Sala 11 A

Il decennio di preparazione

ISTITUTO MAZZINIANO

 

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All'ingresso del salone si incontra un singolare paravento coperto nelle due superfici da illustrazioni tratte da giornali, stampe e volumi (717); alla destra, un piano ottagonale di tavolo finemente intarsiato con legni di diverso colore, metallo e avorio (728) a comporre una scena della battaglia di San Martino (1859): segue, in parete (729), una grande tela di Niccolò Barabino raffigurante il re Vittorio Emanuele II, commissionata dalla municipalità di Sampierdarena per essere posta nel palazzo comunale. Il quadro fu rimosso nel 1926 quando il comune di Sampierdarena entrò a far parte del complesso della grande Genova.

Il successore di Carlo Alberto, mantenendo, unico sovrano in Italia, un regime costituzionale dopo il ritorno della reazione nel 1849, garantì le condizioni per fare del regno di Sardegna lo stato-guida nella lotta per l'unità nazionale. Determinante fu la presenza di numerosi esuli politici: a Torino si riunirono i moderati, Genova fu invece centro di raccolta dei democratici mazziniani, guardati con diffidenza dal governo per i loro trascorsi rivoluzionari e spesso soggetti a provvedimenti di espulsione, come quello emesso dal questore della città ligure il 12 febbraio 1853 (man. 723), per il quale era rinnovato il permesso di permanenza solo a coloro i quali potevano dimostrare di "avere mezzi assicurati di sussistenza" e di avere tenuto buona condotta.

La libertà di associazione, garantita dallo statuto albertino, favorì la diffusione delle società operaie di mutuo soccorso, le quali, specialmente a Genova, non limitarono la propria azione all'emancipazione delle classi lavoratrici, secondo i principi espressi nei propri regolamenti statutari (op. 718-722), ma parteciparono attivamente alle lotte risorgimentali.

La politica liberale attuata dal conte Camillo Cavour, presidente del Consiglio dal 1852, il cui ritratto è in un fazzoletto e in un dipinto di Ulisse Borzino (735, 734), contribuì al processo sociale ed economico, di cui beneficiò anche la Liguria, soprattutto nel settore della marina mercantile. Notevole impulso diede l'armatore e finanziere genovese Raffaele Rubattino (dip. 733), il quale aveva saputo cogliere il momento storico del passaggio dalla navigazione a vela a quella a vapore, organizzando sin dal 1838 una flotta competitiva con le marine mercantili europee. Alcuni suoi piroscafi, all'ancora nel porto di Genova nel 1841, sono raffigurati in un disegno a tempera (730); documenti relativi alle sue attività imprenditoriali sono (724-726): l'orario delle partenze dei servizi postali a vapore, dei quali egli ebbe l'esclusiva dal governo sardo dal 1851; una circolare ai soci della Compagnia Transatlantica per la navigazione fra Genova e le due Americhe, costituita nel 1852, ed una azione della stessa compagnia.

Il 20 febbraio del 1854, il re, Cavour ed altri ministri presenziarono a Genova all'inaugurazione della ferrovia che collega la città ligure con Torino. Due acquarelli di Carlo Binelli (731, 732) illustrano la fastosa cerimonia: il treno delle autorità giunse in piazza Caricamento, dove era stato allestito un palco a forma di tempio ottagonale sorretto da colonne corinzie, al quale si saliva da quattro parti per mezzo di una maestosa gradinata, che aveva alla base le statue della Fede, della Sapienza, della Pietà e della Speranza.

In politica estera Cavour mirò ad inserire il Piemonte nel concerto degli Stati europei, in chiave antiaustriaca; nel 1856 non esitò ad allearsi con la Francia e l'Inghilterra in guerra contro la Russia e ad inviare in Crimea un corpo di spedizione di 15.000 uomini. Ebbe quindi titolo al termine del  conflitto per prendere parte alle trattative di pace al congresso di Parigi e potè porre all'attenzione generale la questione italiana.

Una litografia (736) illustra la partenza dal porto di Genova delle truppe piemontesi comandate dal generale Lamarmora; alla guerra si riferiscono altre testimonianze iconografiche: un fazzoletto di seta con litografata una carta geografica dell'Europa orientale (737); due litografie (738, 739), l'una raffigurante la battaglia della Cernaia, unico scontro in cui l'esercito piemontese ebbe modo di mettersi in evidenza, l'altra con la presa di Sebastopoli, che segnò la vittoria degli alleati contro la Russia; una serie di acquarelli di Eligio Pintore, con scene riprese dal vero (740-748), rendono l'atmosfera della vita quotidiana nel campo militare.

L'abilità diplomatica di Cavour non sarebbe di per sè bastata se non fossero intervenute le iniziative delle correnti rivoluzionarie, che vedevano in Mazzini la loro guida.

Il sacrificio di Pisacane e dei suoi compagni nel tentativo di rivoluzionare il regno delle Due Sicilie mostrò una volta di più che molti patrioti erano pronti e decisi a tutto per la causa italiana. L'attentato di Felice Orsini alla vita di Napoleone III convinse il sovrano francese della necessità di appoggiare la politica "legale" del Piemonte.

In museo, relativi al primo episodio, oltre al ritratto del protagonista (dip. 749) e del re borbonico Ferdinando II (lit. 753, dip. 755), vi sono due dipinti di Dubreuil (750, 751). Nel primo si vede il piroscafo postale "Cagliari", che i congiurati avevano dirottato verso la Campania, catturato da navi borboniche. Lo stesso piroscafo fu poi restituito al governo sardo (tema del secondo dipinto) che dimostrò la propria estraneità alla spedizione. Un singolare manoscritto presenta l'elenco delle cinquanta guardia urbane, che affiancarono i soldati borbonici contro i "trecento" di Pisacane proposte per una decorazione al merito (752).

L'attentato del 14 gennaio 1858 alla carrozza imperiale è ricordato con le immagini dei protagonisti (lit. 756, 758): Felice Orsini e Napoleone III; vicino vi è il ritratto di Cavour (lit. 757) che seppe abilmente trarre profitto dall'episodio e a Plombières, nel luglio successivo, durante l'incontro con l'imperatore francese, gettare le basi della futura alleanza nella guerra all'Austria. Alla parete (759), in un dipinto di Camillo Costa, si vedono le figlie di Felice Orsini mentre depongono fiori alla tomba del padre il cui viso compare sullo sfondo tra le nuvole.

Si avvicina il momento dell'azione. Garibaldi, ospite a Genova di Gabriele Camozzi nella sua casa allo Zerbino, commissiona al poeta Luigi Mercantini un inno per i suoi soldati; la sera del 31 dicembre 1858 vi fu la prova generale, tema del disegno di Peschiera (760) e da allora l'inno, musicato da Alessio Ulivieri, di cui si vede il ritratto opera di Giulia Almici (761), accompagnò le camicia rosse in ogni loro battaglia.

Cavour aveva stipulato con Napoleone III un accordo che assicurava l'intervento francese in caso di guerra provocata dall'Austria; alla Francia sarebbero state cedute Nizza e la Savoia, mentre Vittorio Emanuele II avrebbe ottenuto i domini austriaci in Italia, i ducati di Parma e Modena e le Romagne. L'occasione si presentò nell'aprile del 1859 quando Cavour respinse il perentorio ultimatum austriaco di disarmare la fanteria con il Lombardo-Veneto. Fu la guerra e Napoleone III intervenne in difesa dell'alleato aggredito. A Genova tra il 26 aprile e il 15 maggio sbarcarono oltre 100.000 soldati francesi, accolti entusiasticamente dalla popolazione. L'episodio è descritto in due pitture coeve di Leopoldina Zanetti Borzino (765, 766). Vari dipinti e stampe ricordano i momenti salienti delle vicende belliche: il primo scontro a Montebello (20 maggio) è in una tela di grandi dimensioni di Vincenzo Giacomelli (767); dieci giorni dopo, a Palestro, Vittorio Emanuele II combatte a fianco degli zuavi francesi (dip. 768), che lo vollero nominare loro caporale; in questo singolare costume il re di Sardegna compare in due stampe (769, 770). La battaglia di Magenta, illustrata in una stampa di Gustave Doré (771), aprì la via per l'occupazione di Milano. Gli scontri decisivi avvennero il 24 giugno a San Martino e a Solferino; il primo, combattuto dai piemontesi, è ripreso in una tela di Pietro Comba (773) e in un acquarello di Soatti (772); il secondo, che vide protagonisti i francesi, è oggetto di un dipinto di Gerolamo Induno (774). Alla guerra partecipò anche Garibaldi; nominato generale per Cacciatori delle Alpi - in questa veste è ritratto in una stampa (775) e in un fazzoletto (783) -, non si limitò a seguire le direttive ricevute di circoscrivere la sua azione in alta Lombardia per preparare il terreno all'esercito alleato, ma attaccò gli austriaci a Varese (lit. 776) e a San Fermo e si aprì la strada verso Bergamo e Brescia.  In museo spiccano alcuni fazzoletti patriottici del 1859 (779-782); uno di essi reca il titolo "Strappiamogli le penne" e presenta, entro un bordo tricolore, uno zuavo e un soldato piemontese che issano le bandiere francesi e di Savoia e strappano le penne all'aquila bicipite, simbolo dell'impero asburgico.

La guerra sembrava evolvere verso la definitiva sconfitta austriaca, quando a Villafranca Napoleone III e l'imperatore d'Austria conclusero un armistizio: l'Austria avrebbe sgomberato la Lombardia, ma sarebbe rimasta nel Veneto. I termini dell'accordo si leggono nel dispaccio telegrafico, inviato da Napoleone III alla moglie (man. 778); il sovrano temeva che l'alleato piemontese divenisse troppo potente, tanto più che nell'Italia centrale si erano formati governi provvisori, riuniti in lega, i quali avevano organizzato un proprio esercito conferendone il comando a Garibaldi (ms. 786-789) ed erano pronti a votare l'annessione al regno di Sardegna. Documenta il servizio prestato dall'eroe nizzardo in quel periodo una curiosa sequenza di note e ricevute di spese personali (791-798). Nel marzo del 1860 fu indetto il plebiscito: Toscana ed Emilia Romagna votarono per l'unione al regno di Sardegna. In mostra sono riunite alcune schede e manifesti elettorali a favore e contro l'annessione.

La politica cavouriana era sostenuta dalla Società Nazionale, espressione del movimento monarchico-unitario che riunì liberali e moderati di ogni parte d'Italia. A questo movimento si riferiscono vari manifesti, giornali, e fogli volanti (799-803); di particolare interesse è una copia del giornale "Piccolo corriere d'Italia", la cui unica raccolta esistente è conservata all'Istituto Mazziniano. A Genova, repubblicana per tradizione, la Società Nazionale non ebbe molto seguito; ne fu esponente principale Daniele Morchio, di cui si vede il ritratto, opera di Giuseppe Isola (805). A questa organizzazione si contrappone il partito d'Azione, d'ispirazione mazziniana, che aumentò la propria influenza dopo l'esito deludente della guerra all'Austria. In particolare Garibaldi, che aveva visto la "sua" Nizza ceduta alla Francia in cambio del tacito assenso alle annessioni nell'Italia Centrale, si scostò dalla politica cavouriana, convinto che era inutile attendere l'aiuto straniero per risolvere la questione italiana. A Genova, nell'aprile del 1860, organizzò una spedizione per aiutare i siciliani insorti; la notte tra il 5 e il 6 maggio - la scena è raffigurata in una grande tela di Tetar van Elven (815) - milleottocentonove volontari si imbarcarono dallo scoglio di Quarto su due piroscafi della compagnia Rubattino, il "Piemonte" e il "Lombardo", catturati da Nino Bixio: Due acquarelli raffigurano il piroscafo "Lombardo" (816, 817), mentre lo scoglio di Quarto è in un dipinto di angelo Costa (818).

Una successione di stampe e di disegno (819-833) illustrano l'impresa garibaldina dallo sbarco a Marsala l'11 maggio al decisivo scontro a Volturno del 1° ottobre. Tra essi si segnalano alcuni acquarelli di Achille Dovera: uno riprende un episodio tramandato dalla tradizione, nel quale si vede, durante la battaglia di Calatafimi, Garibaldi rivolgere a Bixio, che consigliava la ritirata di fronte alle soverchianti forze nemiche, la celebre frase "Nino, qui si fa l'Italia o si muore!" (825); un altro descrive lo storico incontro di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele (831), un terzo presenta il loro ingresso a Napoli, salutati da una moltitudine di folla (832). Sempre nel filone celebrativo-popolare dell'impresa si colloca un disegno di Francesco Gandolfi raffigurante Garibaldi nell'atto di scendere da cavallo per soccorrere un soldato borbonico ferito (826). Particolare attenzione è dedicata alla componente ligure della spedizione: in una litografia (820) sono elencati i nomi dei 167 liguri facenti parte delle camicie rosse, incorniciati da disegni allegorici, il cui significato è spiegato in un manifesto (821); una stampa (833) mostra Antonio Mosto, il maggiore dei carabinieri genovesi, mentre consegna ai suoi soldati una bandiera, donata da Garibaldi, per il quale era stata ricamata dalle donne di Napoli; successivamente essa fu consegnata, con una lettera di Garibaldi (834), al Comune di Genova ed è oggi conservata nel nostro museo (865).

Vari dipinti alle pareti ritraggono alcuni protagonisti dell'eroica impresa: Giacomo Medici (872) opera di Gerolamo Induno, Antonio Mosto (875), Bartolomeo Savi (877), Francesco Nullo (878) e Antonio Solari (876); una litografia presenta Garibaldi e il suo Stato Maggiore (879); la composizione è di fantasia in quanto riunisce personaggi che nella spedizione non ebbero neppure occasione di incontrarsi, come Rosalino Pilo, caduto in battaglia il 20 maggio 1860 e Giacomo Medici,  giunto in Sicilia nel giugno successivo. Fra gli altri cimeli vi è una bandiera garibaldina, tricolore, con la scritta "Libertà o morte" (870), appartenuta a Francesco Devoto capitano e armatore marittimo di Sampierdarena, e un busto in gesso di Nino Bixio (863). Il secondo dei Mille ebbe vita avventurosa e morì di febbre gialla il 16 dicembre 1873 al largo dell'isola di Atchin nell'arcipelago della Sonda. La sua salma fu profanata dagli abitanti dell'isola convinti che la cassa che la conteneva richiudesse un tesoro. Alcuni anni dopo, le autorità olandesi fecero ricerche e trovarono il feretro non distante dal luogo da dove era stato tolto; le ceneri di Bixio, chiuse in una cisterna metallica per acqua (864) giunsero a Genova il 30 settembre 1877 e furono tumulate nel famedio del cimitero di Staglieno.

Numerosi sono gli autografi e i manifesti che documentano l'impresa dei Mille; tra essi ricordiamo alcune minute di proclami preparati da Garibaldi alla vigilia e durante la spedizione (836-839, 841); note a appunti di Davide Uziel e Vincenzo Carbonelli con le istruzioni e gli itinerari dati ai volontari per raggiungere i punti di imbarco (840, 842). Le precauzioni consigliate mostrano la necessità di passare inosservati alla polizia sabauda; un manifesto diffuso a Palermo il 7 luglio con il decreto che istituiva la coscrizione obbligatoria: "Il servizio dei volontari è obbligatorio durante la guerra" (845). L'ordine del giorno dell'8 novembre 1860 (850) concluse l'impresa garibaldina; l'iniziativa passò all'esercito regolare piemontese, che dopo un lungo assedio alla fortezza di Gaeta, il 13 febbraio 1861 costrinse i borbonici alla resa (lit. 835).

Nel marzo del 1861 Vittorio Emanuele II venne proclamato re d'Italia. L'unità territoriale della penisola non era ancora raggiunta: l'Austria occupava il Veneto, mentre il papa, a Roma, manteneva il suo potere temporale.

 

 

 

       

 

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Ultimo aggiornamento

giovedì 17 agosto 2000