La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Maria Montessori: un itinerario biografico e intellettuale (1870-1909)
di Paola Trabalzini

14. Gli incarichi universitari

Oltre alla cattedra di igiene ed antropologia all’Istituto Superiore di Magistero Femminile, Montessori dal 1904, ottenuta la libera docenza in antropologia, insegnò questa materia nella facoltà di medicina della Regia Università di Roma sino al 1906[1].

Il lavoro svolto per l’esame di abilitazione per la libera docenza in antropologia dal titolo I caratteri fisici delle donne del Lazio, desunti dall’osservazione di almeno cento soggetti. Influenza dell’età sui caratteri fisici della donna, venne pubblicato con un titolo ridotto nel 1905[2]. Questo studio antropologico a carattere regionale, il primo riguardante la popolazione femminile del Lazio, svolto su un campione di 200 soggetti viventi tra i 20 e i 30 anni, si inseriva tra le ricerche finalizzate ad approfondire la conoscenza delle caratteristiche di razza degli abitanti della penisola. Dallo studio antropologico e antropometrico emergeva l’esistenza nel Lazio di due tipi femminili appartenenti alla stessa razza: il dolicocefalo e il brachicefalo. Trattandosi però di una ricerca antropometrica e descrittiva non consentiva di ricavare indicazioni sull’origine delle popolazioni medesime, studio che però Montessori riteneva essenziale e successivo.

Questa ricerca conferma l’attitudine della pedagogista marchigiana all’osservazione diretta, alla chiarezza e precisione nella registrazione dei dati e alla loro minuziosa analisi, trovando ampia menzione in un successivo scritto della studiosa dal titolo L’importanza della etnologia ragionale nell’antropologia pedagogica, in cui i dati etnologici particolari ed antropologici generali sono integrati per fornire indicazioni a carattere educativo[3].

«Se la pedagogia -scrive Montessori- deve assumere basi scientifiche nello “studio individuale dello scolaro’’ cioè se tende a prendere il suo fondamento nell’Antropologia, non può prescindere dai dati etnologici»[4]. Lo studio dei caratteri fisici di una popolazione poteva infatti fornire indicazioni utili nel giudicare dell’anormalità o meno di un individuo in quanto «vi sono malformazioni, o meglio forme non perfette esteticamente e che perfino si avvicinano molto a particolarità morfologiche interpretate come stigmate degenerative, che devono senza dubbio interpretarsi invece come caratteri di razza»[5]. Attraverso lo studio dei caratteri etnici regionali inoltre emergevano anche le patologie a cui una specifica popolazione per conformazione fisica e morfologica era più predisposta e ciò assumeva particolare importanza per l’antropologia pedagogica, in quanto «la scuola con i suoi errori igienici, mantenendo i fanciulli entro locali chiusi molte ore del giorno, col petto curvo sul banco»[6] preparava spesso alla tubercolosi ed in coloro che per struttura fisica erano già predisposti a questa malattia, la vita scolastica diveniva particolarmente dannosa[7].

Gli studi di etnologia regionale fornivano quindi ulteriori indicazioni per la realizzazione di un insegnamento individualizzato, mirato sui bisogni e le condizioni del singolo e reale individuo. Lo studio dell’«uomo nella regione» consisteva nello studio dell’uomo in rapporto al suo ambiente di vita geografico, storico, culturale; strumento dunque utile per indagare il modo in cui l’uomo si era adattato all’ambiente naturale trasformandosi e trasformandolo. Invece scrive Montessori: «un maestro che va ad insegnare nel Lazio, conosce l’antica storia romana, e la geografia fisica della regione; ma ignora in modo completo lo stato di civiltà, i costumi e il linguaggio delle popolazioni che ha la missione di educare, cioè di incivilire. Sua guida -continua la studiosa- sono certi libri di testo, a tipo unico, e delle stereotipate nozioni di Pedagogia vacua, tendenti a confezionare psicologicamente un individuo insussistente all’uso della famosa statua di Condillac. Se il maestro è il primo tra i civilizzatori, dove dovrà egli fondare la sua opera e trarne l’efficace indirizzo, se non nella conoscenza delle popolazioni che deve illuminare?»[8]. Conoscenza che doveva riferirsi sia ai caratteri fisici della popolazione, sia «al grado di civiltà, ai costumi, al linguaggio regionale»[9].

Gli studi di etnologia regionale costituivano per Montessori un rinnovato motivo per proporre una serie di riforme nell’indirizzo educativo a cui si doveva accompagnare una formazione del maestro non più astratta e libresca, ma fondata sull’osservazione e gli studi a carattere scientifico.

L’interesse per la formazione dei maestri, costante nella studiosa di Chiaravalle, ritorna anche con l’insegnamento di antropologia pedagogica che le venne affidato nel 1906 dal consiglio direttivo della Scuola Pedagogica di Roma1[10], in seguito al parere favorevole di Sergi. Nel gennaio del 1905 con R. D. n. 29 era stato istituito il “Corso di perfezionamento per i licenziati delle scuole normali”, denominato appunto “scuola pedagogica”. La scuola pedagogica di Roma, istituita presso la facoltà di lettere e filosofia, raccoglieva alcuni tra i più autorevoli professori del tempo e con i quali Montessori aveva già collaborato come De Sanctis e Credaro.

In Il metodo la dottoressa sottolinea il fine pratico a cui tendevano le scuole pedagogiche universitarie fondate dal Credaro, ossia elevare i maestri dal livello inferiore di coltura in cui si trovavano, estendendo «la Pedagogia dai limiti di una semplice materia secondaria della facoltà filosofica, come era stata finora, a una facoltà indipendente, la quale, come quella di Medicina, comprendesse gl’insegnamenti più vari. - E tra questi entrano pure l’Igiene Pedagogica, l’Antropologia Pedagogica e la psicologia sperimentale»[11]. Montessori mantenne l’incarico per l’insegnamento di antropologia pedagogica dall’anno accademico 1906-1907 al 1909-1910[12], condividendo l’iniziativa di Credaro per una formazione più seria e completa della classe magistrale.


[1] Frutto probabilmente del libero insegnamento di antropologia è lo scritto dal titolo Lezioni di antropologia pedagogica, Roma, Sabbadini, 1906. Sempre sul tema dell’antropologia pedagogica Montessori si soffermò nella prolusione al corso del 1906 dal titolo L’antropologia nei suoi rapporti con le scienze mediche, giuridiche e pedagogiche

[2] M. Montessori, Caratteri fisici delle giovani donne del Lazio, estratto dagli «Atti della Società Romana di Antropologia», vol. XII, fasc. 1, Roma, 1905, pp. 3-86.

[3] M. Montessori, L’importanza della etnologia regionale nell’antropologia pedagogica, in Ricerche di Psichiatria e Nevrologia, Antropologia e Filosofia dedicate al prof. Enrico Morselli nel XXV anno del suo insegnamento universitario, Milano, Vallardi, 1907, pp. 603-619.

[4] Ivi, p. 603.

[5] Ivi, p. 606.

[6] Ivi, p. 609.

[7] Montessori in Il metodo ha parole severe nei confronti della scuola improntata al principio di schiavitù ed in cui «i fanciulli sono soffocati nelle espressioni spontanee della loro personalità, come esseri morti; e fissi sul posto rispettivo, sul banco - come farfalle infilate a uno spillo; mentre dispiegano le ali del sapere aridamente acquisito, e che può essere simboleggiato da quelle ali, che hanno il significato di vanità» (M. Montessori, Il metodo, 1909, p. 15).

[8] M. Montessori, L’importanza della etnologia regionale nell’antropologia pedagogica, già cit., p. 618.

[9] Ibidem.

[10] Vedi anche S. Bucci, op. cit., pp. 111-113. Riguardo alle vicende delle scuole pedagogiche vedi: T. Tomasi, L. Bellatalla, La “Scuola Pedagogica”,  in «Scuola e Città», a. XXXVII, n. 1, 31 gennaio 1986, pp. 9-20 e F. Pesci, Scuole di Magistero, istituti superiori femminili di magistero e “scuole pedagogiche’’ dal 1869 al 1922, in «Scuola e Città», a. XXXIX, 31 dicembre 1988, pp. 525-527.

[11] M. Montessori, Il metodo, 1909, pp. 7-8.

[12] V. Vram, L’insegnamento dell’antropologia pedagogica nella R. Università di Roma, in «Rivista Pedagogica», a. XIII, fasc. 1-2, gennaio-febbraio 1920, pp. 91-94.

 

 

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