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Antonio Gramsci, il tema degli intellettuali-educatori e gli
strumenti del consenso educativo.
di Elisabetta Colla |
2. Il problema dell'egemonia nella sua valenza politica e pedagogica: il
legame con la questione degli intellettuali
Nell'affrontare
l' indagine sulla complessa e sfaccettata relazione esistente, in Gramsci, fra il problema
degli intellettuali e l'intera tematica educativa, nella ricchezza anche semantica che
quest'ultima acquista nel nostro autore, sembra utile prendere le mosse da un tema
"chiave" del discorso sia politico sia pedagogico di Gramsci, quello
dell'egemonia.
L'intera
concezione dell'egemonia gramsciana risulta infatti stimolante in ambito
pedagogico-educativo; in essa Gramsci, com'è noto, esprime la tensione, da lui fortemente
avvertita, verso una non più prorogabile riforma intellettuale e morale. Tale riforma
dovrà necessariamente realizzarsi, in seno alla società civile, per dare concretezza a
quell'auspicato progresso etico che è, per Gramsci, la premessa indispensabile di ogni
futuro progresso economico, oltre che di una più equanime distribuzione dello stesso. E'
questa preparazione, questo lavorio - che spetta agli intellettuali proporre e coordinare
interagendo con l'uomo singolo e con quello sociale - il vero germe di ogni cambiamento ed
apertura ad ogni reale possibilità a venire.
Il
termine "egemonia", dialetticamente assai composito in Gramsci, fa la sua prima
apparizione in due scritti per così dire intermedi della produzione gramsciana,
appartenenti cioè al momento transitorio fra la riflessione più propriamente giovanile
dell'autore e le sue opere più mature: tali scritti sono "Le Tesi di Lione"1 e "Alcuni temi della questione
meridionale"2. In quest'ultima opera Gramsci parla di
"egemonia del proletariato", cioè dell'eventualità che il proletariato divenga
un giorno classe dirigente, qualora esso riesca da un lato a creare un sistema di alleanze
di classi contro il capitalismo, dall'altro a disgregare il blocco agrario meridionale
esistente, di tipo regressivo, creando fra gli intellettuali una "frattura di
carattere organico".
Attraverso
il contatto diretto di Gramsci (inviato nel 1922 in Russia come rappresentante del Partito
Comunista d'Italia al comitato esecutivo della Terza Internazionale) con la realizzazione
storico-concreta della filosofia della praxis -
una realizzazione in parte diversa dall'idea marxiana originale - egli, anche maturando le
proprie idee sui Consigli di fabbrica, prende coscienza, a poco a poco, del preciso
significato politico e sociale che assumerà nel suo pensiero il termine
"egemonia"3.
Dunque,
le ipotesi sui livelli d'ispirazione relativi alla concezione dell'egemonia in Gramsci
sono diverse: in primo luogo, ed in diversa misura, un primo sostrato filosofico,
lessicale e, per certa parte, concettuale del termine è rappresentato dal pensiero di
Hegel4 e Marx5; in secondo luogo l'esperienza del
Prolet'kult russo (fondato poche settimane prima della rivoluzione d'ottobre), il quale
appare essere una fonte d'ispirazione primaria per Gramsci, soprattutto nel senso in cui
tale esperienza mirava alla organizzazione ed autoeducazione intellettuale e morale della
classe operaia, con l'aiuto ed il sostegno degli intellettuali aderenti alla causa del
socialismo6. Personaggi di spicco
come Lunacarskj e, soprattutto, Bogdanov, influenzarono Antonio Gramsci nel progetto di
educazione delle coscienze, di rivoluzione culturale e nelle questioni di
"organizzazione". In particolare, infatti, questi due pensatori (soprattutto il
secondo) credevano nel ruolo fondamentale che un'opera capillare di organizzazione
culturale, avrebbe svolto in seno al proletariato ed il cui scopo principale fosse di
educare la coscienza rivoluzionaria e socialista delle masse attraverso una fitta rete di
organismi: dai cosiddetti "centri di agitazione", ai giornali popolari, dalle
biblioteche alle scuole di partito7.
Ritroviamo
in Gramsci alcuni degli elementi portanti delle concezioni culturali
"antiautoritarie" (così definite da quegli intellettuali del Prolet'Kult che
non aderivano al marxismo ortodosso-leninista), prima fra tutte l'idea di far nascere
intellettuali dal seno stesso di una classe sociale (nello specifico il proletariato) ed a
"servizio" di quella; in secondo luogo il fatto che la cultura dovesse avere fra
i suoi scopi principali la riorganizzazione dei rapporti produttivi (tecnici ed economici)
e, soprattutto, l'idea che la rivoluzione culturale dovesse avvenire prima della
rivoluzione politico-economica, partendo dalla convinzione che senza l'egemonia culturale
non si sarebbe realizzata quella politica.
Secondo
alcuni studiosi il termine egemonia nei Quaderni e nelle Lettere va modificando il proprio
significato da quello di "direzione politica", adottato negli scritti del '26, a
quello di "direzione culturale", e che proprio in ciò risiederebbe
l'originalità del pensiero gramsciano8;
secondo altri invece l'idea di "direzione culturale" era già presente in Lenin9 o, secondo una terza ipotesi, Gramsci
mutuerebbe tale idea dal leninismo riutilizzandola in senso originale10.
Nel
Quaderno 4, stimato cronologicamente intorno agli anni 1930-32, Gramsci scrive le prime
note organiche sugli intellettuali, e proprio qui preciserà la posizione
dell'intellettuale nuovo, legata all'organizzazione ed al mantenimento della egemonia del
gruppo sociale dominante sul complesso della società, compito che essi realizzano
attraverso la mediazione operata dalla società civile, con le sue organizzazioni11. Nel Quaderno 12, il più ampio ed
esauriente rispetto al tema degli intellettuali, datato intorno al 1932, gli intellettuali
mantengono le funzioni organizzative e connettive già attribuite loro, ma vengono
chiamati anche "commessi" del gruppo dominante, atti ad "esercitare le
funzioni subalterne dell'egemonia sociale e del governo politico"12. Vediamo quindi prendere forma molte
questioni assai vicine fra loro: il collegamento diretto fra egemonia e riforma
intellettuale e morale; una nuova immagine degli intellettuali; il rapporto di questi con
i gruppi dirigenti e con l'apparato produttivo; le funzioni tipiche degli intellettuali
stessi realizzate attraverso la società civile, con i suoi organismi operanti il
consenso.
Per
entrare nel vivo della questione che qui più c'interessa, quella cioè del rapporto tra
egemonia ed intellettuali e, di conseguenza, del legame fra egemonia e pedagogia, è
necessario evidenziare come tali nessi si vadano sempre più chiaramente delineando, nel
pensiero gramsciano, negli anni successivi al 1929. Sappiamo, infatti, come Gramsci giunga
a definire, nei Quaderni del carcere successivi al '2913, l'uso del termine egemonia e ad
individuare la funzione di direzione politica come imprescindibile da quella di direzione
culturale, in mancanza della quale, infatti, verrebbero a mancare completamente i
presupposti per una società non basata sulla sola forza di coercizione.
Il
problema dell'egemonia si connette dunque a quello degli intellettuali, della scuola e
degli strumenti di consenso in genere: lo aveva già attestato assai bene il Garin,
affermando esser chiara "la funzione egemonica che spetta agli intellettuali nella
realizzazione dell'egemonia", fino all'indispensabile passaggio successivo, la
necessità, cioè, di una "trasfigurazione del concetto di intellettuale, del
"nuovo" intellettuale"; per concludere che "l'elaborazione della
'concezione del mondo'
si realizzerà come 'lotta culturale' per trasformare la
'mentalità popolare' "14.
Nel
Quaderno 10, Gramsci, parlando dell'importanza che il linguaggio riveste in ogni società,
poiché grazie ad esso ed al suo trasformarsi in cultura e filosofia è possibile
realizzare l' "uomo collettivo con fini comuni, ed uno stesso clima di "unità
culturale e sociale", avvicina tale problema a quello della pratica pedagogica
moderna, ove tra maestro e scolaro deve nascere un rapporto attivo fatto di educazione
reciproca. "Il rapporto pedagogico non può essere limitato ai rapporti
specificamente 'scolastici'
questo rapporto esiste in tutta la società nel suo
complesso e per ogni individuo rispetto ad altri individui, tra ceti intellettuali e non
intellettuali, tra governanti e governati, tra élites e seguaci, tra dirigenti e diretti,
tra avanguardie e corpi di esercito. Ogni rapporto di egemonia è un rapporto pedagogico e
si verifica non solo nell'interno di una nazione tra le diverse forze che la compongono,
ma nell'intero campo internazionale e mondiale".15
Dunque
ogni relazione egemonica, nei vari modi e forme in cui si presenta e si attua fra più
individui e popoli, viene considerata con sicurezza, da Gramsci, una relazione pedagogica,
ovvero un rapporto attivo e vitale in grado di contemperare la disciplina con la
collaborazione. Perciò ogni rapporto pedagogico tende
ad ampliarsi fino a comprendere, oltre
a quelli scolastici, diversi altri tipi di rapporti sociali.
La
critica si è a lungo interessata di interpretare gli aspetti pedagogici del pensiero
gramsciano, attraverso un'analisi dei testi orientata, di volta in volta, ad evidenziare i
molteplici aspetti della complessa questione. Già un autore come Dario Ragazzini16, ritenendo che le finalità di ogni
possibile scelta educativa fossero, in Gramsci, da ricercarsi (sia pure mai in maniera
meccanica) nell'analisi e trasformazione delle condizioni reali legate alle problematiche
del lavoro, poneva l'accento su un fattore oggi più che mai di pubblico interesse.
D'altra
parte, un altro studioso, Giovanni Urbani17
ha ricordato come l'intellettuale, che per Gramsci s'identificherebbe con il
dirigente, abbia essenzialmente un compito di formazione dell'individuo (singolo e
collettivo) da realizzarsi attraverso una vera e propria "politica pedagogica",
sostenuta e da sostenersi, nella società civile, a cura di specifici "organismi
pedagogici".
Una
tesi sostenuta da Angelo Broccoli è quella in base alla quale Gramsci non avrebbe mai
studiato la tematica educativa per sé stessa, ma soltanto come un aspetto dell'egemonia
(e della politica) ed in funzione di essa, come dimostrerebbe il brano gramsciano del
Quaderno 10, sopra riportato. Ora, se è vero che per esaminare la questione pedagogica e
quella scolastica non si può prescindere in Gramsci dalle circostanze storico-politiche
del suo tempo, ci sembra altrettanto opportuno ritenere che egli si sia occupato di
tematiche pedagogiche anche per un preciso interesse verso di esse; del resto egli stesso
mostrava apertamente il desiderio di svolgere delle ricerche "für ewig", e ciò
pur sentendo il peso storico-sociale e le possibilità di applicazione pratica dei suoi
studi. Dunque, il termine egemonia comprende non solum sed etiam il problema
della scuola, e, a tale proposito, riportiamo ancora una citazione del Bobbio:
"L'egemonia abbraccia come enti portatori non solo il partito, ma tutte le altre
istituzioni della società civile che hanno qualche nesso con l'elaborazione e la
diffusione della cultura"18.
Ancora
nel Quaderno 14, datato 1932-35, parlando di "cultura italiana", Gramsci ritiene
opportuno stilare un elenco di "istituzioni ritenute utili per l'istruzione e la
cultura", che egli vorrebbe divenissero dei servizi statali e che vede, al contrario,
abbandonate e trascurate in Italia. La prima fra tali istituzioni è la scuola, nei suoi
vari gradi e, viene da aggiungere, nelle sue varie forme (si pensi ad esempio alle
organizzazioni culturali e morali o alle scuole di partito); ad essa seguono i teatri, le
biblioteche, i musei. Questi "servizi intellettuali" sono considerati da Gramsci
come "nessi nazionali fra dirigenti e diretti" e, quindi, come "elementi o
fattori di egemonia"19. Nel
Quaderno 29, del 1935, Gramsci elenca un certo numero di: "Focolai di irradiazione di
innovazioni linguistiche nella tradizione e di un conformismo nazionale linguistico nelle
grandi masse nazionali". Prima fra gli altri compare ancora 'la scuola', seguita dai
'giornali', considerati da Gramsci come un importantissimo elemento di direzione
culturale, e poi ancora "il teatro ed il cinematografo sonoro, la radio, le riunioni
pubbliche di ogni genere
"20.
Sembra,
dunque, che con il passare degli anni Gramsci maturi una chiarezza sempre maggiore
riguardo a questi 'strumenti del consenso': quali siano, come agiscano, quali scopi
perseguano. Se la scuola diviene senz adubbio il più importante fra tali organismi, molti
altri le si affiancano, contribuendo ad educare il consenso: la stampa, le Università ed
Accademie, le organizzazioni di tipo morale, i teatri e le biblioteche, i tribunali, i
sindacati ed i partiti politici. Gramsci si rende conto che solo penetrando in tutti
questi organismi, privati o statali, comunque formanti la base educativa del consenso, è
possibile, per un gruppo sociale, conquistarsi dapprima solo alcuni spazi in campo
politico-sociale, in un secondo tempo tutto il potere. Il compito di costruire
pazientemente questo lavoro è affidato da Gramsci agli intellettuali che, saldi nella
loro ideologia, si mostrino capaci di portarla avanti fino alla sua piena realizzazione.
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