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Cenni storici sulla formazione e condizione dei maestri prima
dell'Unità
di Enrico Farda |
Il
tema della formazione iniziale ed in servizio degli insegnanti è uno dei grandi nuclei di
riflessione che la scuola italiana sta mettendo a fuoco in questi ultimi anni, attraverso
un processo di riscoperta dellimportanza delleducazione e dellistruzione
che devono essere coordinate, progettate ed implementate da persone capaci e preparate.
Spesso
in Italia è prevalsa la tesi gentiliana che attribuiva a chi fosse latore di cultura
anche la capacità di insegnare; o, per un altro versante, la tesi che attribuiva
lattitudine allinsegnamento a persone che, inadatte ad alti importanti ruoli,
accedevano ad una funzione ritenuta alla portata di tutti.
I
recenti provvedimenti normativi hanno radicalmente modificato tale impostazione ed hanno
introdotto non solo la laurea per i maestri, ma anche un biennio di
specializzazione didattico-metodologica per quanti, dopo la laurea, volessero accedere
allinsegnamento nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.
La
ricostruzione di una delle figure cardine del sistema scolastico italiano, il maestro,
può sicuramente aiutare a capire i motivi che hanno contribuito a collocare gli
insegnanti in una considerazione sociale sempre meno prestigiosa e le ragioni per le quali
la loro preparazione, sia culturale sia professionale, venisse accertata con sistemi poco
efficaci.
Naturalmente
il quadro che segue non intende esaurire le motivazioni che hanno concorso alla formazione
di una certa tipologia di docente, anche perché lambito cronologico di riferimento
trova il suo limite con lUnità dItalia. Si è convinti, ciò nonostante, che
una riflessione sulle origini storiche di certe convinzioni sociali e culturali possa
aiutare a liberarsi da un retaggio del passato che riesce a ramificare le sue propaggini
anche nel presente (1).
La
centralità del maestro è ribadita in ogni documento finalizzato al rinnovamento
delleducazione popolare, tanto che Francesco De Sanctis se ne fece portavoce
nel noto scritto Relazioni sul Progetto per la riforma della pubblica istruzione nel
Regno di Napoli (2).
E
interessante osservare che De Sanctis dedica un intero capitolo del suo Rapporto il
terzo - agli insegnanti e alle scuole normali, capitolo significativo sin dal titolo che
Bisogna dei
maestri. Non pubblica opinione, non concorso, Scuole normali. Che sha a migliorare e
nobilitare la loro condizione (3).
Come
si vede, si tratta sin dalle prime battute di punti programmatici molto ben
delineati che testimoniano una precisa conoscenza del problema ed un vivo interesse di De
Sanctis.
Lo stato in cui si
trovano i maestri è deplorevole (4)
egli afferma
senza mezzi termini, continuando poi nella sua lucida ed intelligente analisi della
condizione dei maestri nel Regno di Napoli.
Costretti ad esercitare i
più umili e talora bassi uffizi per accattarsi la vita, rozzi, pedanti, sono essi tenuti
in pochissimo conto presso luniversale, talchè non vi è nome tanto stimabile, e
così poco stimato, quanto quello di maestro di scuola.
Trovar modo di avere buoni maestri,
migliorare la loro condizione, ed assicurarne la dignità e lindipendenza, ecco
lobbiettivo a cui mira il capitolo terzo (5).
Relativamente
al reclutamento degli insegnanti e al dibattuto problema della loro scelta per concorso o
per pubblica opinione, cioè per la buona reputazione goduta, sono significativi i
successivi passi dello scritto desanctisiano.
Noi crediamo
egli scrive che lopinione non possa essere consultata là dove si tratta
dumili studi, pe quali è difficile acquistarsi fama universale e sicura. E
quantunque in alcuni casi il concorso esser possa di qualche utilità, pure noi non vi
poniamo grande fidanza: chè la fortuna di un giorno non è certa guarentigia del valore
di un uomo (6).
Per
ovviare a tale problema, De Sanctis propone un corso triennale, il primo anno del quale
costituisce lanno di preparazione, mentre
la scuola normale
è tutta nel secondo e nel terzo anno: essa è ad un tempo la scienza e la pratica
dellinsegnamento (7).
La
precarietà della situazione economica costituiva poi un altro degli annosi problemi della
condizione magistrale, per risolvere il quale De Sanctis proponeva di
concedere ad essi
(ai maestri) un soldo, che renda tollerabile la loro esistenza, assicurare la loro sorte
nella vecchiezza, avanzarli a soldi maggiori secondo il loro merito e i loro servigi,
aprire soprattutto a questa professione un modesto avvenire (8).
Il Progetto
di De Sanctis non cadde nel vuoto e rappresentò una sorta di modello a cui si ispirò
il ministro Mameli quando, nel 1850, ne presentò uno analogo al Parlamento piemontese
(9).
La
proposta presentata da Mameli in Parlamento fece seguito ad unaltra importante
esperienza, quella delle scuole di metodo, che contribuì a sollevare il problema della
formazione dei maestri. Le scuole di metodo, infatti, erano brevi corsi tesi a dare
qualche nozione di didattica e di metodo a quanti volessero intraprendere la carriera
magistrale. La prima scuola di metodo fu un corso tenuto da Ferrante Aporti a Torino
dallagosto allottobre 1844 e fu seguita da altre iniziative, leredità
delle quali venne più tardi raccolta dalla legge Casati del 1859.
Nelle
scuole di metodo era insegnata al futuro maestro la metodica, cioè la pedagogia, e gli
venivano fatti svolgere il tirocinio e le esercitazioni scritte. Nel 1845 viene data
sistemazione ai corsi che vennero suddivisi in Scuola superiore di metodo, che
durava otto mesi e formava i professori di metodo essendo annessa allUniversità di
Torino, e Scuole provinciali di metodo, corsi estivi trimestrali diffusi nello
Stato sabaudo, frequentando le quali e superandone il relativo esame finale si conseguiva
il titolo di maestro normale.
Con
la legge Boncompagni del 1848 e con una circolare del 17 luglio 1851, le Scuole
provinciali di metodo vengono a loro volta suddivise in Scuole di metodo, istituite nelle
grandi città al fine di formare i maestri per il corso superiore delle elementari, e in
Scuole inferiori di metodo, da istituirsi nei centri minori per la preparazione dei
maestri del corso elementare inferiore.
Va
aggiunto che la Scuola di metodo con tutte le sue ramificazioni è rigorosamente riservata
alla formazione dei maestri, anche se negli animi più aperti e sensibili si comincia a
delineare il problema della formazione delle maestre.
Nel
1849, Domenico Berti istruisce privatamente nella sua casa di Torino alcune giovani donne
e consegue un tale successo che, lanno successivo, a causa dellelevato numero
di richieste di partecipazione, deve chiedere al governo dei locali per tenervi lezione.
Dal
1852 la scuola di Berti diventa triennale e prevede anche un convitto per le ragazze che
non risiedono a Torino. Viene inoltre istituita una biblioteca itinerante e, dal 1854, è
annesso alla scuola un corso elementare per le esercitazioni di tirocinio.
La
necessità di preparare le ragazze allesame di patente magistrale viene sentita
anche a livello statale, tanto che il 21 agosto 1853 il ministro Cibrario emana un
regolamento in base al quale le scuole di metodo assumono il nome di scuole
magistrali e vengono suddivise in maschili e femminili (10).
Frequentando
il corso inferiore, composto di due periodi di studio (sei mesi più quattro), si consegue
la patente di grado inferiore; frequentando il corso superiore, costituito da un periodo
di studio di sei mesi, si consegue la patente dinsegnamento superiore.
Nel
corso inferiore vengono date, sia pure in modo elementare, nozioni di pedagogia e
didattica che saranno poi integrate nel corso superiore con un cenno storico intorno alla
pedagogia e allordinamento dellistruzione elementare presso le principali
nazioni europee. Gli esami finali sono seguiti da un periodo di tirocinio della durate di
un anno per gli uomini e di sei mesi per le donne.
Evidenti
sono i limiti di questa preparazione caratterizzata da un programma di abilitazione
allinsegnamento estremamente ridotto, riconducibile allistruzione religiosa, a
poche ed ormai obsolete istruzioni per insegnare le tecniche del leggere, dello scrivere e
del far di conto e, infine, per insegnare il modo di mantenere la disciplina.
Con
la legge Lanza del 20 giugno 1858 viene istituita la scuola normale che, secondo i piani
di attuazione previsti, nellarco di tre anni avrebbe dovuto raggiungere le dodici
unità (sei maschili e sei femminili), mentre nel 1859 viene promulgata la legge Casati
che dà un assetto organico e gerarchizzato alla scuola, dallelementare
alluniversità, si occupa della preparazione del maestro ridefinendo la Scuola
normale e che, estesa poi a tutto il Regno dItalia, rimarrà pressochè invariata, a
prescindere da diversi ma lievi ritocchi, fino alla riforma Gentile del 1923 (11).
Considerato
larco cronologico che ci siamo prefissi in questo scritto, conviene soffermarci più
diffusamente sulla legge Lanza per vedere
quali provvedimenti contemplava in relazione alla formazione del maestro.
Essa
stabiliva listituzione di suole normali triennali, ridotte ad un corso biennale per
coloro che intendevano insegnare nel corso elementare inferiore, nelle quali materie di
insegnamento erano: morale, religione, lingua ed elementi di letteratura nazionale,
elementi di geografia generale, geografia e storia nazionale, aritmetica e contabilità,
elementi di geometria, nozioni elementari di storia naturale, di fisica e di chimica,
norme elementari di igiene, disegno e calligrafia ed, infine , pedagogia.
Per
accedere alle istituende scuole normali, bisognava sostenere e superare un esame al quale
si era ammessi a 16 anni compiuti, se uomini, o 15 se donne, sanzionando in tal modo la
netta distinzione tra scuole maschili e femminili.
Senza
entrare nel merito delle materie di insegnamento, una menzione particolare spetta al
programma di pedagogia, per il quale sarebbe meglio parlare di didattica. Infatti, al di
là di quanto si possa evincere dalla lettura della legge Lanza e dei programmi ad essa
annessi,
di pedagogia si
doveva trattare in modo puntuale durante il terzo anno (12)
quando
ne veniva data la definizione, erano indicati i fini, sottolineato il compito degli
educatori e suggeriti i mezzi didattici ed i metodi più idonei. Tale precisazione
consente di capire cosa si nasconde, spesso, dietro generiche ed altisonanti indicazioni
contemplate nelle leggi che pur erano e saranno successivamente emanate.
Rimane
comunque limportanza della legge Lanza nel cammino verso una regolamentazione della
formazione del maestro e, a tal proposito, ci sembrano opportune le considerazioni di De
Vivo che scrive:
Abbiamo voluto evidenziare come la legge Lanza, e i relativi programmi, abbiano
segnato un vero e proprio momento innovativo nella storia della scuola normale, giacchè
nei testi citati si può cogliere lesigenza di accostare didattica e metodica al
discorso pedagogico. Siamo ancora agli inizi, è vero, ma non è senza significato che la
scuola normale non fosse più identificata con i corsi di metodica (trimestrali,
semestrali o annuali), ma fosse vista come una scuola completa, con una finalità ben
precisa, nella quale però la parte professionale era associata, sia pur entro
certi limiti, alla formazione culturale (13).
Concluderemo
questo breve quadro con qualche nota riferita al Lombardo Veneto: qui i maestri erano
preparati con corsi di tre o sei mesi, a seconda del grado scolastico in cui avrebbero
dovuto insegnare (scuola elementare inferiore o superiore), mentre già nel
1836 funzionavano, nel solo Veneto, 36 corsi di metodica che prevedevano tre ore
settimanali di metodica a carattere generale e due di metodica dellistruzione
religiosa.
Segno
dellinteresse dimostrato dal governo austriaco per la formazione dei maestri è il
questionario diffuso nel 1841 al fine di raccogliere dati che permettessero il
miglioramento della situazione. Osserva De Vivo:
E fra coloro che formularono una risposta al questionario predetto ci fu lo
stesso Ferrante Aporti, a giudizio del quale sarebbe stato opportuno da una lato rendere
annuale il corso di metodica, dallaltro consentire laccesso solo a chi avesse
frequentato la quarta elementare maggior, sì da avere pieno possesso della lingua e della
grammatica, perché solo così facendo il maestro sarebbe stato messo nella condizione di
guidare gli allievi (14).
La
situazione sulla quale si voleva intervenire, grazie ai dati desunti dal questionario, è
ben delineato da Ida Zambaldi nel suo volume dedicato alla storia della scuole elementare
in Italia.
Il
Lombardo Veneto fu uno degli Stati che più sollecitamente vide porsi il problema
dellistruzione elementare a restaurazione avvenuta, con un decreto firmato a Milano
dal Conte Strassoldo il 7 dicembre 1818.
Tale
decreto conteneva il Regolamento normale per le scuole elementari da istituire o
sistemare di nuovo e rivelava anche il nuovo indirizzo poliziesco del regime
austriaco che si era sostituito alla legislazione aperta e tollerante di Maria Teresa e
Giuseppe.
Il
seguente passo del Regolamento può essere utile per capire quanto si è appena detto:
Ovegli (il maestro) venisse a scoprire fra i fanciulli delle ristampe
forestiere dei libri dinsegnamento prescritti, procuri di spiarne la provenienza,
e ne dia avviso al parroco (15).
Se
si prescinde da tale aspetto, il decreto può definirsi comunque un modello per
lorganicità delle parti e per la dovizia di precise indicazioni su ogni aspetto
dellistruzione, dai tipi di scuola alla carriera e ai doveri dei maestri.
Riguardo
questi ultimi, il decreto precisava le condizioni fisiche e morali nonché la preparazione
culturale necessaria al maestro per essere nominato. Linsieme di tali requisiti è
così sunteggiato da Ida Zambaldi: il maestro non doveva mai essere
stato soggetto a criminale processura o a sorveglianza politica,
essere sano di sensi e di corpo, aver pronunzia chiara, intelletto abile a comprendere
facilmente le cose; intendere profondamente le materie da insegnare; della religione,
quantunque laico, possedere tanta cognizione quanta se ne richiede per avere sentimenti
devoti.
In quanto a cultura, egli doveva saper leggere speditamente e con accento esatto,
ogni sorta di stampati dei libri prescritti, eseguire con carattere bello e spedito le
diverse scritture prescritte, possedere a fondo le prime quattro operazioni
dellaritmetica in intieri e rotti, e le regole del tre; avere somma facilità nel
conteggiare anche a memoria, conoscere litaliano e il latino, saper a fondo le
regole (si noti: le regole) del compitare, del leggere, della calligrafia e
dellaritmetica.
Di grammatica (sic) italiana intendere quanto almeno è necessario per
lortografia, ed essere capace di compilare brevi memorie, lettere, petizioni, ed
altre simili scritture, quasi indispensabili alla vita comune (16).
Come
si vede, i contenuti culturali nella formazione del maestro non erano di notevole
profondità, limitandosi per lo più ad una buona conoscenza di ciò che si sarebbe dovuto
insegnare, conoscenza tra laltro richiesta in misura così minuziosa
da nutrire seri dubbi sulla reale preparazione dei maestri.
Degno
di nota, ancora, lobbligo per i maestri di conoscere la legislazione scolastica,
anche se tale conoscenza era finalizzata più al rispetto degli ordini che non alla difesa
dei propri diritti.
Questo
era dunque il clima alla vigilia della nascita del Regno dItalia: nei vari Stati
preunitari, al di là delle differenze specifiche degli interventi adottati,
listruzione elementare e, conseguentemente, le scuole per i maestri si barcamenavano
tra interventi legislativi, spesso pronti a cogliere limportanza e la funzione di
tali istituzioni, e interventi concreti, spesso inadeguati ed insufficienti data la poca
importanza sociale che la pubblica opinione dava allistruzione del popolo e alla
formazione dei maestri. Ne emerge un interessante confronto tra un maestro
ideale, delineato ed auspicato a livello normativo dai documenti ufficiali, e
un maestro reale, che si incontrava ogni giorno nelle disparate realtà degli
Stati preunitari, prima, e del Regno di Italia, in seguito.
NOTE:
1)Per
un inquadramento generale dellargomento, anche con riferimento al Regno
dItalia, vedere tra laltro: A. Broccoli et Alii, Ruolo, status e formazione
dellinsegnante italiano dallunità ad oggi, Milano, ISEDI,1978; E.
Catarsi, LEducazione del popolo. Momenti e figure dellistruzione popolare
nellItalia liberale, Bergamo, Juvenilia,1985; E. De Fort, Gli insegnanti, in
G. Cives (a cura di), La scuola italiana dallUnità ai nostri giorni, Firenze,
La Nuova Italia, 1990, pp 199-261; F. De Vivo, La formazione del maestro dalla legge
Casati ad oggi, Brescia, La Scuola 1986; E. Farda, Appunti sulla condizione del
maestro dallUnità alla fine dellOttocento, in I Problemi della
Pedagogia, a. XL, n. 3, maggio-giugno 1994, pp. 213-223; E. Farda, Ritratti di
maestri dellOttocento, in I Problemi della Pedagogia, a.XLI, n. 4,
luglio-agosto 1995, pp.425-436; G. Ricuperati, La scuola nellItalia Unita, in
Storia dItalia, vol. V, tomo 2°, I Documenti, Torino, Einaudi, 1973,
pp. 1693-1736; S. Ulivieri, I maestri, in T. Tomasi (a cura di),
Listruzione di base nella politica scolastica dallunità ai giorni nostri
(1859-1977), Firenze, Vallecchi, 1978, pp.165-184; G. Vigo, Il maestro elementare
nellOttocento. Condizioni economiche e status sociale, in Nuova Rivista
Storica, a. LXI, 1977,pp. 43-84; I. Zambaldi, Storia della scuola elementare in
Italia, Roma, LAS, 1975.
2)F.
De Sanctis, Relazione sul progetto per la riforma della pubblica istruzione nel Regno
di Napoli, in F. De Sanctis, Scritti pedagogici, a cura di N. Sammartano,
Armando Armando, Roma, 1959.
3)Ivi,
p. 97.
4)Ivi,
p. 97.
5)Ivi,
p. 98.
6)Ivi,
p. 98.
7)F.
De Vivo, op. cit., p.12.
8)F.
De Sancis, op. cit., p. 98.
9)Cfr.
S. Ulivieri, op. cit., p. 165-184.
10)Ivi,
p. 168.
11)Sulla
legge Casati, consultare I Problemi della Pedagogia, anno V, n. 1,
gennaio-febbraio 1959, numero monografico per il centenario della legge.
12)F.
De Vivo, op. cit., p. 17.
13)Ivi,
p. 17.
14)Ivi,
p. 13.
15)I.
Zambaldi, op. cit., p. 92.
16)Ivi,
p. 94. |