La Mediazione PedagogicaLiber Liber

L'antropologo Giuseppe Sergi e il suo giudizio sulla Montessori
di Giacomo Cives

5. Da Gabelli a Dewey

Con queste premesse ben si comprende come Sergi sia polemico verso l'articolo di Aristide Gabelli a favore di Froebel Il metodo e gli asili Froebel apparso su "Il Risveglio educativo" del 21-28 dicembre 1890, e aggiungiamo poi ricompreso nel 1891 nel suo L'educazione in Italia (Gabelli, 1903). Il metodo Froebel, ha osservato Gabelli, asseconda con intelligenza la tendenza a fare e a giocare del bambino, promuovendo sviluppo fisico e intellettuale con la maestra che potenzia, senza invadenza e forzature, curiosità, osservazione, libertà. Così Gabelli si lamenta del fatto che "perdura sempre molto vivace in Italia l'opposizione agli asili e al metodo Froebel" (p. 465), causa il permanere della nostra antica tradizione autoritaria.

Vale a dire Gabelli ha sostenuto l'esatto contrario di quello che tra l'altro ha affermato Sergi: Gabelli ha detto che i Giardini di infanzia promuoverebbero troppa "indipendenza di spirito"? Vuol dire che non li conosce bene. Ma Gabelli nel suo scritto fa ricorso all'esperienza diretta della visita ai Giardini e al Seminario a Dresda della baronessa Mahrenholtz, "dove il metodo Froebel è applicato con esattezza, ma senza esagerazioni" (p. 471) e di quella delle scuole froebeliane a Napoli delle signore Salis, Schwabe e Petermann e delle brave loro continuatrici come la signora De Rosa. Là, nota Gabelli (p. 472), si potrebbe vedere "di quanta vivacità e grazia e naturalezza e brio, di quanta, in poche parole educazione disinvolta, semplice, delicata, fine e, sia lecito dire, antipedantesca (...), sia fonte il metodo Froebel penetrato profondamente in una testa chiara e in un'anima gentile".

Ancora una volta si può notare come il giudizio sostanziale, di fondo, antischematico di Gabelli venga a coincidere con quello così affine di John Dewey del fondamentale capitolo sul tema di Scuola e società del 1897 (un libro di grande e meritata fortuna, ma minore comunque in quegli anni, il secondo decennio del Novecento, di quella de Il metodo della Montessori, presto tradotto in molte lingue, giapponese inclusa) (cfr. Babini, 1995, p.171). Senza indulgere al froebelismo acritico e schematizzato, considerando l'ambito storico della sua proposta, Dewey ne ha colto analogamente la portata innovativa e emancipatrice oltre che educativo-politica (cfr. Dewey, 1949, pp. 88-102).

E' singolare e fa riflettere da questo incontro tra due personaggi oltre tutto di ben diverso rilievo, con analoghi sbocchi elastici e antiformalistici, liberi entrambi da apriorismi, rigori schematici e pregiudizi, ispirati liberamente al metodo critico e tollerante dell'esperienza, l'uno, l'italiano, di formazione illuminista e positivistico-metodologica (secondo il grande modello da lui più o meno reso evidente ma sempre sotteso di Cattaneo), l'altro, l'americano, dalla duttile ispirazione come si è già ricordato funzionalista, pragmatista e di un libero naturalismo di derivazione darwiniana vitale e di sostanza e per nulla scolastico e saccente.

Si comprende allora come l'intera vita della Montessori sia stata una significativa sfida, di fronte al suo ambivalente ambiente di provenienza, ricco di impegno sociale per il progresso, di ammirazione per una scienza non osannata a parole ma effettivamente praticata, di volontà di superare gerarchie, dicotomie, autoritarismi atavici e insieme fitto come abbiamo già visto di tentazioni classificatorie, irrigidimenti polemici e scivolature verso posizioni statiche e artificiose. Il problema era e fu da un lato di attingere (facendone tesoro e sviluppandoli) motivi positivi, espressi per di più da una sede delle più alte, sul piano della pratica della ricerca, dell'impegno a favore degli emarginati, esclusi, analfabeti, ritardati, handicappati (e la Montessori aggiungeva: delle donne e dei bambini, fin lì i grandi esclusi) del positivismo italiano a cavallo tra Ottocento e Novecento, vale a dire quello della cosiddetta, in senso lato, "scuola antropologica romana" dei Sergi, De Sanctis, Bonfigli, Montesano, dall'altro di aprire gli stimoli del positivismo "sistematico" di fine secolo a una visione più libera e ricca e tutto sommato meno provinciale.

 

 


 

 

 

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