rassomigliava, la bocca infantile quello delle fragole. Sotto la massa dei capelli color di notte avvolti in soavi ondulazioni, gli occhi verdi albeggiavano immoti come quelli delle statue e, come essi, un po’ crudeli. Procedeva lenta, facendo roteare intorno a sé l’ampia gonna bianca e recava nella persona la pacatezza, l’invincibilità della donna di sicura bellezza."). Le stesse caratteristiche vennero notate anche dai nobili presenti al palazzo Ponteleone, dove figurò non solo per essere la più bella fra tutte le ragazze della nobiltà siciliana, ormai da troppo tempo risultato di matrimoni fra parenti per mantenere intatto il patrimonio familiare, ma anche per le sue capacità critiche nei confronti di mobili e quadri. Il matrimonio con Tancredi, che lei ha amato veramente soltanto nei primi mesi in casa Salina quando lei e Tancredi si rincorrevano per le stanze, le permette di entrare a far parte della schiera dell’alta nobiltà e dell’aristocrazia.

BENDICÓ

E’ il cane di casa a cui tutti sono molto affezionati, ma in particolare vi é affezionato il principe perché riesce ad infondergli tranquillità ("Vedi tu Bendicò, sei un po’ come loro, come le stelle; semplicemente incomprensibile, incapace di produrre angoscia."). Quando Bendicò muore Concetta, che lo ricordava con affetto ricordando il suo compagno di giochi infantili, lo imbalsama e lo terrà nella sua stanza, diventando come la metafora del ricordo del passato, finché sporco e pieno di ragnatele lo getterà in un cortile della casa di Donnafugata.

PADRE PIRRONE

E’ il prete di casa Salina, persona alla quale si confidavano i più importanti segreti, tra cui le scappatelle di don Fabrizio e l’amore di Concetta per Tancredi. Persona mite e sottomessa al principe, consigliava senza successo il principe e lo aiutava nella sua passione per l’astronomia. Teme per il bene dei monasteri e della chiesa di Palermo allo sbarco dei garibaldini e serbava rancore a Tancredi per il suo aiuto a questi. A lui e alle sue vicende familiari é dedicato un intero capitolo nel quale, grazie alla sua mitezza e alla sua cultura, riesce a risolvere un problema che da tempo sembrava irrisolvibile nella sua famiglia.

DON CALOGERO SEDARA

E’ il padre di Angelica e, grazie al suo appoggio ai piemontesi, sindaco e grande proprietario terriero di Donnafugata. E’ il rappresentante di quella nuova classe sociale che sorgeva e che metteva tanta paura a don Fabrizio. La sua comparsa in frac al pranzo di casa Salina a Donnafugata suscita molto scalpore e viene visto come un affronto alla nobiltà della famiglia, anche se l’adeguamento di un paesano ad uno stile elevato risulterà più buffo che altro ("Il suo sconforto fu grande e durava ancora, mentre meccanicamente si avanzava verso la porta per ricevere l’ospite. Quando lo vide, però, le sue pene furono alquanto alleviate. Perfettamente adeguato quale manifestazione politica, si poteva però affermare che, come riuscita sartoriale, il frac di don Calogero era una catastrofe. Il panno era finissimo, il modello recente, ma il taglio semplicemente mostruoso. Il Verbo londinese si era assai malamente incarnato in un artigiano girgentino cui la tenace avarizia di don Calogero si era rivolta. Le punte delle falde si ergevano verso il cielo in muta supplica, il vasto colletto era informe e, per quanto sia doloroso é pur necessario dirlo, i piedi del sindaco erano calzati da stivaletti abbottonati") Il personaggio risulta molto antipatico e rozzo a don Fabrizio che più tardi riuscirà a cogliere anche gli aspetti positivi di questo abile uomo d’affari. Risulta nuovamente fuori luogo durante il ballo a palazzo Ponteleone perché, a causa della sua cafonaggine ed alla mancanza di cultura, stonava con l’aristocrazia.

CRITICA LETTERARIA

"Il Gattopardo rivela un maestro; il romanzo è innanzi tutto lirico, ma è anche un romanzo storico, perché l'autore vede e ci mostra lo svolgimento del proprio spirito, della propria psiche nella realtà delle vicende storiche, dando a ciascuno dei personaggi il risalto rappresentativo che esprima compiutamente il suo significato morale. I particolari inutili, di cronaca, scompaiono."

G.Bellone, La rivoluzione del Gattopardo (1958)

"Perfetta nelle sue pagine la narrazione, sotto la buccia di una narrazione di tipo ottocentesco, nasconde quello che è il carattere costante dell'ispirazione dello scrittore: morale e politica piuttosto che puramente artistica, nel senso dell'art pour l'arte. A differenza della poetica ottocentesca, lo straordinario interesse del romanzo non sta tanto nella trama, la quale s'identifica con la biografia di un nobile siciliano, il principe di Salina, don Fabrizio Corbera, sia pure incalzata e sollecitata da eventi tanto impegnativi e decisivi per l'unificazione italiana (le date vanno dal 1860 al 1883, anno della morte di don Fabrizio, al 1910, che segna la fine della dinastia dei Salina, nel cui stemma è un gattopardo), quanto piuttosto nel ricco e sottile gioco della complicata realtà interiore del protagonista, che nell'arte di Lampedusa, trova una limpida e balenante rappresentazione. Don Fabrizio è un personaggio affascinante, "immenso e fortissimo" , ma non un grande eroe; è un uomo che corteggia la morte privo d'illusioni. E Giuseppe Tomasi avrebbe sublimato quella figura nelle pagine del suo romanzo, tramandandola per sempre a memoria futura.

[...] Scrisse la vita che si sentiva sfuggire di mano, la storia che lo stava colpendo alle spalle, vendicandosi in lui della sua classe: scrisse il "Gattopardo". E' di capitale importanza il periodo drammatico, cioè il contesto storico su cui scorre tutta la vicenda narrata: ci troviamo alla fine del Regno di Napoli. Il 21 ottobre 1860 il popolo delle province meridionali e della Sicilia votava per la formula del plebiscito: "II popolo vuole l'Italia una e indivisibile con Vittorio Emanuele re costituzionale e i suoi legittimi discendenti". Era l'annessione immediata del Regno di Napoli a quello che era ancora il Regno di Sardegna. Ma gli esiti di questa "felice annessione" , non furono così splendidi come ci si immaginava (o sperava): esplosione del brigantaggio, infiltrazione di agenti borbonici e legittimisti nel moto di rivolta dei braccianti e dei contadini poveri, borghesia meridionale che faceva appello all'intervento urgente dell'esercito piemontese, per ristabilire al più presto l'ordine e la sicurezza.

[...]Ampiezza di visione storica, unita ad un'acutissima percezione della realtà sociale politica dell'Italia contemporanea e dell'Italia di adesso; delizioso senso dell'umorismo; autentica forza lirica; perfetta sempre, a tratti incantevole, realizzazione espressiva. Tutto ciò fa di questo romanzo un'opera d'eccezione, una di quelle opere, appunto, a cui si lavora o ci si prepara per tutta una vita. Nessun residuo di pedanteria documentaria, di oggettivismo naturalistico in Tornasi di Lampedusa. Infatti lo scrittore, a differenza dei veristi, non crede nell'oggettività del processo storico; la sua cultura e la sua sensibilità sono squisitamente decadenti. Lo sfondo del romanzo è la Sicilia, di cui il poeta parla con un amore desolato e funebre, con sensualità beffarda e critica, una Sicilia con un futuro certamente non roseo come ci si aspettava. Ciò si evince dalla conversazione tra don Fabrizio e Chevalley, il quale, in nome del Re, aveva chiesto al vecchio aristocratico di accettare la nomina a senatore, ricordando che il "Senato è la camera alta del Regno! In essa il fiore degli uomini politici italiani approva o respinge quelle leggi che il Governo propone per il progresso del paese" . Attraverso questa carica il principe avrebbe potuto "rappresentare la Sicilia (...), fare udire la voce di questa sua bellissima terra, che si affaccia adesso al panorama del mondo moderno, con tante piaghe da sanare, con tanti giusti desideri da esaudirei.

[...] Così la decadenza di un illustre casato, registrata nelle sue tappe salienti e suggellata dall'espressione "se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi" , acquista le sembianze dell'inabissarsi di una condizione esistenziale, quella garantita dal mondo di ieri. Comunque nel romanzo non c'è solo un giudizio storico su un periodo della storia italiana, ma c'è piuttosto un giudizio sull'Italia e sul popolo italiano. Il Tornasi paragona gli avvenimenti dell'epoca, in cui si svolge la vicenda del romanzo, con quelli a lui più vicini e trae la conclusione che le cose non sono cambiate di molto e che il gioco politico è sempre lo stesso. Quindi come ha detto G. Barberi Squarotti " dominio borbonico e fascismo, conquista garibaldina e occupazione alleata, vita politica nell'Italia appena unificata e nell'Italia dopo il '45, costituiscono nelle pagine di Tornasi di Lampedusa una trama continuamente intrinsecata di rapporti allusivi, di richiami, di mutue implicazioni."

A. Criscimanna

"(...) non posso impormi di amare scrittori che si manifestino entro schemi tradizionali. Il Gattopardo avrei potuto amarlo come opera del passato che oggi fosse stata scoperta in qualche archivio."

E.Vittorini, nella lettera di rifiuto del libro inviata a Giuseppe Tomasi di Lampedusa

"Accanto a un libro come il Gattopardo qualunque altro rischia di scolorire."

G. Bassani

"Come nei Viceré di Federico De Roberto, è di scena, anche qui, una famiglia dell’alta aristocrazia isolana, colta nel momento rivelatore del trapasso di regime, mentre già incalzano i tempi nuovi. Ma se la materia del Gattopardo ricorda molto da vicino quella del gran libro del De Roberto, e lo scrittore il modo come questi si pone di fronte alle cose, a differire sostanzialmente. Nessun residuo di pedanteria documentaria, di oggettivismo naturalistico, in, Tomasi di Lampedusa. Accentrato quasi interamente attorno a un solo personaggio, il principe Fabrizio Salina, in cui è da vedere un ritratto del bisnonno paterno, certo, ma forse ancor più un autoritratto lirico e critico insieme, il suo romanzo concede assai poco, e questo poco non senza sorriso, alla trama, all’intreccio, al romanzesco, così cari a tutta la narrativa europea dell’Ottocento. Insomma, meglio che a De Roberto, Tomasi di Lampedusa bisogna accostarlo al contemporaneo Brancati. E non solo a Brancati, ma anche, probabilmente, ad alcuni grandi scrittori inglesi di questa prima meta del secolo (Forster, ad esempio), che certo ebbe familiari: al pari di lui poeti lirici e saggisti piuttosto che narratori di razza."

G. Bassani

"Con il suo chiaroveggente distacco, che lo apparenta alla disincantata famiglia degli "uomini senza qualità", don Fabrizio Salina scopre la distonia che presto interverrà nelle relazioni tra uomo e mondo, spezzando l'antica complicità: ossia avverte il sentimento angoscioso della espatriazione connesso alla moderna coscienza di una malvagità che è, insieme, della storia e della natura."

Dalla rivista Specchio

COMMENTO PERSONALE

Il libro mi è piaciuto molto, anche se alcune parti si dilungano troppo, come quella della visita a casa di Padre Pirrone. L’autore rivela sempre una sottile ironia e non continua a lacrimare per le povere condizioni dei siciliani, come avviene in molti romanzi di autori della Sicilia.

La parte che mi è piaciuta di più è l’ultima, in cui emerge il vero carattere del Gattopardo, che riesce a non farsi condizionare dalla svogliatezza della nobiltà e allo stesso tempo a non avvicinarsi alla rudezza dei costumi contadini. La morte è poi la parte più bella, in cui il principe in modo solenne abbandona un mondo che gli ha dato poche soddisfazioni. Inoltre sono molto interessanti le descrizioni degli stati d'animo del personaggio del principe, spesso contrastanti e diversi secondo la situazione in cui si trova. In alcuni momenti i pensieri del Principe sanno anche far sorridere.

L’autore è stato molto abile nel rendere nel Principe Salina tutte le caratteristiche e i pensieri di tutti i siciliani, mantenendone comunque di originali.

BIBLIOGRAFIA

Per il contesto storico:

Atlante storico Garzanti, 1994

Per il contesto politico – culturale:

Dal testo alla storia, dalla storia al testo, G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria. Paravia editore, 1996.

Enciclopedia della letteratura Garzanti, 1997

Per il riassunto e l’analisi dei personaggi:

Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Feltrinelli editore, 1961

Dizionario della letteratura universale, Federico Motta Editore, Milano 1979

Per la posizione critica:

Sito internet: http://www.ilgattopardointasca.it/

Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Feltrinelli editore, 1961

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