La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Nicola Siciliani de Cumis, Di professione, professore, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia, 1998.
di Furio Pesci

“E (…) se tutto il ‘positivo’ del mestiere , cominciasse proprio nel preciso momento in cui la proponibilità di qualche competenza disciplinare specifica si lascia tradurre nella genesi di nuove possibili abilità di ricerca, a loro volta riconducibili ad un (im)prevedibile risultato pedagogico ad alto reddito ‘contenutistico’?” (p. 13).

Con questa domanda prende l’avvio il nuovo lavoro di Nicola Siciliani de Cumis, da anni professore ordinario di pedagogia generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. Di professione, professore è, in effetti, il resoconto delle esperienze significative che l’Autore ha fatto come docente, non soltanto nell’Università, ma soprattutto nelle scuole secondarie, nelle quali ha insegnato per molto tempo, con incarichi anche in zone “di provincia”, per esempio in Calabria, sua terra d’origine, alla quale è molto legato per il forte impegno politico e culturale volto alla trasformazione sociale, al superamento dell’arretratezza che ancora caratterizza il tessuto produttivo calabrese, alla lotta contro la “mentalità mafiosa” che opprime tanta parte di questa regione.

Il libro si presenta, inoltre, come una nuova edizione aggiornata ed ampliata con nuovi contributi di un altro fortunato testo di Siciliani de Cumis, Filologia, politica e didattica del buon senso (Torino, Loescher, 1980). In entrambi emerge la concezione di questo Autore al riguardo sia dell’attività didattica, dei modi del suo sviluppo concreto nella vita di classe, sia dell’identità stessa della “professione docente”, risultando proprio per questo di considerevole attualità ed interesse, in un momento in cui la scuola come istituzione e il lavoro degli insegnanti appaiono continuamente rimessi in discussione, criticati dall’opinione pubblica, sottoposti a più o meno velleitari processi di ristrutturazione che implicano impegnative scelte di politica generale.

Nei saggi che compongono il volume si articola una densa discussione di tematiche fondamentali, dalla dispersione scolastica, per esempio, fino all’uso metodologicamente corretto degli strumenti dell’indagine storica in ambito scolastico, passando per il gustoso resoconto di ricerche che hanno portato gli alunni delle sue classi a contatto diretto con grandi voci della cultura italiana contemporanea, come Italo Calvino; Siciliani pone al centro del suo discorso una concezione dell’insegnante basata sulla capacità di utilizzare gli strumenti della ricerca scientifica propri del suo ambito disciplinare in vista e all’interno dei percorsi didattici curricolari. Si tratta certamente di una proposta impegnativa che l’Autore pone in connessione anche con alcune scelte ideologiche: il volume è, infatti, significativamente “dedicato” ad uno dei personaggi centrali del Poema pedagogico di A. Makarenko). Recuperando la sua dimensione di “ricercatore” accanto ai suoi allievi, sembra dire Siciliani, l’insegnante può riuscire a superare le barriere dei ruoli che condizionano negativamente il suo rapporto con gli alunni e che rendono la vita scolastica rigida, burocratica, ingiustamente selettiva e, in fondo, lontana dagli interessi reali degli alunni.

Si tratta, allora, di cogliere anche l’ampiezza dei compiti che si aprono in questa prospettiva, sulla quale il testo di Siciliani getta una luce stimolante; molto, scrive lo stesso Autore, resta da esplorare, ed ancor più da attuare.

Inoltre, se il volume originario e la sua attuale riproposta hanno riscosso importanti consensi da studiosi come Garin, Visalberghi, De Mauro, Lucio Lombardo Radice, appare utile, ad avviso di chi scrive, confrontare questa proposta, che tenta di impostare il discorso sulla figura dell’insegnante all’interno di una prospettiva comunque funzionale e professionale, con la proposta di alcune grandi voci della pedagogia contemporanea (da Capitini a don Milani) che hanno compiuto un analogo percorso, giungendo a conclusioni sul piano “pratico” alquanto affini, introducendo anche un elemento di riflessione di natura etica che li ha spinti ad uscire dalla prospettiva funzionale e professionale, per progettare un modello d’insegnante e di scuola libero e aperto, che nella sua carica utopica, irriverente verso qualunque paludamento tecnicistico e al contempo consapevole dei “fini” e dei “mezzi” dell’insegnamento, appare anch’esso oggi di grande interesse e attualità.

 

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