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Maria Montessori: un itinerario biografico e intellettuale
(1870-1909)
di Paola Trabalzini |
3. Gli studi
Nel
1875 la famiglia Montessori, quando la figlia aveva cinque anni, si trasferì a Roma, dove
il padre era stato inviato per motivi di lavoro. Lanno successivo la futura
dottoressa venne iscritta alla prima classe della scuola elementare di Via di San Nicolò
da Tolentino. Durante gli anni della scuola primaria Montessori iniziò a mostrare un
grande interesse per la matematica e proprio la passione per questa disciplina la indusse,
una volta terminata la scuola elementare, a scegliere quella tecnica. Opzione questa che
pur inserendosi in un fenomeno in via di sviluppo, tanto che fu possibile in taluni casi
costituire classi femminili accanto a quelle maschili, permaneva una scelta alternativa
che con la successiva iscrizione allistituto tecnico e la licenza nella sezione
fisico-matematica, apriva alla giovane Montessori le porte delluniversità[1].
La
scelta della scuola tecnica non incontrò il favore del padre, ma linsistenza di
Montessori, che poteva contare sul sostegno della madre, finirono con il prevalere e nel
1883 la futura dottoressa venne iscritta alla Regia Scuola Tecnica Michelangelo
Buonarroti. Al termine del corso della durata di tre anni Montessori frequentò, dal 1886
al 1890, il regio Istituto Tecnico Leonardo da Vinci. Tra le materie oggetto di studio
oltre a italiano, matematica, storia e geografia, anche disegno, sia geometrico sia
ornato, fisica, chimica, botanica, zoologia, e poi francese e tedesco. I risultati
ottenuti dallalunna Maria Montessori erano particolarmente buoni in fisica,
matematica, chimica, ma anche italiano e geografia, meno per quanto riguardava il tedesco
e il disegno, in particolare quello ornato[2].
Nel
1890 Montessori ottenne la licenza nella sezione fisico-matematica dellistituto
tecnico ed aveva intenzione di proseguire gli studi dedicandosi alla matematica[3]. Cambiò poi
opinione e decise per la frequenza della facoltà di medicina. Il mutamento di opinione
pare essere connesso, come riferisce Maccheroni, ad una intuizione seguita
allincontro con una povera donna che stava seduta su un marciapiede con un bambino
in braccio che aveva a sua volta in mano una strisciolina di carta rossa. «Ricordava bene
-scrive Anna Maria Maccheroni- questo dettaglio, ne parlava descrivendo questa scena nella
via e diceva come in quel momento le venne la decisione di studiare medicina. Mentre
raccontava questi fatti i suoi occhi avevano uno sguardo profondo come se volesse cercare,
scavare tra cose che sono al di là delle parole. E lei stessa domandava:
Perché»[4].
Quella scena di miseria e povertà la commosse, coinvolgendola come durante
linfanzia la sua sensibilità era stata toccata dalle vicende di persone meno
fortunate di lei che aveva cercato di aiutare. Il desiderio che la sua vita potesse essere
utile anche agli altri unito al contributo che il recente sviluppo delle discipline
scientifiche quali igiene, biologia, medicina, psicologia, sembrava offrire per il
miglioramento delle condizioni di vita dellumanità, possono essere stati i motivi
che lindussero a cambiare opinione. Sappiamo infatti che per la studiosa in medicina
prima e per la pedagogista poi, la scienza non doveva limitarsi a individuare i problemi,
ma impegnarsi nel risolverli. Quindi la figura del medico, che nellAntropologia
pedagogica Montessori considera come «sacerdote dellumanità», indicando con
questa definizione lamore e limpegno che lega lo scienziato al suo lavoro,
poteva rappresentare la realizzazione di aspirazioni che con il tempo si andavano
chiarendo.
La
decisione di Montessori provocò nuovamente una divisione allinterno della sua
famiglia anche perché laffermazione di una donna nella professione medica, e non
solo in quella, comportava molte difficoltà[5].
Latteggiamento
critico se non di vera e propria opposizione nei confronti dellistruzione superiore
femminile era di fatto, nella seconda metà dell800, assai diffuso e poche erano le
presenze femminili alluniversità[6]. Riserve morali più che divieti legislativi non favorivano
lingresso delle donne nellambito accademico ed il dibattito politico-culturale
riguardante le modalità e i contenuti dellistruzione femminile divenne, in
particolar modo dopo lunità, intenso, coinvolgendo il ruolo e la funzione che si
riteneva la donna dovesse avere nella società. La legge Casati (1859) non escludeva le
donne dallistruzione superiore, dal ginnasio-liceo e dallistituto tecnico, il
che non era però dovuto ad ampiezza di vedute da parte del legislatore quanto alla
consapevolezza che per il costume vigente le famiglie non avrebbero iscritto le figlie ad
una scuola maschile. Dopo lunità, in seguito alla frequenza universitaria di alcune
donne, le sorelle Daneo a Torino e le sorelle Ballio a Roma, si aprì una discussione che
condusse allintroduzione, nellarticolo 8 del R. D. del 3 ottobre 1875 n. 2728,
relativo al Regolamento generale universitario, della precisazione per cui le donne
potevano essere iscritte nel registro degli studenti e degli uditori.
Nel
dibattito politico-culturale si riflettevano le speranze e le resistenze di una società
in trasformazione che sollecitata da cambiamenti politici, sociali ed economici si apriva
al nuovo, ma al contempo si arroccava su vecchie e datate posizioni. Così
allopinione di quelle forze innovatrici che individuavano nellistruzione
femminile un mezzo per lemancipazione della donna, per la sua formazione culturale e
intellettuale in modo che potesse essere presente nella società con spirito critico e
ideativo, si contrapponeva quella di forze conservatrici e tradizionali che riproponendo
lo stereotipo femminile della donna angelo del focolare, intellettualmente inferiore e
moralmente fragile, dunque bisognosa di protezione, riconducevano il tema della formazione
femminile nei termini di educazione più che di istruzione.
Le
resistenze verso listruzione femminile superiore erano in genere legate da parte
delle famiglie a preoccupazioni di carattere, come si è accennato, morale, che
facevano temere la promiscuità dellaula e lo scherno a cui le ragazze sarebbero
state esposte nella convivenza con i colleghi maschi. Da qui anche la richiesta da parte
delle forze moderate di istituzioni scolastiche e universitarie soltanto femminili in cui
le ragazze potessero acquisire una formazione che tenesse conto delle loro attitudini e
nello stesso tempo consentisse una apertura alla vita sociale.
Le
preoccupazioni morali e i pregiudizi che accompagnarono la discussione e le richieste
intorno allistruzione femminile condussero alla creazione di Istituti Superiori
Femminili di Magistero[7],
che «furono -osserva Dina Bertoni Jovine- nella sostanza, scuole di grado nettamente
inferiore alle università: avevano la durata di quattro anni, ma vi si entrava con la
sola licenza normale, senza obbligo di studi classici, avevano programmi frammentari sia
per le materie letterarie, sia per quelle scientifiche»[8]. Si realizzò così una situazione di
compromesso che, pur con i limiti evidenziati, consentiva alle donne di poter occupare
spazi nellinsegnamento secondario e dunque nella vita sociale.
Considerati
i preconcetti e le difficoltà a cui si aggiungeva, sino al 1883, quella di poter
conseguire la licenza liceale[9], si comprende il difficile cammino che le donne desiderose di frequentare
luniversità dovevano compiere.
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