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L'antropologo Giuseppe Sergi e il suo giudizio sulla Montessori
di Giacomo Cives |
1. Sergi maestro della Montessori e visitatore delle sue scuole
"Ora si presenta nel campo educativo della scuola infantile un
nuovo metodo che (...) poggia i suoi cardini sulla libertà del piccolo alunno. Mi
proverò a descrivere la scuola che ho veduto funzionare, accompagnato dalla inventrice
stessa, la Dr. Maria Montessori".
Com'è allora, come funziona questa scuola?
"I bambini, maschi e femmine, non sono seduti in fila come in
tutte le scuole infantili ed elementari, ma qua e là su banchi collocati in varie
direzioni, specialmente verso le pareti per lasciare la sala un poco libera. Ogni bambino
giuoca con quel gioco", cioè materiale di sviluppo, "che preferisce, e piglia
gli oggetti in un armadio che ne contiene vari e differenti. Se si stanca di un gioco ne
piglia un altro e se per un momento, non vuol giocare, passeggia e va sedere in disparte,
o parla con compagni, v'è un momento che la maestra, la quale non ha altro ufficio che di
sorvegliare e di dare spiegazioni di un giuoco, di chiedere risultati di esso, quando è
compiuto, raccoglie a suon di musica i bambini per farli cammminare, o saltare, o cantare.
Ebbene anche in questo nessuna costrizione ho veduto, ché alcuni sedevano, mentre la
maggior parte cantava o saltava, ritmicamente, altri continuavano a giuocare" (Sergi,
1914, pp.6-7).
Così si apre un giudizio quanto mai favorevole sul metodo delle Case
dei Bambini. Questo ha al suo attivo il merito di essere sostenuto dal confronto veduto, a
tutto suo vantaggio, con due punti di riferimento forti, il metodo della scuola di
Tolstoj, che si ispirava a, e voleva mettere in atto, "il concetto della
libertà", ma il cui radicalismo anarchico non mediato, secondo Sergi, doveva
risolversi in esiti caotici e dissolti, e quello del giardino di infanzia di Froebel, che
da tempo costituiva una vera e propria "testa di turco" per l'autore di quelle
note, che lo considerava (con un giudizio per la verità tutt'altro che convincente)
"come un meccanismo assoluto che distrugge ogni iniziativa di mente e di
movimento"(p. 6). Ma l'altro aspetto di rilievo è che il suo autore è uno dei più
autorevoli positivisti del momento, esponente di spicco della cosiddetta "scuola
antropologica romana", personaggio importante delle scienze umane di quel tempo, nel
campo italiano e internazionale. Vale a dire appunto Giuseppe Sergi (Messina 1841, Roma
1936).
Con questo apprezzamento positivo viene colmata, almeno in parte, nel
quadro come sappiamo del variegato, ma fondamentalmente svalutativo panorama delle analisi
critiche più o meno approfondite degli studiosi italiani dell'epoca della Montessori, una
tessera che sembrava mancante: proprio quella (finalmente) dei maestri del positivismo da
cui veniva e con cui si era formata. Ed è giusto che per la comunanza dell'impostazione,
almeno nel punto di partenza, emerga continuità e sintonia, anche ad attestare
l'operatività feconda di una scuola comune.
Sergi dalla straordinaria produttività scientifica (fu operoso fino
negli ultimi anni), dalla molteplicità degli interessi (molto giovane aveva imparato da
sé il greco e il sanscrito e si era subito occupato di filologia comparata ed era poi
passato alla filosofia che insegnò per incarico universitario a Milano), lasciò un forte
segno nella psicologia e soprattutto nell'antropologia, nel periodo in cui venivano
affermandosi lo sperimentalismo e l'evoluzionismo. Fin dal 1873 scrisse un'opera di
psicologia filosofica e nel 1879 Gli elementi di Psicologia, presto tradotti in
francese nella biblioteca di filosofia contemporanea di Alcan.
Chiamato dal ministro De Sanctis a insegnare antropologia
all'Università di Bologna, vi diviene professore di ruolo nel 1883, trasferendosi poi
all'Università di Roma l'anno seguente nella Facoltà di Scienze. Qui fonda nel 1889 un
laboratorio di psicologia sperimentale annesso all'istituto di antropologia. Dà vita
inoltre alla "Sapienza" di Roma a un importante museo di antropologia e alla
Società Romana di Antropologia, i cui atti si trasformano presto in "Rivista di
Antropologia". Dotato di spirito polemico e pugnace, in cui non si era spenta la
vivacità dell'antica camicia rossa che aveva combattuto a Milazzo, Sergi ha lasciato
importanti tracce anche in altri campi scientifici, come l'etnologia e la biologia, e come
vedremo la pedagogia, ed è sceso in campo con impeto nei dibattiti e nelle battaglie
civili di interesse generale.
L'editoriale del fascicolo di "Rivista dell'Antropologia" che
aveva celebrato la memoria di Sergi nel 1937 con un apposita adunanza ad un anno dalla
morte, così aveva commentato, non senza enfasi, la sua figura (Direzione ecc., 1935-1937,
p. IX): "Era l'unico superstite di una gloriosa schiera di contemporanei che avevano
dato un'impronta particolare al pensiero scientifico di oltre mezzo secolo combattendo
battaglie memorabili, rinnovando metodi e dottrine e ancora fino al più tardo tramonto
della vita aveva conservato la fede in quegli ideali ai quali si era ispirato in ogni sua
opera".
In quella riunione l'avevano ricordato con calore autorevoli
specialisti come Giuseppe Tucci, Gian Alberto Blanc, Raffaele Pettazzoni, Alfredo
Niceforo. Giuseppe Montesano, (Montesano, 1935-37), direttore di quella scuola ortofrenica
di Roma in cui aveva lavorato com è noto con la Montessori rimastavi sino al 1901
in una comune esperienza di costruzione di una linea di pedagogia e di metodo speciali,
allora ricordava come Sergi avesse inteso la psicologia fisiologica come psicologia
biologica, e come avesse influenzato lo sviluppo della psicopatologia e della ortofrenia.
Ricordava anche come Sergi, non troppo convinto in partenza dei corsi ortofrenici per gli
insegnanti, seguendone gli esami e le attività si fosse poi con onestà ricreduto
collaborando costruttivamente a definire direttive e programmi delle scuole relative.
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