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Maria Montessori: un itinerario biografico e
intellettuale (1870-1909)
di Paola Trabalzini |
10. Antropologia
criminale e inferiorità biologica della donna
Nel periodo tra la fine del 800 e gli inizi del 900 Montessori seguì
con interesse lo sviluppo e levoluzione delle nuove scienze quali
ligiene, la medicina, la biologia e la psicologia sperimentale. Ella
colse i contributi che quelle scienze potevano offrire alleducazione
dei bambini deficienti prima e a quelli normali poi senza però ritenere
che la pedagogia dovesse risolversi in antropologia o in psicologia[1].
Ad interessare la nostra studiosa era tra laltro lantropologia nel
cui ambito considerava suoi maestri Lombroso[2],
De Giovanni[3]
e Sergi, che applicando gli studi antropologici a differenti discipline,
criminologia, fisiologia e pedagogia, avevano contribuito al
rinnovamento scientifico. Da essi Montessori traeva labito
allinvestigazione scientifica, alla ricerca, alla classificazione e
alla sperimentazione. Pur riconoscendo lindubbio valore degli studi
svolti nelle diverse branche dellantropologia dai suoi maestri, la
studiosa di Chiaravalle andava comunque assumendo, riguardo ad alcuni
temi, posizioni autonome.
In Miserie sociali e nuovi ritrovati della scienza vari sono i riferimenti
allantropologia criminale a cui va il merito di aver compreso «che
la pena non evita né diminuisce il delitto», in quanto, osserva la
Montessori, «il criminale come il folle agisce male perché sente male
e ragiona male; e la sua sensibilità certo non sarà modificata da una
pena»[4].
Se unazione di recupero doveva essere realizzata questa andava
rivolta non allindividuo adulto, ma al bambino. Per la dottoressa,
infatti, i caratteri fisici che lantropologia criminale aveva cercato
di individuare per identificare il reo prima che commettesse il reato si
erano rivelati illusori. La ricerca di essi per la pedagogista
marchigiana doveva svolgersi nei bambini non ancora modificati
dallambiente e per i quali era possibile attuare misure igieniche ed
educative preventive. Ed a questo proposito la dottoressa auspicava che
le madri e le maestre venissero preparate a riconoscere i sintomi fisici
e psichici di una possibile degenerazione, in modo da contribuire al
perfezionamento dellumanità. Se erano presenti preoccupazioni
eugenetiche, lattenzione della pedagogista marchigiana era di fatto
rivolta alla lezione di civiltà, moralità e riforma sociale che traeva
dallindirizzo antropologico e riguardo alla quale nellAntropologia
pedagogica precisa che «noi con lopera educativa vorremmo prevenire
le conseguenze ultime della degenerazione e della morbilità: se
lantropologia criminale ha saputo nella società moderna trasformare
una pena, noi dobbiamo proporci nella scuola futura di trasformare un
individuo»[5].
Un altro ambito in cui Montessori assume una posizione autonoma rispetto a
quella dei suoi maestri è rappresentato dalla discussione
sullinferiorità biologica della donna.
Nella seconda metà dell800 molti studi a carattere antropologico,
biologico, medico erano rivolti alla donna e alla sua natura,
utilizzando concetti e termini mutuati dalla teoria dellevoluzione.
Sergi, ad esempio, sosteneva che linferiorità della donna non fosse
dovuta alla sua condizione sociale, ma fosse biologica, adducendo, tra
laltro, largomento delleredità dei caratteri del genio.
Secondo questo argomento i caratteri geniali delluomo se permangono
nella donna non si sviluppano dato che ella per la sua «condizione
sessuale resta sempre indietro allo sviluppo maschile [...] la donna
quindi può essere madre del genio senza essere geniale». Solo quando
quei caratteri passano nelluomo: «cioè nel maschio, si sviluppano,
perché soltanto il maschio ha lo sviluppo completo di tutte le facoltà
fisiche e mentali»[6].
I caratteri maschili che giungono per eredità alla donna, data sempre
la sua condizione sessuale, «si riducono, simpiccoliscono e possono
ridiventare germi nella forma». Allo stesso modo per cui una figlia che
eredita, osservava Sergi, i caratteri del padre, li presenta però
addolciti. Dunque per lantropologo: «Qualunque sia la condizione
sociale della donna, le relazioni sessuali, che danno leredità,
mescolano i caratteri dei due sessi e distruggono ogni artifizio sociale
o individuale». Sennonché questa «mescolanza» impediva alla donna
sempre e comunque di evolversi al pari delluomo. Linferiorità
biologica che si voleva dimostrare era di fatto premessa e veniva
riproposto il dualismo passività-attività, apatia-creatività,
potenzialità-attualità. Non diverse erano poi le conclusioni di
Lombroso. Egli considerava la donna un uomo non completamente sviluppato
e quindi avente una natura diversa, ossia inferiore rispetto a quello.
Per cui entrambi gli antropologi sostenevano linferiorità della
donna in rapporto alla sua condizione fisica, anche se, osserva Landucci,
per molti scienziati positivisti «altro è il giudizio scientifico,
inappellabile, sulla inferiorità della donna, altro il giudizio
politico e morale sui modi concreti in cui si configura linferiorità
a livello sociale e legislativo»[7].
Ed allora Lombroso era favorevole, come ricorda sempre Landucci,
allingresso delle donne nella scienza e nelle professioni, mentre
Sergi era più cauto e le escludeva dalla carriera di giudice, medico e
chirurgo.
La pedagogista nellAntropologia pedagogica polemizza con Lombroso e con
laffermazione «emessa nel nome della scienza: che la donna è
biologicamente, cioè totalmente inferiore, che il volume del suo
cervello è destinato da natura ad una inferiorità contro la quale
nulla si può»[8].
Queste teorie scientifiche Montessori altro non riteneva che pregiudizi
ai quali contrapponeva studi che invece concludevano per un maggiore
sviluppo cerebrale femminile e che la pedagogista commentava scrivendo
che la donna «un essere che in antropologia avrebbe il cranio di una
razza quasi superiore rimane depresso in una inferiorità sociale
indiscutibile, dalla quale non è facile redimerlo». Il contrapporre
ricerche sulla superiorità cerebrale della donna a ricerche sulla sua
inferiorità poteva comportare il rischio di ricondurre il discorso
sulla condizione della donna ad una prospettiva esclusivamente
biologica, ma Montessori aveva chiaro che il problema fosse sociale e
culturale[9].
Nella conferenza svolta a Milano nel febbraio del 1899 dal titolo La donna
nuova[10],
nellaffrontare il tema dellinferiorità femminile la dottoressa
sosteneva che non è la scienza ad essere contro la donna, ma gli
scienziati maschi e ricordava Lombroso e Sergi, che nel cercare di
dimostrare lassurdità delle posizioni femministe finivano con il
rendersi ridicoli. Il tema della donna nuova e la critica a Sergi
tornano nellarticolo che la pedagogista scrisse sulla sua
partecipazione al Congresso di Londra. La donna nuova era colei che con
il proprio lavoro partecipava al progresso sociale e insieme alluomo
contribuiva al benessere comune. Ella inoltre, come le congressiste
avevano mostrato, aveva un aspetto curato «ben lungi dal rassomigliare
al tipo così poco simpatico che gli uomini, ignoranti del tutto i
principii del femminismo, classificarono col nome di terzo sesso [
]
Donne che vanno contro le stesse leggi di natura coi loro principii
malsani - come dice il Sergi - il quale non si degna di discutere il
femminismo perché lo considera una ubbia e lo prende al più come
argomento adatto ad una conferenza umoristica»[11].
Per Sergi come per molti intellettuali dellepoca il femminismo violava
le leggi naturali, era agente corruttore dei costumi e della famiglia,
mentre le femministe erano considerate donne mascolinizzate e dunque né
donne né uomini. A questo disconoscimento della questione femminile
Montessori rispondeva sottolineando come il lavoro femminile, frutto
dello sviluppo economico e sociale, contribuisse oramai in modo sempre
maggiore al bilancio economico dello Stato[12].
Purtroppo a questo cambiamento non era però corrisposto unadeguata
revisione della legislazione ed un rinnovamento nei costumi. Per cui per
molte donne si presentava una condizione di oppressione e
dincomprensione. Accadeva che la donna operaia, oltre ad essere mal
pagata e portare il salario interamente in famiglia, non fosse protetta
in nessun modo dalle violenze che subiva allinterno della casa. Per
quanto riguardava poi le «medichesse e le avvocatesse trovano nel
pregiudizio sociale o nelle leggi, un impedimento a compiere con
successo la lotta per lesistenza»[13].
I pregiudizi denunciati dalla dottoressa erano quelli di coloro che la
pedagogista, come abbiamo detto, considerava i suoi maestri, i
suoi riferimenti intellettuali, ma pare, da queste pagine, non morali.
Pregiudizi che Montessori aveva respirato, che costituivano un ostacolo
nel «compiere con successo la lotta per lesistenza», per realizzare
quel cammino di scienziata che aveva intrapreso, un ruolo non
contemplato tra quelli ritenuti idonei ad una donna. Allora limpegno
femminista corrispondeva per Montessori allesigenza di definire un
ruolo sociale e professionale, di dare consistenza ad una identità
femminile che attraverso il lavoro stava abbandonando vecchi modelli e
costruendo il proprio futuro. «È finito il tempo -scrive la
dottoressa- in cui la donna era passiva - in cui bastava chella non
facesse il male, in cui ogni sua virtù importava una negazione: sii
ignorante della vita; non ti occupare della cosa pubblica; non lavorare;
non ti prendere responsabilità pei figliuoli; non ti occupare
dellamministrazione dei beni; sii passiva, annichila la tua volontà
a favore del marito; non vivere per altro che per lui, ma senza
occuparti di comprenderlo; pensa solo a non fare il male, e il male
consiste nel non fare ciò che piace al marito. - Dal così opprimente
negativismo la donna si è scossa ed è passata al moto e allazione
Lavora! fa il bene!»[14].
Questo è il monito che Montessori sentiva di poter dare alle donne:
lavorate, siate propositive, abbandonate la cultura che vi vuole inerti
e passive.
Il lavoro per Montessori era mezzo di emancipazione, strumento attraverso
il quale la donna poteva essere presente nella società dando il proprio
contributo. Nelle attività lavorative alle donne non erano però
riconosciuti gli stessi diritti degli uomini. Ecco allora la necessità
da parte di quelle di organizzarsi in gruppi capaci di unirsi in
consigli nazionali e questi, a loro volta, di collegarsi nel consiglio
internazionale. In tal modo si sarebbe creata una rete di solidarietà e
sostegno tra tutte le donne che insieme avrebbero potuto impegnarsi
nellaffermare la propria dignità di persone e lavoratrici. «Noi
dunque -scrive la dottoressa- lavoriamo sole perché gli uomini non ci
comprendono ancora, non ci sentono nella nostra grande missione nuova.
Ma se un uomo percorre con la mente i tempi, e alla genialità
scientifica unisce quella sociale, diviene pure naturale sostegno della
causa femminile»[15].
La nuova sensibilità femminile riguardo al proprio sé e alle modalità
delle relazioni sociali e interpersonali, richiedeva che anche luomo
acquisisse un modo nuovo di guardare ed agire verso la donna. Se il
presente richiedeva separazione, perché quello sguardo era ancora di
pochi, il futuro che Montessori auspicava era un futuro di incontro e
collaborazione sulla base di una comprensione reciproca più salda.
Il discorso che la dottoressa svolge su le pagine di l«Italia
femminile» è limpido, deciso e incisivo, più forte nei toni rispetto
agli interventi ufficiali svolti al Congresso di Londra. Esso è
costruito sul fondamentale rifiuto dellantica passività femminile
che significa impegno a costruire una presenza attiva e partecipata
nella casa, nella famiglia e nel lavoro. Continua evidenziando che il
lavoro femminile costituisce oramai un valore sociale ed economico per
la nazione, per cui il legislatore dovrà impegnarsi andando oltre
quanto era stato fatto, per rimuovere le discriminazioni che ancora
gravavano sul destino delle donne. Riconoscimento dunque di parità di
diritti tra cui, come vedremo più avanti, il diritto al voto. E si
conclude sottolineando come le trasformazioni in atto richiedessero una
nuova sensibilità sociale e culturale, lunione di «genialità
scientifica e genialità sociale». Forse proprio la perdurante
incomprensione, i preconcetti che aveva sperimentato nellambiente
accademico, il timore di dover rivedere i progetti lavorativi legati ad
anni di serio impegno, condussero Montessori ad una scelta certamente
dolorosa come la separazione dal figlio Mario, nato il 31 marzo 1898
dalla relazione con Montesano. I due colleghi decisero di non sposarsi,
facendosi reciproca promessa di non contrarre legami con altre persone,
secondo quanto racconta lo stesso Mario[16].
Alla decisione di non sposarsi dovettero contribuire anche le diffidenze
reciproche delle rispettive famiglie. Luna, quella di Montesano,
probabilmente dubbiosa verso una donna così poco convenzionale;
laltra, quella di Montessori, specialmente nella figura della madre,
contraria ad un legame che avrebbe potuto mettere in discussione il
futuro lavorativo della figlia.
Quali che siano stati i motivi, Montessori decise di non sposarsi e il
bambino, riconosciuto dal padre, venne affidato ad una famiglia che
viveva in campagna. La separazione tra madre e figlio venne ricomposta
solo dopo la morte di Renilde avvenuta nel 1912, quando Mario andò a
vivere con la madre. Una maternità vissuta sino a quel momento
attraverso alcune visite che periodicamente Montessori faceva al figlio,
ma che doveva essere costantemente presente alla studiosa impegnata a
sostenere il contributo nuovo della donna al rinnovamento della società
anche in quanto portatrice consapevole del sentimento materno.
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