La Mediazione PedagogicaLiber Liber

La psicologia dei costrutti personali di George A. Kelly
di Furio Pesci

2.  I cardini epistemologici e metodologici della teoria

La psicologia dei costrutti personali è una teoria che anche dal punto di vista formale si presenta con caratteristiche del tutto peculiari; già si è fatto cenno alla sensibilità del suo ideatore verso i problemi epistemologici; in effetti, fatto alquanto insolito nelle trattazioni di psicologia, lo sforzo di Kelly puntò verso una strutturazione rigorosa della teoria, alla quale diede un assetto quasi “geometrico”, con l’enunciazione di un postulato fondamentale e di undici corollari che illustrano esaurientemente la concezione dell’uomo su cui essa si fonda. E’ su questi punti fondamentali che si concentrerà, ora, l’attenzione.

Il postulato fondamentale, già citato, è il seguente: “Lo sviluppo della persona è canalizzato dal punto di vista psicologico dalle modalità con cui anticipa gli eventi”.

A questo postulato, come s’è detto, sono collegati i seguenti corollari (cfr. Kelly, 1955, pp. 103-104):

“a) La persona anticipa gli eventi attraverso la costruzione delle loro riproduzioni (corollario della ‘costruzione’).

b) Le persone differiscono l’una dall’altra nelle costruzioni individuali degli eventi (corollario della ‘individualità’).

c) Ciascuna persona si sviluppa in maniera peculiare per il suo orientamento nell’anticipazione degli eventi, poiché ogni sistema interpretativo (construction system) abbraccia relazioni di tipo ordinale tra costrutti (corollario della “organizzazione”).

d) Il sistema interpretativo di una persona è composto da un numero finito di costrutti dicotomici (corollario della ‘dicotomia’).

e) La persona sceglie per se stessa, in un costrutto dicotomizzato, quelle alternative attraverso le quali ha la maggiore possibilità di estendere e di definire, nel sistema, le anticipazioni di eventi (corollario della ‘scelta’).

f) Un costrutto è valido soltanto per l’anticipazione di una gamma finita di eventi (corollario della ‘gamma’).

g) Il sistema interpretativo della persona varia a seconda di come in momenti successivi costruisce le repliche degli eventi (corollario della ‘esperienza’).

h) La variabilità in un sistema interpretativo personale è limitata dalla permeabilità dei costrutti; le varianti si collocano nell’ambito di validità dei singoli costrutti (corollario della ‘modulazione’).

i) La persona può in momenti successivi impiegare una varietà di sottosistemi interpretativi che sono sul piano inferenziale incompatibili tra loro (corollario della ‘frammentazione’).

l) Nella misura in cui una persona impiega un’interpretazione dell’esperienza che è simile a quella impiegata da un’altra persona, i suoi processi psicologici sono simili a quelli dell’altro (corollario della ‘comunabilità’ - commonality).

m) Nella misura in cui la persona riesce a interpretare i processi interpretativi di un’altra, può svolgere un ruolo in un processo sociale che coinvolge l’altra persona (corollario della ‘socialità’)”.

     Occorre notare, prima di procedere all’analisi dei singoli enunciati della teoria, che Kelly utilizza un termine chiave, difficile da rendere in italiano per la polivalenza del suo significato; il termine in questione è “construction”, a cui si collega il termine “construct” che caratterizza la teoria nel suo complesso; in inglese questo termine ha sia il significato di “costruzione”, sia quello di “interpretazione”. Non è, quindi, un caso che sia stato adottato da Kelly proprio questo termine, ampiamente utilizzato nel corso di tutta la sua vasta opera. Con questa scelta è chiaro che l’Autore intese sottolineare il carattere “costruttivistico” di tutti i prodotti dell’attività mentale; l’interpretazione della realtà, l’attribuzione di senso che ciascuno di noi conferisce a ciò che accade sono processi mentali caratterizzati da un’intensa attività di “costruzione”; dire che il soggetto “interpreta” la realtà, le da un senso, più o meno compiuto, più o meno adeguato, significa che, in sostanza, la “costruisce”. Il senso della realtà è una costruzione del singolo individuo ed assume connotati personali, che differiscono da persona a persona.

     Per cogliere il significato profondo della teoria di Kelly, anche in questo molto vicino al pensiero deweyano, occorre tener sempre presente che per questo studioso la vita umana è una continua ricerca di senso. E’ questo il principale obiettivo di ogni singolo uomo, si può dire, in quanto uomo; non è possibile vivere senza attribuire un senso alle cose che accadono, agli oggetti che ci circondano, senza costruire un sistema di pensiero, rozzo o evoluto che sia, entro il quale comprendere ciò che ha valore e ciò che non ne ha. Anche la follia, da questo punto di vista, dirà Kelly, che al senso comune appare proprio come la perdita di senso da parte di colui che vi cade, ad un più attento esame si rivela un’assunzione di punti di riferimento, o meglio ancora, una costruzione di riferimenti non validi sul piano oggettuale.

     La teoria di Kelly solleva allora immediatamente un problema di natura filosofica, vale a dire se e in quale misura possa dirsi esistere una realtà oggettiva, dal momento che la realtà stessa non è altro che la costruzione di essa operata da ciascun soggetto. E’ in fondo il problema del rapporto tra pensiero e realtà esterna, del contrasto tra soggettivismo ed oggettivismo che ha attraversato millenni di riflessione filosofica. Kelly riconosce che il problema non è eludibile da parte di una psicologia autenticamente scientifica.

     La risposta di Kelly appare misurata e chiara; riconoscendo che la questione ha suscitato e suscita continue discussioni e probabilmente non può giungere ad una risoluzione definitiva (anche oggettività e soggettività sono, infatti, costruzioni umane), l’Autore afferma che la reale esistenza delle cose è un postulato necessario. Sul piano propriamente psicologico, e Kelly è molto attento alla delimitazione epistemologicamente corretta delle questioni da affrontare e dei contenuti del suo discorso, la domanda, tuttavia, è un’altra: riguarda, infatti, la corrispondenza tra ciò che l’uomo pensa e la realtà esterna, e questa corrispondenza muta continuamente. Lo psicologo deve concentrare l’attenzione, allora, sulle modalità in cui si realizza questa corrispondenza, sui momenti di “crisi” del pensiero e sui momenti di “equilibrio” tra pensiero soggettivo e realtà.

Questa corrispondenza si coglie nel tempo; la vita dell’uomo è il banco di prova delle sue interpretazioni della realtà; essa implica una relazione ricca d’interesse tra le varie parti del nostro universo, nella quale la creatura vivente è capace di rappresentare a se stessa il suo ambiente. Spesso si dice che gli esseri viventi, incluso l’uomo, differiscono da quelli non viventi per la capacità di percepire con i sensi e di reagire agli stimoli esterni. Kelly si distacca da questa concezione per affermare la capacità creativa dell’essere vivente, prima di tutto dell’uomo, nel rappresentare l’ambiente, e non semplicemente nel reagire ad esso. Precisamente grazie a questa capacità di rappresentazione è possibile costruire/interpretare la realtà in modi differenti, contrastanti, alternativi, agire sulla realtà per cambiarla; la realtà dell’universo, allora, non è per la creatura vivente un dato inesorabile, fintantoché è in grado di scegliere come costruirla.

L’attenzione dello psicologo si focalizza allora sulle maniere in cui l’uomo, i singoli individui, costruiscono le loro interpretazioni della realtà. A queste interpretazioni Kelly da il nome di “costrutti”, definendoli in modo estremamente ampio ed articolato; essi sono gli strumenti di cui l’uomo, ed anche gli animali inferiori, dispone per rappresentare il corso di eventi e azioni.

I costrutti, così definiti, possono essere formulazioni esplicite o implicite negli atti del soggetto, espressi verbalmente o totalmente inarticolati, coerenti o incoerenti tra loro, frutto di elaborazione intellettuale o di percezioni e persino di sensazioni vegetative. In generale, l’uomo tende a sviluppare i suoi costrutti ampliandone il repertorio, modificandoli per meglio adattarli alla situazione, riconducendoli nell’ambito di costrutti o sistemi di costrutti sovraordinati. Sono precisamente i momenti e i modi di queste mutazioni che costituiscono la ricchezza e insieme la minaccia di crisi della più significativa vita mentale.

Con la proposta di concepire l’intera vita della mente e i suoi prodotti in termini di “costrutti”, Kelly sperò di poter rendere più chiaro il discorso e il linguaggio stessi della psicologia, facendo “giustizia” di altri concetti meno chiari ed epistemologicamente problematici; nell’introduzione scritta nel 1963 per la riedizione dei primi tre capitoli dell’opera principale, Kelly, infatti, dopo aver ricordato che alla prima apparizione, nel 1955, il suo opus magnum era stato probabilmente più venduto che letto, avvertiva il lettore che avrebbe trovato assenti molti dei più familiari punti di riferimento della teoria psicologica. Nella sua nuova concezione non c’era spazio per concetti come “apprendimento”, “motivazione”, “emozione”, “cognizione”, “stimolo”, “risposta”, “io”, “inconscio”, “bisogno”, “rinforzo”, “istinto”; e precisava che non si trattava di una scelta puramente terminologica; l’abbandono dei termini corrispondeva ad una vera e propria “evaporazione” dei concetti corrispondenti (Kelly, 1963, p. xi). E rendendosi conto delle difficoltà che la sua nuova teoria incontrava proprio a causa della novità dell’impostazione, tale da richiedere un autentico mutamento di “paradigma” epistemologico, rivolgeva onestamente un invito a prendere almeno in considerazione il suo sforzo di riformulare complessivamente la psicologia, soprattutto la psicologia della personalità. In sostanza, risulta chiaro come per Kelly, la nuova teoria rappresentasse una proposta, la presentazione di un sistema di “costrutti” scientifici in grado di rendere conto della vita mentale dell’uomo e di operare sul piano pratico, con particolare riguardo alla clinica e alla terapia.

Il carattere dei costrutti, come tentativi di interpretazione e di organizzazione della realtà, consentiva effettivamente a Kelly di precisare il proprio punto di vista, collegando strettamente riflessione epistemologica e riflessione psicologica. Questa posizione è un’originale estensione della relazione che Dewey pose in evidenza con grande enfasi tra senso comune e sapere scientifico; ben lungi dall’essere in contraddizione, come usualmente si pensa, Dewey individuò un continuum che collega l’uno all’altro; Kelly riprese questa concezione e concettualizzò la vicinanza, l’affinità tra i processi di pensiero della vita quotidiana e quelli tipici dei più alti livelli dell’attività intellettuale.

Innanzitutto si poneva il problema della validità dei costrutti. La concezione di Kelly si basa sull’asserzione del valore dell’esperienza come banco di prova dei costrutti stessi, anzi, in un certo senso, come fonte dei dati e dei contenuti essenziali dell’attività interpretativa che porta il singolo individuo a costruire i propri costrutti. Pur collocandosi, con ciò, nell’ampio alveo della tradizione empiristica anglosassone, Kelly si caratterizza originalmente, tuttavia, per una concezione dell’esperienza che non è mai vista come qualcosa di neutro, di dato e di uguale per tutti; ogni individuo ha una “sua” realtà, in quanto ha un suo modo, peculiare, di coglierla, di selezionare in essa ciò che per lui è significativo e di tralasciare, di non notare nemmeno ciò che, viceversa, non rientra nei suoi schemi. La realtà, e quindi, con essa, l’esperienza, è sempre soggettiva; con questa constatazione, Kelly supera la concezione ingenua che vuole la realtà coincidere con l’oggettività più “dura”.

Se questo è vero, il problema della validità dei costrutti si pone nel senso che esisteranno costrutti più o meno validi a seconda che siano effettivamente in grado di rispondere, di rispecchiare sul piano dei significati soggettivamente attribuiti dall’individuo alla realtà esterna, il corso degli eventi e di operare attivamente per prevederli e per orientarli positivamente. Kelly si sofferma, allora, anche su alcuni atteggiamenti particolari propri di ogni uomo; per esempio, si possono qui menzionare, senza esporre nei particolari questa parte della teoria dei costrutti personali, le conseguenze dell’attività di selezione che tutti compiamo nella costruzione della “nostra” realtà; tutti tendiamo ad anticipare “troppo” gli eventi, vale a dire a costruire schemi d’interpretazione sulla base di pochi elementi e non sempre siamo disposti ad apportare le necessarie modifiche alle costruzioni della realtà che abbiamo già posto in essere; se questa è una tendenza che tutti gli individui hanno, in alcuni essa può accentuarsi fino ad assumere connotazioni patologiche, come quando pregiudizi e stereotipi giungono a popolare l’intera vita mentale e di relazione dell’individuo, o costruzioni fantastiche si mescolano con i dati oggettivi fino a sopraffarli o deformarli. In sostanza, per Kelly, il rapporto con la realtà è il banco di prova dei costrutti, non nel senso della mera corrispondenza con essa, ma in quello della loro funzionalità rispetto ai fini di anticipazione degli eventi, di arricchimento dell’universo di significati di cui ciascuna persona è portatrice.

La prima preoccupazione di Kelly, entrando nel vivo della presentazione della sua teoria, è quella di chiarire il quadro epistemologico entro il quale intende muoversi. Innanzitutto, egli riconosce che lo stesso pluralismo metodologico e interpretativo che caratterizza la psicologia odierna è determinato dal fatto che nessuna teoria riesce a rendere conto e a prendere in considerazione l’intero campo della vita mentale, invero sterminato e variegatissimo. Si tratta, allora, di riconoscere, con l’onestà necessaria per qualsiasi discorso che ambisca ad una qualificazione di scientificità, quale sia l’ambito entro il quale l’interpretazione proposta e il metodo impiegato si rivelino adeguati e pertinenti. La scelta di Kelly è stata, afferma lo studioso, quella di compiere uno sforzo di elaborazione di una teoria volta ad individuare le vie migliori per aiutare le persone a ricostruire la propria vita e a non doversi ridurre a vittime del proprio passato. In questo sforzo consiste il lato autenticamente umanistico del lavoro di Kelly, che si dichiara soddisfatto se la sua teoria potrà servire a questo, pur rivelandosi meno utile in altri ambiti o per altri scopi.

Di seguito a questa precisazione iniziale, Kelly elenca le caratteristiche essenziali che dovrebbe avere una valida teorizzazione scientifica. In primo luogo dovrebbe rivelarsi “fertile”, vale a dire in grado di conseguire risultati nuovi rispetto al sapere già acquisito. Produrre nuove idee in un quadro di riferimento solido e coerente è il primo requisito ed il primo scopo del lavoro scientifico.

In secondo luogo, prosegue Kelly, un altro criterio per valutare la validità di una teoria psicologica è la sua capacità di produrre ipotesi verificabili sul piano osservativo-sperimentale. A differenza di altri sistemi di pensiero e di conoscenza, una teoria scientifica deve mettere in grado chi la studia o la sostiene di fare previsioni abbastanza precise su come si svolgeranno i fenomeni osservati, immediatamente suscettibili di verifiche concrete e non ambigue.

Una teoria scientifica dovrebbe inoltre corrispondere a un altro requisito: la validità; ciò significa, tuttavia, secondo Kelly, che nessuna teoria è “valida” in blocco, ma soltanto nella misura in cui le ipotesi che la fondano e che sono verificabili sperimentalmente possono essere effettivamente considerate come dotate di coerenza interna e di conferme nella realtà dei fenomeni osservati. In senso stretto, quindi, Kelly considera estremamente ardua e difficile da sostenere scientificamente la conferma o la smentita in blocco di una teoria nel suo insieme; la validità è un requisito che si presta piuttosto a conferme o smentite parziali; ciò permette a Kelly, che segue da questo punto di vista una tradizione epistemologica tipicamente anglosassone, di accogliere con flessibilità all’interno della propria prospettiva ampie risonanze di teorie diverse, soprattutto di quelle di stampo “fenomenologico”, senza aprire discussioni polemiche , ma anzi affrontando con pacata misura il confronto con altri paradigmi della psicologia contemporanea. Qualsiasi teoria, afferma Kelly, può ambire soltanto ad una validità provvisoria e parziale, la conoscenza essendo frutto di un lavoro che procede da punti di vista differenti e integrabili, in un percorso che tendenzialmente non si può considerare mai esaurito definitivamente, né esauribile.

Un ulteriore connotato specifico delle teorie psicologiche dev’essere la loro possibilità di generalizzazione. Talvolta si compie l’errore di presumere che una teoria sia qualcosa di simile all’accumulo di determinate prove fattuali, piuttosto che un insieme ordinato di principi congruenti con i fatti osservati e in grado di spiegarli e prevederne il corso. Ciò accade facilmente nella considerazione degli stessi scienziati, poiché spesso i fatti assumono la loro forma specifica solo alla luce di una determinata teoria. Ma la natura essenzialmente astratta di ogni struttura teoretica si perde di vista quando i singoli fatti a cui si riferisce sono semplicemente classificati o definiti in maniera idiografica. L’astrazione generalizzante è una caratteristica essenziale del discorso scientifico. Naturalmente l’astrazione a cui si riferisce Kelly è quella del sapere osservativo-sperimentale, perciò aderente ai fatti e ai fenomeni. Ciò che intende sottolineare Kelly è, tuttavia, che la lunga polemica sulla natura “nomotetica” o “idiografica” delle scienze dell’uomo, avviata con il neokantismo e, in psicologia, continuata almeno fino agli anni Sessanta, non può essere risolta tenendo distinti e contrapposti i due concetti, ma soltanto ammettendo una concezione dell’astrazione e della generalizzazione come riconduzione entro principi generali del quadro dei dati raccolto sul piano fenomenologico.

I concetti teorici così formulati salvano sia il carattere generale del sapere scientifico sia l’identità dei singoli fatti osservati e corrispondono ad un altro requisito della scienza: l’operatività, vale a dire la possibilità di formulare i costrutti scientifici in termini operativi, di sequenze di eventi o di operazioni e interventi sulla realtà effettuale. Ciò rende necessario un ampio sforzo per ridefinire in termini operativi (o “operazionali”) una serie di concetti astratti che possono essere resi oggetto di verifica sperimentale solo in termini di variabili osservabili sul piano, appunto, operativo. Kelly porta alcuni esempi, quali i concetti di “intelligenza” e di “ansia”, che richiedono entrambi di essere analizzati nelle loro componenti per porre l’osservatore in grado di qualificare determinati comportamenti, oggetto di verifica, come “intelligenti” o come “ansiosi”.

Inoltre, una teoria scientifica deve anche essere, quasi paradossalmente, suscettibile di modifiche. Questo requisito discende dalla stessa concezione di fondo, sostanzialmente strumentalistica e pragmatistica, che l’Autore propone per il sapere scientifico. La scienza non è mai certezza assoluta e sovratemporale, ma approssimazione ulteriore e sempre in itinere alla verifica di ipotesi, che genera per se stessa nuove domande e nuove prospettive di verifica. Considerare una teoria come immodificabile non è, quindi, un atteggiamento genuinamente scientifico, proprio perché, sia sul piano, appunto, delle verifiche sia su quello delle ricostruzioni ed interpretazioni teoriche può accadere che si rendano necessarie modifiche parziali o radicali.

Questa affermazione solleva, del resto, una riflessione su ciò che può essere oggetto di verifica scientifica. Kelly è esplicito nell’affermare che la funzione di una teoria scientifica è quella di provvedere le basi per compiere previsioni precise di eventi. In ciò si evidenzia il carattere operazionistico del sapere scientifico che Kelly adotta per il suo lavoro di psicologo, sottolineando come questa affermazione sia effettivamente portatrice di una serie di problemi molto complessi, riguardanti la metodologia della stessa verifica, di cui un caso specifico è il cosiddetto “disegno sperimentale”, ma che si può cogliere in varie forme in qualsiasi “ricerca”, anche nella vita quotidiana. In sostanza, per Kelly è facile cedere alla tentazione di elaborare criteri di verifica che in qualche modo tesi a convalidare le ipotesi formulate, piuttosto che a verificarle in maniera rigorosa; d’altra parte, anche nelle più rigorose delle procedure di verifica esiste un margine di probabilità d’errore che impedisce di considerare certa in modo assoluto qualsiasi conclusione.

     Come si può notare, la concezione di Kelly è particolarmente consapevole dei limiti entro i quali si muove il sapere scientifico , della “provvisorietà” dei risultati conseguiti e, di conseguenza, presenta con equilibrio i risultati della propria ricerca, indicandone in primo luogo la portata e la validità sempre relative.

 

 

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