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L'autorizzazione al matrimonio del minorenne nel processo di responsabilizzazione sociale
di B. Vigiani

La previsione normativa dell’autorizzazione al matrimonio del minorenne da valutare in sede giudiziaria trova il suo motivo di essere nell’esigenza di garantire da un lato la tutela del soggetto in quanto detenuto per presunzione di legge non del tutto emancipato e dall’altro la difesa sociale per gli effetti delle ricadute negative che derivano dal matrimonio sul versante del sistema sociale.

Nella storia del diritto familiare la fissazione dell’età matrimoniale ha sempre risentito delle contingenze socio-politiche e degli indici culturali di determinati periodi storici rendendo variabili anche le capacità matrimoniali in relazione alle mutate condizioni e prospettive dei rapporti sociali. Si passa così nella storia recente dalla cultura della famiglia patriarcale allo sviluppo di una realtà sociale ispirata al valore della parità tra uomo e donna, dalla tutela dei figli come oggetto di diritto alla protezione degli stessi come soggetti titolari di diritti direttamente esercibili. In questo quadro evolutivo si colloca la tendenza , presente già da molti anni nella dottrina, ad elevare a diciotto anni l’età matrimoniale senza distinzione di sesso.

Per la minore età invece la valutazione  dell’idoneità a contrarre matrimonio è rimessa, invece, alla sussistenza della capacità di discernimento e della maturità psico-fisica dei nubendi inserita quest’ultima nel loro processo di responsabilizzazione sociale in atto.

In questo quadro di riferimento si muove il vigente ordinamento del diritto di famiglia infatti:

L’art. 84 cod. civ., così come modificato dalla legge n. 151/75, stabilisce, quale regola generale, il divieto di contrarre matrimonio prima del compimento dei 18 anni, equiparando così la capacità matrimoniale alla capacità generale di agire, e soprattutto eliminando i differenti limiti di età stabiliti precedentemente tra uomo e donna, in armonia e nel rispetto del principio di uguaglianza.

Sembra una scelta logica non solo da un punto di vista giuridico, ma ancor prima umano, quella di innalzare il limite di età per contrarre matrimonio e di equipararlo al generale limite che la legge stabilisce per il compimento della maggior parte degli atti aventi rilevanza giuridica.

Se infatti il minore dei 18 anni non può porre in essere valide contrattazioni commerciali, non è abilitato a prestare il proprio lavoro e a stipulare i relativi contratti, non è considerato sufficientemente maturo da poter esercitare il diritto di voto, come lo si potrebbe considerare in grado di determinarsi in ordine ad una delle scelte più importanti e decisive della sua vita, come quella di dare origine ad un nuovo nucleo familiare?

La modifica introdotta dal legislatore del ’75 è inoltre estremamente coerente con quelli che sono i cambiamenti sociali intervenuti e soprattutto con la nuova concezione del matrimonio, non più mera istituzione e comunità produttiva1, ma comunità di affetti nella quale si sviluppa la personalità di ciascuno2. Se infatti in passato il matrimonio rappresentava, soprattutto per la donna, una sistemazione e una sicurezza economica, e si faceva coincidere la capacità matrimoniale con la intervenuta capacità sessuale, oggi prevale la cd. “funzione personalizzante” del matrimonio, finalizzata cioè alla crescita e all’espansione della vita personale; la famiglia è infatti la prima e più importante formazione sociale “ove si svolge la personalità dell’individuo” (art. 2 Cost.).

Ecco che, allora, elemento fondamentale di valutazione, in ordine alla capacità matrimoniale, diventa non più la maturità fisiologica bensì quella psicologica, intesa come idoneità a comprendere il significato e la portata dell’istituto matrimoniale. In una società caratterizzata dalla mancanza di sicuri modelli di vita, e dove si è passati dalla famiglia patriarcale (nella quale alla immaturità e all’inesperienza dei giovanissimi coniugi sopperivano il sostegno e la maturità dei più anziani) alla famiglia nucleare (in cui si richiede invece una maggiore autonomia e sicurezza non soltanto psicologica ma anche economica), non sarebbe concepibile prevedere un limite d’età per contrarre matrimonio inferiore a quello che la legge stabilisce in ordine a tanti altri atti di autodeterminazione.

Eppure l’art. 84, contrariamente a quanto appena detto, prevede una deroga al divieto stabilito al I comma. Si dice infatti, al II comma, che il tribunale può ammettere al matrimonio chi abbia compiuto i 16 anni, quando sussistono gravi motivi, accertata la maturità psicofisica del minore e la fondatezza delle ragioni addotte. Il legislatore, dunque, anche a causa della indiscussa delicatezza della materia, non ha saputo o non ha potuto dettare una regola veramente generale, delegando all’autorità giudiziaria la decisione in ordine alla concreta ed effettiva sussistenza della capacità matrimoniale. In ogni caso egli non ha molto creduto alla possibilità del sedicenne di essere veramente maturo e capace: è assai sintomatico che la legge, pur riconoscendo che il sedicenne può essere ritenuto maturo per dar vita alla impegnativa esperienza matrimoniale, sancisca poi, all’art. 165 cod.civ., che il minore ammesso a contrarre matrimonio è capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali purché assistito dai genitori o dal tutore o curatore speciale nominato a norma dell’art. 903.

Andando ad approfondire gli aspetti più propriamente giuridici, ciò che colpisce immediatamente l’attenzione dell’interprete è che l’art. 84, quando stabilisce i presupposti dell’autorizzazione al matrimonio, utilizza formule vaghe e generiche, quali “maturità psicofisica” e “gravi motivi” .

Ne consegue che l’applicazione giurisprudenziale della norma, non potendosi poggiare su criteri certi e determinati, dà luogo alle più svariate e contrastanti interpretazioni ed a notevoli disparità di trattamento in una materia che, attenendo a fondamentali diritti di personalità, dovrebbe essere sempre trattata in modo uniforme.

L’art.84 prevede, quali presupposti indefettibili per l’autorizzazione al matrimonio di un minore sedicenne, la maturità psicofisica, la fondatezza delle ragioni addotte e la sussistenza dei gravi motivi. Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti i primi due costituirebbero condizioni dell’azione promossa dal minore interessato; essi non sono però sufficienti al rilascio della dispensa, in quanto il giudice, dopo aver accertato la loro presenza (oltre naturalmente al compimento del sedicesimo anno di età), dovrà valutare se le circostanze addotte integrino o meno quei gravi motivi che sembrerebbero oggetto di una valutazione altamente discrezionale da parte dell’autorità giudiziaria. Una cosa è dunque l’accertamento oggettivo della effettiva e concreta esistenza delle circostanze addotte nell’istanza, altra la valutazione relativa alla gravità delle stesse.

Per quanto riguarda la maturità psicofisica, si tratta di presupposto certamente relativo, in quanto non sembra possibile delineare un concetto di maturità in astratto4: bisogna sempre precisare in funzione di quale situazione possa giudicarsi maturo un individuo. In relazione alla questione che qui interessa, sembra che, nonostante l’uso dell’espressione maturità psicofisica, il legislatore abbia voluto richiedere, come presupposto necessario e indefettibile dell’azione, la maturità psicologica del minore, intesa quale livello sviluppo psichico e della personalità, tale da consentire una presa di coscienza delle responsabilità riguardo al matrimonio; non si può richiedere una maturità assoluta, ma è sufficiente quel tanto di autonomia e libertà interiore che assicura che la scelta matrimoniale non sia influenzata da fattori infantili o da condizionamenti sociali.

In realtà viene richiesta l’esplicazione delle potenziali capacità socializzative da orientare verso processi si responsabilizzazione e di ulteriore sviluppo della personalità in senso formativo.

La maturità psichica potrebbe poi essere compromessa da fattori fisici; da qui l’utilizzazione, da parte della legge, della formula composta maturità psicofisica, la quale non richiede la separata valutazione dei due elementi, in quanto neanche nel matrimonio tra maggiorenni è richiesta un’idoneità fisica; tutt’al più la mancanza di tale idoneità può rilevare solo ai fini della disciplina dell’errore quale errore sulle qualità essenziali del partner. “Non si vede- infatti- perché il minore, quando sia stato ritenuto maturo sul piano psichico, non dovrebbe essere libero di contrarre matrimonio anche se è a conoscenza di una ancora non piena maturità sul piano fisico, e quando questa situazione sia stata pienamente accettata anche dall’altro coniuge”5.

Pertanto,questa è ormai l’opinione prevalente, la valutazione del giudice deve riferirsi essenzialmente alla maturità psichica del soggetto, che può essere compromessa anche da fattori fisici, da prendere in considerazione solo se abbiano ripercussione sul piano della maturità psicologica6.

Ulteriore presupposto, o meglio, condizione dell’azione processuale che il giudice deve accertare, è la fondatezza delle ragioni addotte dall’istante. Anche se qualcuno sostiene ancora che tale elemento andrebbe in realtà ad incidere con quello dei gravi motivi, l’opinione prevalente ritiene invece che si tratta di due momenti distinti: l’accertamento delle circostanze addotte è precedente e costituisce la condicio sine qua non per la valutazione delle medesime circostanze. L’istante ha cioè l’onere di dimostrare chele motivazioni portate a sostegno della domanda sono vere, prima ancora di affermare la presenza del grave motivo.

Fattore determinante nella valutazione del giudice, una volta accertate le condizioni di cui si è sopra parlato, è infine la gravità delle motivazioni addotte nella domanda introduttiva del giudizio.

La formula utilizzata dal legislatore, come già detto, per la sua indeterminatezza, lascia spazio alle più diverse interpretazioni e a conclusioni spesso contrastanti. Criterio fondamentale che dovrebbe guidare sempre il giudice nella valutazione della gravità dei motivi è quello dell’interesse del minore ad un libero sviluppo della sua personalità.

L’apprezzamento del grave motivo va operato “non solo sotto il profilo negativo – per il male che potrebbe ricadere sul minore ove il matrimonio non fosse autorizzato – ma anche sotto il profilo cd. Positivo, per il bene che dal matrimonio, in quanto serio atto di fondazione della famiglia legittima, potrebbe venire alle parti”7.

A favore di questo orientamento si è mostrato il tribunale per i minorenni di Torino, il quale, con pronuncia 26/3/1986, ha stabilito che “per gravi motivi necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione alle nozze del minore, devono intendersi non solo quelli che interessano sotto il profilo negativo, cioè allo scopo di evitare disagi e sofferenze alla coppia, che per di più sia in attesa di un figlio, ma anche quelli che vanno riguardati in senso positivo, quali il desiderio serio, responsabile e consapevole di dare al nascituro un ambiente familiare non solo unito ed affettuoso di fatto, ma anche formalmente riconosciuto dalla collettività tanto più che la famiglia fondata sul matrimonio costituisce un valore personale e sociale esplicitamente affermato dalla Costituzione.

Tra i motivi che più frequentemente vengono addotti a sostegno della richiesta di autorizzazione vi è lo stato di gravidanza della minorenne. In passato le pronunce dei tribunali attribuivano, nella maggior parte dei casi, il carattere della gravità a questo motivo, per la prevalenza della concezione che considerava disonorante la gravidanza al di fuori del matrimonio e la nascita di figli illegittimi.

A favore di questa tesi si pone, quale fondamento legislativo, l ’art. 117 cod. civ. Che, in materia d’impugnazione del matrimonio, considera l’intervenuta gravidanza come motivo ostativo alla proponibilità dell’azione di annullamento del matrimonio del minore, potendosi da ciò arguire che lo stato di gravidanza dovrebbe assurgere, nelle intenzioni del legislatore, a circostanza di indubbia rilevanza e gravità, tanto da consentire la deroga al requisito della maggiore età per il matrimonio.

Noi concordiamo con quella dottrina secondo la quale la gravidanza non può essere considerata di per sé grave motivo, e deve invece essere valutata attentamente, caso per caso, nel contesto della situazione prospettata.

Non è detto, infatti, che il matrimonio costituisca sempre la migliore soluzione, né per la madre minorenne, né per il nascituro.

In questo senso decisiva sembra la disposizione in materia di capacità a riconoscere la filiazione naturale, non a caso fissata dall’art. 250 cod. Civ. Al compimento del sedicesimo anno di età; ciò conferma la volontà del legislatore di garantire ogni tutela giuridica ai figli naturali anche quando esista uno ostacolo, giuridico o meno, a contrarre matrimonio.

Non si può in ogni caso prescindere dalla valutazione degli ulteriori presupposti previsti dalla legge, e soprattutto della considerazione del prioritario interesse del minore, per cui in presenza di uno stato di gravidanza e di una constatata maturità psicofisica, il favor matrimonii, che tuttora colora, sia pure in maniera più sfumata, il nostro ordinamento, indurrebbe ad autorizzare l’unione matrimoniale: “sarebbe davvero contraddittorio che lo stesso ordinamento considerasse del tutto indifferente per il bambino avere una stabile famiglia legittima o avere solo la madre o al massimo una precaria famiglia di fatto”8.

Ciò che preme qui sottolineare è che la presenza di una gravidanza in nessun caso può far desumere automaticamente la presenza del grave motivo.

Esemplificativa in tal senso può considerarsi la sentenza con la quale il Tribunale per i minorenni di Genova, in data 8/4/1981 ha stabilito che non può considerarsi grave motivo la gravidanza della minore se non è accompagnata dall’accertata esistenza della maturità psicofisica, intesa sia in senso generico che in senso specifico come idoneità al matrimonio e agli oneri coniugali e familiari: l’accertamento va effettuato con criteri di rigore, avuto riguardo all’importanza dell’atto che il minore vuol compiere e considerato anche che gli obblighi e le responsabilità derivanti dal ruolo di madre postulano una maturità minore rispetto a quella richiesta per adempiere integralmente agli obblighi di moglie ed al ruolo di compagna, obblighi e ruolo certamente meno naturali e spontanei di quelli connessi ala qualità di madre e pertanto di più difficile adempimento”.

Un ulteriore motivo che frequentemente l’istante pone a fondamento della propria domanda è la convivenza more uxorio. Con un decreto del maggio 1995, il tribunale per i minorenni di Perugia ha accolto l’istanza di un minore, fondata su tale situazione di fatto, ravvisando la sussistenza di gravi motivi “nella lunga convivenza more uxorio dei nubendi… e nel valore sociale del riconoscimento operato dal matrimonio della già esistente comunione di vita, soprattutto in un piccolo centro agricolo”.

Ancora una volta il favor matrimonii prevale sulla ben più importante valutazione dell’interesse de minore, e ancora una volta ci troviamo di fronte ad una motivazione troppo scarna e superficiale.

Fa correttamente notare Marco Canonica nella nota al suddetto decreto9 che, nonostante si possa anche condividere quella sorta di favor matrimonii che potrebbe far ritenere auspicabile la legittimazione dell’unione di fatto dei nubendi, non può tuttavia non destare meraviglia il rilievo che simili unioni, liberamente volute e portate avanti con consapevole alternativa al vincolo legale, possono poi costituire il presupposto, o meglio il pretesto per rendere possibile il legame prima rifiutato. Non è cioè ammissibile che la deroga ad un precetto legislativo trovi fondamento nella circostanza che i soggetti interessati abbiano posto in essere quanto necessario per realizzare proprio ciò che la norma vieta!

Del tutto inaccettabili appaiono, del pari, altre motivazioni addotte dai minori interessati ad anticipare la celebrazione del matrimonio, quali la già avvenuta preparazione della casa coniugale e della stessa cerimonia nuziale; la prossima dipartita del fidanzato per il servizio militare; la già intervenuta esperienza sessuale tra i nubendi; oppure ragioni di ordine familiare, come un cattivo ed insostenibile rapporto con uno dei genitori. Citiamo a proposito la sentenza del Tribunale di Palermo del 18/12/1985, che ha ammesso a contrarre matrimonio la minore, “le cui nozze siano fortemente osteggiate dai genitori a causa di una loro ingiustificata avversione nei confronti del fidanzato, allorché la minore abbia a subire notevoli limitazioni della propria libertà ad essere sottoposta ad un tenore di vita gravemente condizionante”. Il Tribunale di Perugia, con decisione del 14/7/1978, ha inoltre previsto che “tra i gravi motivi per ammettere un minore al matrimonio è da ricomprendere anche la necessità di fargli superare pericolose esperienze fatte nella famiglia di origine”.

Ciò che emerge dall’analisi di alcune pronuncie giurisprudenziali è che spesso i tribunali hanno ritenuto opportuno rilasciare la richiesta di autorizzazione sulla base di considerazioni troppo affrettate e soprattutto carenti di una seria analisi della personalità e della maturità dei minori.

A questo punto sembra necessario interrogarsi sull’opportunità di un intervento giudiziario in un settore così delicato, che richiede certamente maggiore professionalità e specializzazione. Non possiamo negare che versiamo nell’ambito dei diritti soggettivi, per giunta personalissimi, e che una deroga ad un divieto legislativo può in effetti essere autorizzata solo dall’autorità giudiziaria competente.

Eppure non si può ignorare la troppo frequente superficialità e approssimazione con cui i tribunali per i minorenni hanno affrontato e risolto la questione del matrimonio dei soggetti minori di età, dando spesso vita a luoghi comuni e vuote formule di stile.

Per questo è sicuramente auspicabile un più significativo intervento dei servizi sociali e degli altri operatori specializzati, che devono supportare l’attività dei giudici fornendogli i risultati di un’attenta valutazione su circostanze di fatto, la quale dovrà costituire un imprescindibile presupposto della loro, sia pur discrezionale, decisione.

Sembra che l’autorità giudiziaria sia consapevole di ciò quando ritiene che “ai fini dell’accertamento dei gravi motivi di cui all’art.84c.c dovrà tenersi conto anche ed primo luogo delle caratteristiche ed istanze socio culturali dell’ambiente di vita del minore nubendo, onde apprezzare, nell’ottica e nella problematica dei costumi, dei principi etico religiosi, dei bisogni e dei modi di vivere della società di appartenenza, sia pure in correlazione alle corrispondenti condizioni ed esigenze della più vasta collettività nazionale, l’esatto valore dell’esigenza materiale, spirituale, oggettiva e psicologica che lo induce alla richiesta giudiziale” ( Corte d’Appello Trieste 14/3/1978).

Tale consapevolezza è ugualmente presente nel contesto familiare ed ambientale del minore e nello stesso minore risultando del tutto evidente che la dispensa del divieto di contrarre matrimonio non è soltanto intrisa di contenuti giuridici ma soprattutto di valori educativi confluenti sui processi di socializzazione in corso.

Più utilmente per l’interessato l’autorizzazione al matrimonio innesca il meccanismo di rinforzo psicologico inerente la responsabilizzazione del minore sia in ordine agli obblighi derivanti verso altre persone coinvolte sia agli impegni da assumere nei confronti del contesto sociale.

1 GIORGIO FRONTINI, “Il matrimonio del minore e la filosofia del diritto di famiglia”, in NUOVO DIRITTO 1992.

2 ALFREDO CARLO MORO, “Il matrimonio del minore” in ESPERIENZE DI RIEDUCAZIONE 1977.

3 ALFREDO CARLO MORO, op.cit.

4 GIOVANNI GALUPPI, “Brevi considerazioni sul concetto di maturità in relazione al matrimonio dei minori e sulle circostanze in cui sia opportuno concedere l’autorizzazione”, in DIRITTO DI FAMIGLIA E DELLE PERSONE 1992.

5 ALFREDO CARLO MORO, op.cit.

6 CIPRIANO COSSU, “Il matrimonio del minore”, in DIRITTO DI FAMIGLIA E DELLE PERSONE, 1979.

7 FINOCCHIARO F, “Del Matrimonio” in Commentario Scialoja-Branca.

8 ALFREDO CARLO MORO, op.cit.

9 MARCO CANONICA, “ Matrimonio dei minori e gravi motivi: la convivenza quali presupposto per l’elusione del divieto normativo”, in DIRITTO DI FAMIGLIA e delle persone 1996.

10 CIPRIANO COSSU, op. Cit.

 

 

 

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