La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Un saluto, e un augurio
di Giacomo Cives

    Con questo numero parte dunque una nuova rivista. Che si avvale coraggiosamente di tecnologie d’avanguardia. Ecco allora un nuovo periodico, trasmesso tra i primi via Internet, di teoria pedagogica e di storia della pedagogia; due interessi in sostanza non troppo coltivati, almeno fino a ieri, in questa comune deriva di pedagogia sociale e di didattica banalizzate e alla moda.

    Intendiamoci, questi due ultimi settori sono entrambi importanti e da sviluppare. In un tempo passato rappresentavano l’alternativa di innovazione di fronte all’egemonia esclusiva di una altezzosa pedagogia filosofica, sistematica, dialettica e presuntuosa che svalutava l’interesse per l’empirico e la riflessione su di esso, cui si negava il valore di scienza. Oggi viceversa il pendolo si è spostato in senso inverso. E c’è voluto un non lieve impegno per recuperare, specie negli anni ’60 e ’70 la dimensione positiva (e insostituibile) della filosofia dell’educazione, della teoria della formazione, e quindi della storia dell’educare (cfr. Cives 1978; Cambi 1992). Che è non solo interesse per il teorico e per le idee, ma anche per la pratica e le varie concrete realizzazioni educative. E che non è esaltazione unilaterale solo di alcune discipline, ma è insieme richiesta di un organico e proporzionato sviluppo dei vari settori della “rosa dei venti” (cfr. Visalberghi 1978) delle scienze dell’educazione.

    Il contributo della ricerca teorico e storico-educativa vuol essere solo parte di un tutto teso allo sviluppo complementare dei diversi aspetti dell’indagine e elaborazione pedagogica. Quel che conta è superare intolleranze e esclusivismi e elaborare un clima di disponibilità e collaborazione. Una sana e serena ricerca di teoria e di storia dell’educare non è allora per nulla polemica e “contro”, ma è tesa a incrementare la stessa ricerca di pedagogia sociale, pedagogia didattica e tecnologica.

    In una parola, è una ricerca parziale, in un campo determinato, e spesso trascurato, ma orientata alla promozione cooperativa dell’intero campo del sapere teorico-operativo dell’educazione, in collaborazione con quello stesso che non è propriamente pedagogico, ma con cui la pedagogia non può non confrontarsi e integrarsi, pur facendo salva la sua specificità, dalla scienza all'arte, dalla sociologia alla letteratura, dalla storia-storia alla filosofia e così via. Teoria e storia della pedagogia sono certo costitutivamente disponibili in modo particolare a una visione larga, tollerante e comprensiva, incoraggiante per lo sviluppo della ricerca nelle sue più varie specificazioni e articolazioni.

    Questi caratteri aperti e fluidificanti sembrano costitutivamente intrinseci alla ricerca pedagogica generale e storica bene intesa, ma insieme intenzionalmente proposti con forza dai promotori di questa rivista. E il mio augurio è di riuscire a realizzarla in una dimensione appunto sempre più aperta, più rispettosa, attenta, di scambio operoso e di solidarietà con le altre componenti della ricerca educativa, ma anche, come si è detto, della ricerca tout-court, via via che si presentino (e quante se ne presentano!) intersezioni.

    Questa rivista nasce dall’iniziativa di quattro miei giovani valorosi e sensibili allievi e collaboratori della Facoltà di Lettere e Filosofia della “Sapienza” di Roma, legati a me da reciproca stima e affetto: Furio Pesci, Marco D’Arcangeli, Carlotta Padroni e Paola Trabalzini. Hanno slancio, capacità e volontà di fare. Tutte premesse molto positive per la riuscita dell’impresa. Debbo aggiungere che colla loro devozione e la loro squisita gentilezza mi avevano cortesemente sollecitato a accettare la direzione della rivista. Ma pur lusingato e commosso per la gentile offerta, ho creduto di dover rispondere negativamente, convinto che i giovani debbano uscire allo scoperto mettendo alla prova la loro intraprendenza. Personalmente ricordo con quanto entusiasmo mi associai a un gruppo di amici della mia età, uomini di scuola e studiosi di problemi educativi, dando vita a una piccola, ma senz’altro valida, rivista, “Il Maestro Oggi”, edita dal 1960 al 1965 e pubblicata dalla Nuova Italia (cfr. su di essa Cinquegrana 1996, Cives 1992). L’intento era quello di sviluppare un discorso sulla scuola, specie elementare, critico e controcorrente, fuori dagli schieramenti e dai conformismi relativi, specie da quello di orientamento confessionale allora pesantemente dominante. La rivista riuscì molto bene, ci appagò e fu apprezzata e seguita. Peccato che ebbe vita breve. Le due successive, varate con gli stessi amici, non raggiunsero quella passione e quell’intensità. Ora ci ritroviamo, Augusto Scocchera, animatore numero uno dei tre periodici, Sandro Celidoni, Luigi Grossi, Giacomo Santucci, sulle pagine della montessoriana “Vita dell’Infanzia”. E in carne ed ossa l’estate sulle spiagge delle Marche ove ora risiedono (e Santucci ci raggiunge da Perugia). Parliamo degli impegni, dei programmi di lavoro di ciascuno. Ma certo l’entusiasmo della coinvolgente programmazione e compilazione dei vari numeri de “Il Maestro Oggi” è ben lontana. Quella di allora era una battaglia oltre che di rinnovamento culturale educativo per la riforma democratica scolastica. La tensione di quell’impegno non poteva che calare nella crescente chiusura degli spazi innovativi scolastici nel Paese, nel quadro del ripiegamento generale sui temi educativi: avanzano, ahinoi, il clima di routine, il disincanto e il venir meno della speranza in trasformazioni significative.

    Un altro momento di entusiasmo lo vissi con altri colleghi docenti incaricati nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’allora Libera (non statale) Università di Chieti (un clima allora di notevole fervore, reciproca stimolazione nella intensa vita di vari giorni in comune, quali pendolari), fondando e preparando via via dal 1967 una rivista culturale dalla veste, dall’impostazione e dalla qualità notevole, per unanime riconoscimento. Mi riferisco alla rivista “Trimestre”, edita a Pescara, che voleva essere una nuova conferma che il Sud (in cui storicamente era da inserire l’Abruzzo, già parte del Reame, come rilevò presentandola nel modo più stimolante e autorevole Sansone) potesse esprimere un livello culturale rilevante, contro il clichè corrente (e in parte diverse volte anche la realtà) del ruolo di varie iniziative troppo appiattite e approssimative. Ma quel buon livello e quello slancio poterono durare pochi anni, perché quasi tutti i redattori originari fondatori della rivista lasciarono la partita, trasferendosi, anche vincendo i concorsi, in altre sedi di insegnamento o furono sostituiti per un nuovo assetto della proprietà del periodico. Non è forse illusione ritenere che lo slancio appassionato e fortunato di quel periodo abbia contribuito in qualche sia pur limitata misura alla buona affermazione attuale dell’Università di Chieti, finalmente statalizzata, colla sua nuova sede prestigiosa e anche la guida entusiasta e dinamica odierna della sua Facoltà di Lettere e Filosofia da parte di un amico preside, pedagogista, anzi per la realtà storico della pedagogia, Gaetano Bonetta.

    I giovani amici della rivista vadano avanti dunque, con fiducia e coraggio con le loro forze, sapendo che io e altri colleghi saremo loro vicini, con consiglio e appoggio, e non solo, come per la verità faccio qui, in forma augurale. Pesci, D’Arcangeli, Trabalzini, Padroni sono del resto sorretti da una motivazione degna e forte: quella della volontà di dar sviluppo e rafforzare il positivo sodalizio già felicemente sorto tra loro nell’attuazione delle ricerche e delle esercitazioni svolte presso il mio insegnamento di storia della pedagogia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Dunque una feconda solidarietà e intesa nate dal lavoro comune. Ecco una buona premessa per cimentarsi nella seria impresa della fondazione di una nuova rivista pedagogica, oltre tutto istituita utilizzando tecnologie nuove di comunicazione, da ben definire e collaudare.

    Comprendo che il titolo di “La Mediazione Pedagogica” adottato per questa rivista è stato scelto anche in qualche modo in mio onore, e di questo ringrazio vivamente. Anche perché sulla validità del concetto c’è pure una sincera convinzione, in particolare da parte di Furio Pesci, che non manca di sottolinearne la positività, molto più spesso di quanto io non faccia dal 1973 quando ad esso dedicai un volume omonimo (Cives 1973), nel timore di irrigidire questa proposta, di costringere la sua dimensione a mio parere propulsiva in una gabbia schematica, in una forma di sistema in ventiquattresimo, o comunque in una etichetta. Piuttosto al sottofondo, al senso, al metodo della “mediazione pedagogica” ho ispirato in concreto lo sviluppo del mio lavoro, insegnamento, ricerca, progettazione, opponendomi a chiusure settoriali, a isolamenti, a paraocchi, a intransigenze.

    Dominava allora una riflessione, senza dubbio brillante, ma tendenzialmente pure incline a farsi unilaterale ed esasperata, che vedeva in una libera lettura marxiana la pedagogia (e l’educazione) tutta in chiave sovrastrutturale, orientata a mascherare, mistificare la realtà. La mediazione della pedagogia era allora sostanzialmente considerata un imbroglio. Se pure in ciò era colta storicamente una parte di vero, l’esito ultimo era esiziale: ed era la morte della pedagogia, di qualunque pedagogia.

    Io sostenni invece una visione in positivo della mediazione pedagogica. Non di una pedagogia purchessia, ma di una certa pedagogia orientata in senso democratico, tesa a realizzare attraverso un paziente lavoro costruttivo individui più completi, più liberi, inseriti in un’attiva collaborazione e in una realtà sociale e ambientale via via arricchita, in un contesto di sapere, in primo luogo ma non solo di scienze dell’educazione operativamente comunicante e reciprocamente sostenuto, come del resto si è detto all’inizio di queste note. Una linea di rafforzamento dell’identità e specificità dei singoli soggetti, delle singole realtà, dei singoli tipi di sapere, ma insieme del loro scambio, rapporto fecondo e sostegno scambievole.

    Nella dimensione della mediazione pedagogica vi era l’affermazione sul piano personale dello sforzo vissuto di equilibrazione e armonizzazione critica, vi era “fiducia nella ragionevolezza e nello ‘spirito scientifico’, e diffidenza per schematismi aprioristici e eccessivamente sicuri delle loro capacità risolutrici, troppo spesso tendenzialmente ‘soprasensibili’, in realtà (Dewey insegna) aspiranti a sganciarsi dal piano della continuità della ‘natura’ per porsi sul piano di una presunta realtà superiore e aristocratica, troppo rispondente agli interessi di gruppi, classi, élites chiuse e privilegiate” (Cives 1973, pp. XIII-XIV).

    Ho ricordato in una mia autopresentazione del 1993 (Cives 1993, pp. 129-130) che nel mio libro La mediazione pedagogica di 20 anni prima quel concetto era stato al centro della mia riflessione. Quel volume “attraverso una serie di specifiche analisi su Th. Mann, su Dewey, su Bruner, sulla psicoanalisi, sulla creatività, sulla cibernetica, ecc., con la fiducia e la speranza nella vita e nell’educazione a un più aperto futuro (...), proponeva una caratterizzazione teorica dell’educazione come appunto positiva connessione (e per nulla deteriore commistione e compromesso) tra soggetti, livelli, tipi di sapere diversi, tutti da rispettare, ma insieme da collegare in un processo di arricchimento reciproco. Scrivevo allora alle pp. XI-XII de La mediazione pedagogica”, ho fatto presente in quel mio scritto autobiografico, che se la mediazione può senz’altro esser posta sul piano, ad esempio, dell’ironia manniana, dello stato estetico (cfr. Schiller), e dell’arte, mi sono convinto sempre più che essa è richiesta nel più largo grado proprio dalla pedagogia, sia a livello di riflessione teorica che di concreta pratica educativa. Educazione è aiutare gli uomini a unificarsi, cioè per meglio dire a equilibrarsi dinamicamente, cioè a maturare e farsi uomini: armonizzando (e non già violentando) la molteplicità dei loro interessi e livelli multilaterali, da quelli più semplici e modesti a quelli più culturali e complessi, dalle polarità, si potrebbe dire mannianamente, della natura a quelle dello spirito (…); coordinando (ma non cancellando) in uno stile personale la varietà irriducibile delle caratteristiche e inclinazioni; collegando gli individui produttivamente e organicamente in una società che è unità ma insieme molteplicità in funzione dei molti individui, autentici in quanto diversi tra loro, eppure diversi proprio in forza di quel terreno comune della società senza il quale non potrebbe esserci la loro personalizzazione (cfr. l’articolo I del Mio credo pedagogico).

    “E continuavo e ribadivo ancora: ‘Ma oltre a ciò la pedagogia è mediazione per eccellenza anche per un altro motivo distintivo: poche altre discipline, o se si vuole pochi altri complessi di discipline, richiedono una così diretta saldatura tra prospettiva filosofica, ricerca delle scienze, arte come abilità pratica, applicativa (l’insostituibile perizia dell’insegnante)’. Allora la pedagogia risulta insieme filosofia dell’educazione, pedagogia sperimentale e collaborazione con le altre scienze positive, anche attraverso le molte discipline intermedie (psicologia scolastica, sociologia dell’educazione, epistemologia genetica, ecc.), didassi della scuola viva”.

     Ma il discorso pedagogico non poteva neppure chiudersi nell’ambito delle sole scienze dell’educazione e discipline affini. La pedagogia intesa nella sua dimensione di mediazione, lo vedevamo già all’inizio, si collega nel modo più vivo con le più varie dimensioni della cultura senza esclusioni.

     In quella autopresentazione aggiungevo anche (Cives 1993, p. 130) che in La mediazione pedagogica avevo sostenuto pure che “alla mediazione sul piano pedagogico (…) è da collegarsi l’integrazione sul piano concreto dell’organizzazione e azione scolastica”, vale a dire tutto il progetto, cui mi sono dedicato per tanto tempo, della “scuola integrata” o a pieno tempo, realizzante in una dimensione insieme pedagogica, didattica e istituzionale la saldatura di gioco e lavoro, “interesse” e “disciplina”, individualità e socialità e altre apparenti antinomie. A dimostrazione che la mediazione ha una sua traducibilità concreta e non è affatto un discorso evanescente.

     Con molto piacere ho visto poi riconosciuta nella caratteristica della mediazione uno degli aspetti distintivi di un positivo e moderno concetto della pedagogia da parte di Franco Cambi, un autorevole filosofo dell’educazione, oltre che storico della pedagogia.

     Questo a dimostrazione che aver scelto a intitolazione di questa rivista via internet l’idea della “mediazione pedagogica” è, forse non solo a mio avviso, una scelta impegnativa, aperta in più direzioni ma raccordate tra loro in una aspirazione di equilibrio e di saggezza.

    Nel rivolgere un fervido e caloroso saluto alla nuova rivista e ai giovani studiosi, a me così vicini, che con tanto entusiasmo le han dato vita, esprimo anche l’augurio fiducioso per il suo successo e la sua qualità, per la realizzazione della quale la scelta dell’impegnativo e civile simbolo della “mediazione” costituisce una promettente premessa.

 

Riferimenti Bibliografici

  •  Cambi F., La ricerca storico-educativa in Italia 1945-1990, Milano, Mursia, 1992.

  • Cinquegrana C., “Il Maestro Oggi” (1960-1965) una rivista di base e controcorrente, in “I Problemi della Pedagogia”, a. XLI, n. 4-6, luglio-dicembre 1996, pp. 441-452.

  • Cives G., La mediazione pedagogia, Firenze, La Nuova Italia, 1973.

  • Cives G., La filosofia dell’educazione in Italia oggi, Firenze, La Nuova Italia, 1978.

  • Cives G., Da “Il Maestro Oggi” a “Educazione e Scuola”, in “Vita dell’Infanzia”, a. XLI, n. 9, settembre 1992, pp. 5-7.

  • Cives G., Storicità, democrazia e mediazione nell’educazione, in B. Serpe, G. Trebisacce (a cura di), La mia pedagogia, Cosenza, Jonia Editrice, 1993, pp. 113-140.

  • Pesci F., Pedagogia capitolina. L’insegnamento della pedagogia nel Magistero di Roma dal 1872 al 1955, Parma, Ed. Ricerche Pedagogiche, 1994.

  • Pesci F., Ragazzi inquieti. Storia, realtà urbane, valori giovanili, Roma, Edizioni Universitarie Romane, 1996.

  • Visalberghi A. e altri, Pedagogia e scienze dell’educazione, Milano, Mondadori, 1998.

  iniziopagina.gif (1745 bytes)

wpeD.jpg (2693 bytes)