La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Maria Montessori: un itinerario biografico e intellettuale (1870-1909)
di Paola Trabalzini

7. Scienza e problemi sociali

Nel 1897 Montessori partecipò al Congresso Nazionale di Medicina, svoltosi a Torino, denunciando le responsabilità della società nei confronti della delinquenza minorile. Responsabilità che individuò nella mancanza di cure ed assistenza verso i bambini ritardati e disturbati da lei identificati come potenzialmente a rischio. Per questo sostenne che l’attenzione dovesse essere posta sulla ricerca delle cause della delinquenza al fine di poter svolgere interventi preventivi. Quindi la questione dei bambini frenastenici da psichiatrica, nosografica, diagnostica, per la pedagogista di Chiaravalle andava assumendo anche rilevanza sociale e pedagogica, come mostra il suo intervento al Primo Congresso Pedagogico di Torino, svoltosi dall’8 al 15 settembre del 1898. Montessori intervenne proponendo un ordine del giorno in cui sottolineava come la società non dovesse «trascurare alcun mezzo per redimere ed educare i bambini che, per speciali caratteri degenerativi, non possono trarre profitto dalla scuola comune»[1], e chiedeva che venissero istituite classi aggiunte presso le scuole elementari ove raccogliere i bambini, che pur non essendo totalmente degenerati, disturbavano la classe rallentando la didattica, mentre per i deficienti più gravi suggeriva la creazione di istituti medico-pedagogici, annessi ai manicomi provinciali. L’istituzione di classi speciali e la creazione di istituti medico-pedagogici richiedevano anche un’adeguata formazione dei maestri e dei professori di pedagogia delle scuole normali. Per i primi la Montessori propose l’introduzione di lezioni di diagnostica tra le materie di studio, mentre per i secondi auspicava che lo Stato istituisse un corso speciale universitario.

Queste richieste si fondavano sul presupposto che sarebbe stato possibile educare i degenerati se si fossero considerati metodi pedagogici adeguati ai loro bisogni e soprattutto ambienti idonei in cui praticare i metodi stessi. La proposta di Montessori venne approvata per acclamazione e Fornelli, docente di pedagogia all’Università di Napoli,  suggerì che durante il successivo Congresso Pedagogico da tenersi da lì ad un anno nella città partenopea, uno dei temi da trattare avrebbe dovuto essere quello della pedagogia emendativa[2].

La proposta di Montessori per un’educazione dei bambini frenastenici da svolgersi in luoghi differenti da quelli dei bambini normali nasceva da un’analisi sociale, economica e pedagogica del problema dell’handicap, come emerge dallo scritto dal titolo Miserie sociali e nuovi ritrovati della scienza[3]. I motivi sociali erano connessi al fatto che con il progredire della modernizzazione i frenastenici avevano sempre più difficoltà ad adattarsi al mondo in cui vivevano. Vi era per Montessori anche un’origine sociale, ambientale e storica del disagio mentale, sia nei termini di sollecitazioni a cui i frenastenici per la loro debolezza non riuscivano a rispondere, sia perché le condizioni di vita erano spesso pessime: situazioni igieniche precarie, miseria fisica e morale, tutti elementi che contribuivano «ad imprimere maggiormente le note degenerative»[4]. Si trattava di individui che se pur avevano frequentato la scuola non ne avevano tratto alcun beneficio perché la scuola non era in grado di accoglierli. I maestri non erano preparati ad insegnare a bambini degenerati e utilizzavano con loro i metodi pedagogici tradizionali che, essendo inadatti, finivano con il ridursi unicamente alla punizione, al castigo e dunque all’allontanamento dall’istituzione scolastica che falliva proprio dove il suo intervento sarebbe stato essenziale. Gli imbecilli e gli idioti trovavano allora come ricovero la strada e da qui alla prigione il passo era breve. La società e la scuola li abbandonavano per accorgersi di loro solo quando divenivano una minaccia per il benessere della collettività e un peso economico per la società intera.

Si trattava invece per Montessori di intervenire realizzando un’opera di prevenzione e di cura, di responsabilità, sicurezza e giustizia sociali perché il diritto all’istruzione e alla formazione era di tutti i bambini. «La riforma che s’impone -sottolinea ancora la dottoressa nell’Antropologia pedagogica- è quella della scuola e della pedagogia, che ci conduca a proteggere nel loro sviluppo tutti i bambini, compresi quelli che si dimostrano refrattari all’ambiente della vita sociale»[5]. Classi speciali e istituti medico pedagogici erano gli strumenti per mezzo dei quali Montessori riteneva si potessero proteggere gli handicappati da un’influenza ambientale nociva e ad essa sostituire quella di un ambiente “ricostruito” per recuperare e rieducare[6]. Il deficiente condotto ad acquisire una competenza professionale sarebbe divenuto utile a sé e alla comunità, cosicché quest’ultima ne avrebbe tratto beneficio nei termini di sicurezza sociale e salute pubblica. Come dire che era interesse della società affrontare i problemi dei frenastenici altrimenti non ci sarebbe stato sviluppo sociale, culturale e progresso economico.

La scelta di separare i normali dagli anormali costituiva per Montessori la risposta all’abbandono perpetuato dalla società a lei contemporanea nei confronti dei degenerati. La dottoressa riteneva di essere all’inizio di un percorso, della presa d’atto di un problema che la scienza, intesa come impegno civile, sociale e richiesta di riforme, era chiamata a sollevare ed affrontare. Sensibilizzare le coscienze e continuare sulla strada della ricerca scientifica, questo era il suo progetto. Ed infatti, nel 1902, in Norme per una classificazione dei deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione, Montessori sottolinea che sarebbero stati necessari ancora dieci anni di studio per poter meglio conoscere i «tipi» morbosi ed elaborare metodi più completi[7]. La battaglia per la rieducazione degli handicappati era dunque all’inizio e se nella proposta della loro “separazione” cogliamo tutta la difficoltà della società di allora, ma non solo, considerato che le classi differenziali sono state mantenute sino ai nostri anni ‘70, ad accettare la diversità, quella proposta era il prologo verso una consapevolezza più matura. Presa d’atto di un problema, si è detto, e individuazione di una possibile soluzione, in cui il motivo dell’utilità sociale e quello dell’intervento scientifico si coniugavano in Montessori alla fiducia nei confronti delle possibilità dei bambini frenastenici, alla convinzione della possibilità di reinserimento per i casi meno gravi, che rimanevano comunque sempre da seguire tramite comitati di protezione[8].  

In Miserie sociali e nuovi ritrovati della scienza la studiosa soffermandosi sul suo lavoro afferma che «la base su cui si fonda l’opera meravigliosa di educare gli idioti è questo principio: ricercare ciò che sussiste in loro e utilizzare tutte le risorse, anche minime per guadagnare il più possibile»[9]. Nulla per Montessori era quindi perduto o già stabilito il che sottrae la pedagogista alla concezione determinista dello sviluppo individuale che era invece per lei frutto di cause biologiche, psicologiche e sociali, in cui aspetti fisiologici, motivazionali ed emozionali concorrevano alla riuscita del processo educativo.


[1] G. C. Molineri e G. C Alesio (a cura di), Atti del Primo Congresso Pedagogico Nazionale Italiano, Torino 8-15 settembre 1898, Torino, Stabilimento Tipografico diretto da F. Cadorna, 1899, p. 123.

[2] Ivi, p. 124.

[3] M. Montessori, Miserie sociali e nuovi ritrovati della scienza, in «Vita dell’Infanzia», a. XLIV, n. 4, aprile 1995, pp. 4-9, (pubblicato in «Il Risveglio educativo», a. XV, n. 17, 10 dicembre 1898, pp. 130-132; n. 18, 17 dicembre 1898, pp. 147-148 e poi riportato in E. Catarsi, op. cit., pp. 113-122). L’articolo riprende le proposte fatte nell’ordine del giorno presentato al Congresso Pedagogico di Torino, collocandole in un quadro di riferimento più ampio.

[4] Ivi, p. 7. Nello scritto Norme per una classificazione dei deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione che venne pubblicato alcuni anni più tardi, nel 1902, Montessori ribadisce che il fine educativo è di «impedire che i degenerati, lasciati fin dall’infanzia nell’abbandono per l’incompletezza delle nostre scuole e della nostra pedagogia, crescano in mezzo ai normali, cioè in un ambiente a loro non adatto e favorevole ad aggravare il loro debole stato; sì che non potendo compiere un lavoro utile, entrano necessariamente in quel basso strato sociale ove il vizio, l’ozio e il delitto rappresentano le gioie della vita e i suoi mezzi di sussistenza» (M. Montessori, Norme per una classificazione dei deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione, in Atti del Comitato Ordinatore del II Congresso Pedagogico Italiano 1899-1901, Napoli, Tipografia Angelo Trani, 1902, p. 145).

[5] M. Montessori, Antropologia pedagogica, già cit., p. 13.

[6] Nel 1908 al Congresso Nazionale delle donne italiane Montessori definì inutile la denuncia obbligatoria dei casi di tubercolosi, proposta da alcune relatrici, in quanto avrebbe teso a separare quei malati dalla società senza che fossero stati ancora creati istituti in grado di accoglierli e curarli. «Separare il tubercolotico -sostenne Montessori- non è lo stesso che separare un altro malato infettivo; per questo la separazione è speranza di vita, per quello è una condanna ad un isolamento, quasi direi perpetuo». Ed ancora «la questione della lotta contro la tubercolosi rientra in ogni campo sociale», per cui si doveva iniziare dalla casa e dalla scuola prendendo in «considerazione i più deboli e predisposti, istituendo scuole speciali permanenti, come quelle che esistono per i rachitici» (Consiglio Nazionale delle donne italiane, Atti del I Congresso Nazionale delle donne italiane, Roma 24-30 aprile 1908, Roma, Stabilimento Tipografico della Società Editrice Laziale, 1912, pp. 362-363). La separazione dalla società riteniamo che fosse intesa da Montessori, pur nella diversità di tematiche: nel 1898 i bambini frenastenici, nel 1908 i tubercolotici, come atto con cui la società si protegge, ma anche protegge e cura, se i due aspetti sono separati il malato è solo il reietto e la separazione diviene una condanna.

[7] M. Montessori, Norme per una classificazione dei deficienti in rapporto ai metodi speciali di educazione, già cit., p. 144.

[8] Su Montessori e il problema dell’handicap vedi anche nella rivista «Vita dell’Infanzia» i seguenti numeri monografici: Torino 1898. Un bambino ritrovato. Maria Montessori e la nuova cultura dell’handicap, a. XLVII, n. 6, luglio-agosto, 1998 e Un bambino ritrovato. Maria Montessori e la nuova cultura dell’handicap (Seconda parte), a. XLVIII, n. 6, luglio-agosto 1999.

[9] M. Montessori, Miserie sociali e nuovi ritrovati della scienza, già cit., p. 5. Per la dottoressa l’atteggiamento del medico-psicologo e dello psichiatra nei confronti dei pazienti doveva essere quello di «amare non solo la scienza, ma la creatura; perciò […] si richiede l’opera non solo dello scienziato, ma del filantropo» (M. Montessori, Miserie sociali e nuovi ritrovati della scienza, già cit., p. 6). L’interesse per la disciplina non basta è necessaria la partecipazione umana e civile e Montessori in Il metodo sottolinea, d’accordo con quanto rilevato anche da Séguin, che il primo materiale didattico doveva essere spirituale altrimenti anche il più perfetto stimolo non sarebbe stato in grado di suscitare l’attenzione del fanciullo.

 

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