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L'antropologo Giuseppe Sergi e il suo giudizio sulla Montessori
di Giacomo Cives |
7. Sergi e l'educazione
Come abbiam cominciato a vedere con Educazione ed istruzione,
nella vasta produzione di Sergi figurano dunque accanto a opere di varia e spesso estesa
mole legate ai suoi interessi scientifici specifici, anche numerosi interventi su
questioni politiche e sociali-educative del suo tempo. Un buon numero di questi scritti,
alcuni dei quali già apparsi su riviste o presentati in occasione di convegni, è
contenuto in una voluminosa raccolta dal titolo Fatti e pensieri di cultura e politica
sociale (Sergi, 1906), nella quale sono presenti interventi che consentono di cogliere
ulteriormente interessi di Sergi verso i problemi dell'educazione e della scuola in
Italia.
In questi testi emergono almeno oltre tre tematiche centrali e
ricorrenti nel pensiero di Sergi:
a) l'affermazione della libertà di pensiero come fondamento essenziale
di una società evoluta, con un'aspra polemica nei confronti della Chiesa cattolica;
b) la pressante sollecitazione di un fattivo intervento dello Stato
nella lotta contro l'analfabetismo, giudicato uno dei mali sociali più gravi dell'Italia
del tempo;
c) l'importanza attribuita ad una serie organica di riforme sociali che
consentisse, con l'attuazione della giustizia, anche di smorzare l'avanzata dei moti
rivoluzionari; tra queste riforme Sergi comprendeva anche lo sviluppo del sistema
scolastico e in particolare della scuola elementare.
Sul piano politico, Sergi si considerò sempre un indipendente, con
simpatie evidenti verso le organizzazioni democratiche e progressiste (sono documentate
anche sue collaborazioni con organismi culturali di matrice socialista: Rossi, 1991);
tuttavia si può notare nelle sue argomentazioni anche la preoccupazione tipica della
borghesia del tempo nei riguardi del crescere di tendenze eversive e rivoluzionarie in
larghe fasce della popolazione. Lo sviluppo dell'istruzione è visto, allora, da Sergi
come uno dei possibili antidoti, attraverso un'opera capillare di formazione aperta delle
coscienze al dovere, a una civile convivenza, al rispetto per i "consociati" e
alla simpatia per gli altri senza esclusione (cfr. Sergi, 1906, p.91).
Il miglioramento del sistema scolastico, comunque, era concepito da
Sergi anche in funzione di una crescita culturale dell'intera nazione, capace di arrestare
quella che l'autore definì più volte come "decadenza delle nazioni latine". E'
presente anche in Sergi, come in altri esponenti della cultura laica del tempo, l'idea che
il ritardo in Italia, come quello delle altre nazioni legate alla cultura cattolica,
rispetto ai Paesi più avanzati dell'Europa settentrionale, fosse dovuto in gran parte
all'egemonia della Chiesa su tutti gli aspetti della vita sociale, economica e culturale
del nostro Paese. Contro questo dominio secolare Sergi invocava il risorgere del
"libero pensiero", di una tradizione illustre e radicata nella stessa cultura
italiana (Bruno, Galilei), della quale lo spirito positivo era l'espressione più
compiuta. Di qui derivava l'esigenza di un impegno degli uomini di cultura e degli
scienziati in particolare verso le problematiche connesse alle necessarie riforme sociali.
Il riorientamento della cultura italiana in senso laico sarebbe,
tuttavia, rimasto senza frutto, se non si fosse accompagnato ad un'efficace lotta contro
l'analfabetismo, per il miglioramento consistente della cultura diffusa tra le masse. Su
questo tema si può rilevare la sincera sensibilità di Sergi verso le condizioni di
miseria e di abbandono in cui versava gran parte della popolazione italiana sul finire del
secolo; le soluzioni prospettate sembrano affini a quelle della borghesia illuminata,
anche se non prive di alcune contraddizioni legate sostanzialmente alla fiducia che Sergi
riponeva (del resto non molto diversamente dal "mito del buongoverno" allora
dominante nella stessa parte più sensibile della borghesia) nella possibilità di
pilotare dall'alto, attraverso -oltre che all'opera educativa - il buon esempio delle
classi dirigenti ed un'accorta amministrazione della cosa pubblica, gli auspicati processi
di rinnovamento della società.
In Sergi è molto forte il senso dello Stato, ma lo Stato a cui si
riferisce è spesso quello dell'armonia sociale, dell'ordine e, appunto, dell'autorità,
anche se fatti valere in nome del progresso, dell'amore della pace in una ribadita chiave
antimilitarista, e la stessa sollecitazione dell'intervento statale nella lotta contro
l'analfabetismo appare parzialmente improntata a questo carattere; si deve sottolineare,
peraltro, come Sergi sollecitasse l'impegno dello Stato nella costruzione di nuove scuole
e nella formazione di insegnanti validi e in numero sufficiente alle esigenze drammatiche
del momento, non dimenticando l'urgenza di un miglioramento delle condizioni economiche
dei docenti e la richiesta di drastici provvedimenti per l'effettivo rispetto della già
vigente normativa sull'obbligo.
Sembrano presenti in questo studioso, in sostanza, la fede negli ideali
di progresso, di sviluppo della conoscenza scientifica e del miglioramento sociale che
deriverebbe dall'applicazione sistematica della scienza alla soluzione, appunto, dei
problemi sociali, accanto alla sfiducia nelle possibilità delle masse popolari di farsi
protagoniste del processo di rinnovamento auspicato. I forti ideali di libertà, di
laicità, di uguaglianza sociale, pur sinceramente sentiti da Sergi, sembrano
realizzabili, almeno in quella fase storica, solo grazie all'azione di un'élite di
tecnocrati, secondo una linea di pensiero del resto ampiamente diffusa in ambito
positivistico.
Per Sergi l'opzione scientifica ha dunque valenze educative,
emancipative e d'impegno sociale. Così lo scienziato appare in fondo costituire per lui
la vera élite (cioè in qualche modo l'élite delle élites) che
temporaneamente si cala nella vita sociale ma ben presto torna al suo laboratorio con un
atteggiamento, una funzione fondamentalmente critica, partecipe e insieme razionalmente
distaccata. Così "sente il rumore delle lotte fra diverse parti in cui si divide il
campo sociale, e non appartiene a nessuna di esse; è indipendente dai partiti politici,
non è fra i framassoni, non è fra i socialisti, né fra i repubblicani e i monarchici;
ha un sentimento a sé, un concetto a sé, una personalità sua propria, dicasi pure
ribelle e sovversiva, ma assolutamente indipendente" (Sergi, 1906, p. XV). V'è una
nota utopica e illuministica in questa visione del ruolo dello scienziato, sia pure in
positivo dialetticamente legato alla realtà sociale, ma con un forte accento
contestativo.
La scienza non può dunque sottrarsi al legame con la realtà sociale,
per contribuire a svilupparla. Ma con una sua distintiva autonomia, restando se stessa,
cioè appunto scienza, ricerca. In tal modo scrive Sergi (pp. XIV-XV) "la scienza è
per la vita e per l'umanità, e a nome della scienza noi lottiamo per la vita e per
l'umanità; e non soltanto per l'emancipazione intellettuale e morale, ma ancora per
l'emancipazione da ogni schiavitù, sia la politica, sia l'economica. L'uomo di scienza ha
l'obbligo assoluto, perché egli è un elemento della convivenza, di portare i dati
scientifici in contatto con le condizioni della vita umana, e in certe condizioni egli
deve essere anche la guida verso il movimento pratico nell'umanità; sottrarsi a questo
dovere", continua Sergi, "è egoismo, appartarsi dal movimento sociale che ora
è multiforme, è danno per lui e per la società stessa. Ma l'uomo di scienza deve essere
sereno, convinto, deve sottrarsi", come già vedevamo, "a dipendenze settarie,
dev'essere indipendente e fuori da associazioni particolari che gli menomano la libertà
di pensare e di agire, e come di chi guardi dall'alto".
Come si vede la visione dell'uomo di scienza per Sergi è dunque sì
aristocratica, ma non solipsistica, e risulta insieme fortemente sensibile ai problemi
della società.
Sergi aggiunge: "questo piccolo libro", cioè Fatti e
pensieri di coltura e politica sociale, "è un esempio di come l'uomo di scienza
si mescoli nelle questioni ardenti della vita moderna"(p. XV). Salvo che il libro
tanto piccolo non è, se è formato da oltre 500 pagine. Segno che l'interesse civile
dell'antropologo, dello scienziato Giuseppe Sergi non è poi del tutto marginale e
secondario, ma ha corpose radici, e contraddistingue in senso marcato questa
rappresentativa personalità di scienziato positivista.
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