La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Attualità e storicità di Dewey. Dal Convegno di Cosenza alla ricostruzione della Bellatalla.
di Giacomo Cives

1.L’interazione di Dewey tra fini e mezzi, valori e tecnologia

Ha scritto Larry A. Hickman, direttore del Center for Dewey Studies di Carbondale nell’Illinois: "E’ opinione largamente accettata tra i filosofi professionisti che i filosofi più innovativi e influenti del ventesimo secolo siano Wittgenstein, Heidegger e Dewey. Di quei tre soltanto Dewey scrisse abbondantemente sulla filosofia pubblica; soltanto Dewey offrì una filosofia dell’educazione, e soltanto Dewey elaborò un programma coerente per produrre un miglioramento sociale pratico".

Questo importante riconoscimento figura nel volume La tecnologia pragmatica di John Dewey, con presentazione di Giuseppe Spadafora (Hickman, 2000, p. 284), che rilevando l’importanza, l’attualità, la concretezza di Dewey illustra come "attrezzi e manufatti" per il filosofo americano non siano neutrali e asettici ma come "tecnologia responsabile" si inseriscano nella dinamica mezzi-fini e siano "interattivi entro situazioni che sono ricche di valori" (p. 289).

Gli "attrezzi tecnologici" hanno bisogno di una "programmazione sociale intelligente" (p. 291). Come viceversa per i fini. Ma questa simbiosi si è realizzata poco e con fatica. Infatti (ecco il tema famoso anche della introduzione di Dewey del 1948 alla nuova edizione di Reconstruction in Philosophy: cfr. ora in nuova traduzione ital.: Dewey, 1998, p. 32): "La tecnologia ha funzionato bene nel dominio delle scienze naturali, ma sembra che sia un metodo che gli uomini e le donne non sono disposti ad applicare oltre quella sfera" (Hickman, 2000, p. 291).

"Attrezzi e strumenti" in Dewey, commenta Spadafora presentando il libro di Hickman, se ben utilizzati e prospettati superano le tradizionali dicotomie "tra l’interno e l’esterno, l’ideale e il reale". Così "lo strumentalismo rende la teoria dell’indagine e, dunque, la conoscenza un’attività tecnologica, una specie di produzione e costruzione ai loro massimi livelli e, in effetti, lo strumentalismo supera sia le tradizionali concezioni dell’idealismo che quelle del realismo" (p. XVII).

Hickman battendo in modo originale sulla importanza della valorizzazione intelligente e responsabile della tecnologia in Dewey, e quindi sul suo legame coi problemi civili del mondo d’oggi, riconferma l’unione fondamentale deweyana tra metodo dell’intelligenza, metodo della condotta, metodo della vita sociale democratica, metodo dell’educazione, e la sua equilibrata saldatura oltre che tra mezzi e fini, tra operazioni e ideali, tra originalità individuale e valore dello scambio e del dialogo, della collaborazione e della comunità sociale, tra concretezza del presente e progetto del futuro, tra processualità dell’indagine e processualità didattica, in un programma di raccordo di non eguagliata forza tra conoscere critico e creativo, democrazia e educazione di uomini liberi e capaci di innovazione e controllo della vita sociale.

2. Il Convegno internazionale di Cosenza su Dewey

Nei giorni in cui è apparsa l’edizione italiana di questo volume di Hickman, lo studioso americano aveva modo di prospettare con forte suggestione queste idee al molto ben riuscito convegno internazionale su "John Dewey. La Filosofia e l’Educazione per la Democrazia" organizzato, per iniziativa soprattutto di Spadafora, dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria (Calabria, Aula Magna dell’Università, 10-13 aprile 2000). Un convegno che ha riunito nello studio di Dewey specialisti di vari paesi d’Europa (oltre naturalmente che Italia, Svizzera, Germania, Spagna, Polonia, Russia…), ma soprattutto degli Stati Uniti, autorevoli come, oltre Hickman, Hilary Putnam, che ha mostrato come Dewey all’insegna del superamento del razionalismo aprioristico e dell’empirismo tradizionale abbia (cfr. Putnam, 2000, p. 22) ben saldato conoscenza, epistemologia e etica critiche. Vari altri studiosi americani hanno svolto relazioni di rilievo, da Thomas Alexander a Leonard Waks, da Ruth Anna Putnam a Jim Garrison.

Di fronte a loro, in stimolante dialogo, filosofi e pedagogisti italiani specialisti di Dewey: dai protagonisti storici della proposta di Dewey nell’Italia democratica del dopoguerra, che all’autore di Logica teoria dell’indagine hanno dedicato un approfondimento assiduo e fedele, come Aldo Visalberghi, agli studiosi immediatamente successivi che hanno puntualizzato aspetti specifici di Dewey quali la sua formazione e produzione giovanile come Alberto Granese, ai cultori dell’attuale, sia pur sommessa, "Dewey Renaissance" come Giuseppe Spadafora, Mario Alcaro, Luciana Bellatalla. Altri docenti italiani che hanno svolto importanti relazioni o introduzioni alle sessioni dei lavori sono stati tra gli altri Franco Cambi (di lui, impedito a partecipare, è stata letta la relazione scritta), Giorgio Chiosso, Nicola Siciliani De Cumis, Giuseppe Trebisacce, Antonio Santoni Rugiu.

Ponendo in evidenza che lo "spirito di Dewey" è quello di "un pensiero attento alle dinamiche sociali ma che non demonizza i meccanismi di mercato, i problemi di oggi legati alle trasformazioni della democrazia e della globalizzazione economica", è stato anche osservato (Massarenti, 2000, p. 32) che alla luce di ciò "il convegno ha messo in rilievo l’importanza della ‘ricostruzione’ filosofica deweyana, legata al tentativo di ‘ricostruire’ l’educazione e la democrazia applicato ad un contesto non solo americano ma globale. Quello che è emerso è stata la straordinaria attualità del pensiero deweyano, espressione di una particolare lettura del pragmatismo americano, una filosofia intermedia tra idealismo e realismo, ma soprattutto una filosofia completamente immersa nelle trasformazioni scientifiche e tecnologiche del Novecento". Anche se sempre attenta sul piano politico, si può notare, a equilibrare operativamente le dimensioni pur necessarie della democrazia industriale e delle scienze sociali, e si potrebbe dire delle regole economiche, che però possono degenerare nella standardizzazione, col controllo responsabile del "pubblico", del rapporto interpersonale, delle comunità locali da rilanciare (ahinoi, un proposito senza successo) (cfr. Alcaro, 1996).

Una coordinazione che si conferma e conforta sul piano educativo ove sia chiara e si realizzi una visione larga, che unisca umanesimo e professionalizzazione, metodi e contenuti, vecchio e nuovo, scuola e società, tempo libero e tempo di lavoro (il compianto maestro e amico Rosario Assunto parlava al riguardo di job e hobby da armonizzare, sul piano della "mediazione estetica" e civile). Infatti scriveva Dewey nei primi anni ’30 che nella scuola "il conflitto tra il culturale o il liberale ed il pratico continuerà a provocare confusione, finchè entrambi saranno concepiti in modo limitato" (Dewey, Childs, 1981, p. 53).

Nel Convegno di Cosenza è stata dunque sottolineata l’attualità di Dewey in cui l’ispirazione di fondo democratica che permea e raccorda a livello tecnico e pratico indagine, etica, educazione non è retorica e velleitaria, ma si confronta con i problemi reali del nostro tempo, caratterizzati appunto dalle innovazioni della scienza e della tecnologia: non respinte e demonizzate ma da permeare positivamente di intelligenza, senso etico e prospettiva unificante (cfr. qui le già indicate posizioni di Hickman).

Dewey dunque non semplice oggetto di studio filologico e interpretativo, ma punto di riferimento ancora per la filosofia, la condotta, la vita civile, la pedagogia del nostro tempo: il rilievo in lui del ruolo delle tecnologie, naturalmente in rapida espansione e trasformazione, come del controllo delle dinamiche economiche, incidenti sempre più, è emblematico e indicativo. Si ricorda come il filosofo americano non si sia sottratto al confronto colla realtà in trasformazione, oggi sempre più sofisticata, ma si sia adoprato per un raccordo consapevole dell’esperienza, da sviluppare e accrescere (qui il criterio di valore) secondo criteri di razionalità, sperimentalismo, armonia (anche estetica), libertà e giustizia

3. Il socialismo liberale deweyano

In proposito si confronti la sua chiave di socialismo liberale, ripresa e sviluppata dopo la crisi del 1929, come si può vedere ne La frontiera educativa del 1933 (Dewey, Childs, 1981). A questo proposito Borghi osservava nella "presentazione" di questo testo (Borghi, 1981, p. VIII) che come in questa opera "mai la nota socialista, già iscritta chiaramente nella riflessione giovanile del Dewey, era risuonata così squillante (…).

"Importante in tale diagnosi della crisi degli Anni Trenta è la prospettazione del discorso democratico in chiave socialista che il Dewey forniva senza riserve (…)".

Quello che nello scritto del 1933 "vi è di originale è il nesso di identità in cui Dewey vedeva coinvolte le vita culturale e quella economico-sociale. L’affermarsi dell’atteggiamento scientifico e sperimentale sta a fondamento dello sviluppo sia culturale che sociale. La subordinazione della ricerca a presupposti di natura ideologica imposti da interessi istituzionali e l’impedimento alla comunicazione di metodi e di risultati che da essi deriva vulnerano le radici di entrambi i settori. Democrazia politica e controllo collettivo dei mezzi di produzione insieme stanno e cadono. Libertà formali e libertà sostanziali sono inseparabili".

Dewey proseguiva, ricordava Borghi, sottolineando l’importanza del fattore economico, ma insieme la problematicità dei molti fattori interagenti: "L’accentuazione del peso del fattore economico si accompagna all’approfondimento della visione interattiva e transattiva nei saggi del 1933. La prevalenza dell’economia è un dato dello stato presente dello sviluppo sociale. La posizione del Dewey nei confronti del problema del rapporto tra i valori rimaneva quella che egli stesso denominava ‘relativistica e pluralistica’. Essa sostiene l’esistenza di molteplici fattori tra loro interagenti, ‘tra i quali molto importante è quello economico’. Respinge ‘la posizione assolutistica’ risultante dalla collocazione in posizione isolata di un solo fattore e dalla sua considerazione come supremo (…). Scriveva nel secondo dei saggi del 1933 che ‘il grande problema della società è quello di combinare un massimo di differenti valori, conseguito promuovendo il libero gioco del gusto e delle capacità individuali, con un minimo di frizione e di conflitto’.

"Il carattere problematico dello sperimentalismo vieta l’erezione ad assoluto di qualsivoglia valore".

Quello scritto di Dewey in collaborazione con Childs, parte in realtà di un volume collaborativo curato da William H. Kilpatrick col titolo appunto di Educational Frontier, mostra la capacità del filosofo di rispondere con penetrante puntualità alle esigenze del momento storico, ma sempre conservando e confermando le coordinate generali del suo pensiero e del suo metodo di indagine, ispirati a spirito scientifico e a prospettive di sviluppo democratico, con un orientamento di coordinazione positiva, emancipatrice e aperta tra le diverse istanze e componenti dell’esperienza.

4. Importanza dell’incontro tra studiosi americani, italiani e europei

Ma un altro grande merito del Convegno cosentino è stato a nostro avviso proprio l’incontro inconsueto, pur con la partecipazione di rappresentanti di altri paesi, tra i ricercatori più impegnati nello studio di Dewey degli Stati Uniti, ove intanto sono apparse l’edizione critica della sua fitta produzione e alcune importanti biografie deweyane (cfr. Spadafora, 1997) e del nostro Paese: un confronto importante che allarga l’orizzonte e meglio permette di cogliere la dimensione mondiale, e le valenze generali relative, del Maestro di Burlington.

Qui l’incontro con l’ambiente della cultura, della filosofia e della pedagogia di Dewey non è stato quello del soggiorno americano, quale fu determinante e decisivo quello mettiamo di Borghi e di Visalberghi, o lo studio, la traduzione, il commento, l’interpretazione delle opere deweyane, come è accaduto ad esempio ancora nei tempi recenti in particolare per i testi maggiori o minori come per le nuove edizioni italiane di Democrazia e educazione, Arte come esperienza, Rifare la filosofia. A Cosenza si è trattato, invece, di un dialogo, un dibattito faccia a faccia tra studiosi dell’autore de La ricerca della certezza di vari paesi, e in particolare americani e italiani. I vantaggi reciproci che ne possono essere derivati sono evidenti, permettendo agli studiosi degli Stati Uniti di controllare il tipo di recezione e interpretazione del pensiero deweyano che ha luogo in Europa, e in particolare in Italia, che ha promosso il Convegno, e a quelli italiani di vivificare la propria riflessione su Dewey alla luce delle fonti e dei centri più documentati e specializzati d’oltre Oceano del suo pensiero.

5. La complementarità dialettica attualità-storicità e Dewey nella cultura spagnola

Accanto però ai meriti dell’attualizzazione di Dewey e dell’incontro diretto tra suoi studiosi americani e italiani un altro ci sembra aver caratterizzato il Convegno dell’Università della Calabria: quello di aver cercato di ricostruire la fortuna di Dewey nei suoi passaggi in diversi paesi europei. Un terreno fin qui poco dissodato ma invece molto importante anche per capire nel loro riverbero gli sviluppi del clima politico-culturale dei diversi ambienti.

Qui siamo al polo opposto a quello della rispondenza ai bisogni odierni di Dewey della sua storicizzazione, Luciana Bellatalla preferisce dire della sua "contestualizzazione". Ma si tratta di una complementarità dialettica: attualità e storicità si supportano reciprocamente e la loro integrazione sgombra il campo così da mitizzazioni retoriche come da letture troppo restrittive e relativistiche. La "lunga durata" della eredità di Dewey passa attraverso la registrazione delle riduzioni e dei fraintendimenti che hanno accompagnato il suo passaggio, condizionato dagli ostacoli delle avverse condizioni politiche e tradizioni culturali. Ma è proprio nella risposta articolata a questi che si confermano le radici profonde e non divelte del suo pensiero e quindi la sua attualità. Così come l’ispirazione teorica e pratica della democrazia, e la proposta ad essa ispirata dell’educazione si scontrano con resistenze, opposizioni, fraintendimenti di comodo e contingenti dei vari ambienti e dei vari periodi, ma poi si ripropongono nelle loro istanze di fondo ispiratrici nella riemergente esigenza di una società ordinata all’insegna della libertà.

Così ad esempio l’interessante relazione dello spagnolo Jaimie Nubiola sull’influenza deweyana in Spagna e in Sud America ha accuratamente lumeggiato l’ingresso di Dewey nella cultura spagnola nella Spagna liberale e democratica del periodo pre-franchista. E’ nel 1915 che viene tradotta Scuola e società con introduzione dell’ "educador avanzado" Domingo Barnés (Barnés, 1915). Il mio credo pedagogico è tradotto in catalano nel 1917. Varie altre traduzioni di opere di Dewey hanno luogo tra il 1926 e il 1929. Si diffonde la conoscenza del pragmatismo, giudicato il modo americano di considerare la verità, in cui Dewey è egemone. Nel nome di Dewey si diffonde l’idea del valore di un’educazione realizzata attraverso l’azione e centrata sull’allievo. Guardano molto a Dewey i promotori delle "scuole nuove" spagnole, che partono dalle inclinazioni del bambino e mirano a riformare la società attraverso la scuola. E’ in questa prospettiva che viene creata la Instituciòn Libre de Ensenanza, delle cui vicende si è particolarmente occupato nel 1957 Lorenzo Luzuriaga immigrato in Argentina dalla Spagna (Luzuriaga, 1957).

Durante la guerra civile, nel 1939 Dewey con Hook e altri forma un Comitato per la Libertà della Cultura che condanna le dittature sovietica, nazista, fascista, nipponica nonché spagnola. Con la vittoria di Franco, che stronca l’attenzione per Dewey in Spagna, da questo Paese fuggono vari suoi specialisti, che promuovono il suo studio nell’America Latina. Dewey del resto è stato più volte negli anni Venti in Messico, e nel 1937 come coordinatore della Commissione d’Inchiesta per l’assassinio di Trotsky.

Ma anche qui si registra, dopo un iniziale successo, con la traduzione di testi di Dewey con introduzione dei curatori spagnoli e una sua buona penetrazione nelle scuole, ben presto la sua eclissi. Così ad esempio ha risonanza nel 1964 la traduzione in lingua spagnola a Buenos Aires dell’aspra critica di Wells in chiave marxista del 1954 del pragmatismo come "filosofia dell’imperialismo" (Wells, 1964). Un tipo di accusa che aveva intanto largo corso in Europa e in Italia. Dewey, mentre da un lato è accusato di essere portatore dell’egemonia politica americana, dall’altra è condannato dalle dittature come sostenitore di una prospettiva democratica. Chiusure e ostracismi ideologici e politici hanno spezzato la diffusione del pensiero di Dewey.

Mentre la Spagna è tornata alla libertà, in America e in Europa vi è stato con nuove letture un rilancio del pragmatismo. In tal modo, ha concluso Nubiola, anche in Spagna vi è stata ed è in corso una rinascita per la filosofia, la pedagogia, la prospettiva civile di Dewey, considerato uno dei filosofi più innovativi del XX secolo.

6. L’entusiasmo per Dewey nell’Italia liberata

L’esempio delle vicende spagnole è molto significativo, e ha indotto a rilevarne le analogie con quelle italiane. Quasi contemporaneo l’avvio delle traduzioni e dell’interesse, legame nel periodo liberale del suo pensiero pedagogico alle esperienze di "educazione nuova", chiusura per il suo pensiero nel periodo della dittatura (anche se realizzata in Italia in maniera più morbida), ripresa deweyana col ritorno della libertà.

Salvo che qui vi è una notevole differenza. Questa ripresa (e insieme scoperta) non fu graduale e moderata in Italia, ma di grandissimo, appassionato entusiasmo. La recezione della lezione di Dewey, promossa dopo la Liberazione da Ernesto Codignola con la continua pubblicazione delle sue opere tradotte presso La Nuova Italia Editrice e sostenuta dal gruppo della "scuola di Firenze" facente capo alla rivista diretta dallo stesso Codignola "Scuola e Città" (cfr. Cambi, 1982), fu fervida e calorosa. A lui si richiamavano Borghi, Visalberghi, Laporta, De Bartolomeis, Corda Costa, Santoni Rugiu, Tornatore, Coèn, Pettini, D’Alessandro, Zangrilli e tanti altri, muovendo con appassionato fervore, all’insegna di Dewey, ma con gli opportuni ritocchi, alla ricostruzione di una pedagogia democratica non provinciale.

E siccome la definizione dei principi, sia pur concreti e operativi, non poteva bastare, pedagogisti e educatori ispirati a Dewey si rimboccarono le maniche e si impegnarono nella effettiva e minuta attività didattica ispirandosi alle determinate e insieme aperte "tecniche Freinet", permeate da una pratica di "cooperazione educativa". Freinet era com’è noto un maestro e pedagogista francese marxista, ma la simbiosi tra la pedagogia progressiva dell’autore di Democrazia e educazione e quelle tecniche, di gusto interpersonale e artigianale e aperte alla sperimentazione, fu perfetta, nell’operatività di quel gruppo di "terza forza", laico e democratico e in qualche modo liberalsocialista.

La mediazione tra Dewey e Freinet non fu dunque solo di Bruno Ciari, a ragione ben ricordato dalla Bellatalla; il quale ebbe "sul campo" pure il merito di tentare la conciliazione della pedagogia di Dewey con quella di Marx e di Gramsci. In effetti fu l’intero gruppo di "Scuola e Città", come abbiamo potuto vedere consultando il sostegno a favore della "cooperazione educativa" dei collaboratori della rivista (Cives, 1999), a impegnarsi direttamente in quelle tecniche, prendendo parte al movimento associativo relativo.

Ma sull’esempio di Dewey, l’impegno dei "deweyani" italiani del dopoguerra non fu soltanto rivolto, oltre che alla definizione di una scienza dell’educazione, legata sia alla filosofia come alle nuove scienze umane, alla realizzazione di forme nuove di "scuola attiva" (indicativo il largo spazio dedicato a Dewey da E. Codignola in un suo fortunatissimo libretto sulle vicende delle "scuole nuove": cfr. E. Codignola, 1946), ma fu dedicato anche alle battaglie della politica scolastica: per la difesa e lo sviluppo della scuola statale, per la riforma scolastica, in particolare per il periodo 11-14 anni, per la realizzazione dell’autonomia e della collegialità nell’amministrazione scolastica, fin lì così rigida e piramidale, e così di seguito.

Fu quello un periodo di grande slancio e di grande tensione. L’ispirazione deweyana sostenne una esemplare battaglia civile e scolastica per il rinnovamento democratico del Paese. Una battaglia che diede anche i suoi frutti (basti pensare al varo della nuova scuola media unica e più tardi della scuola materna statale), ma che nel complesso si concluse nella sconfitta. I deweyani erano sempre più incalzati da un lato dai cattolici che accusavano il pensiero a cui si ispiravano di "contingentismo", "naturalismo", "sociologismo" (e al Convegno di Cosenza Giorgio Chiosso ha ricordato con grande chiarezza le critiche a Dewey in tal senso sul piano europeo di De Hovre, Maritain, Corallo). Da un altro lato si inasprivano le accuse dei marxisti, nel clima della guerra fredda, di essere Dewey portatore del modello egemonico americano e legato a una sterile visione interclassista e riformista, non disponibile a una prospettiva rivoluzionaria. Di fatto poi l’egemonia politica e il governo della "Minerva" erano ormai in salde mani democristiane e i conati innovatori laici e radicalmente riformatori venivano spezzati. Basti vedere la rapida sostituzione dei programmi delle elementari del 1945 dell’allievo di Dewey Washburne (cfr. White, 1989; Sarracino, Piazza, 1998), segnati da un chiaro orientamento attivistico, con quelli Ermini del 1955 (cfr. Cives, 1956), che nel richiamo di copertura al neokantiano Hessen sostituivano alla ragione l’intuizione, la fantasia, il sentimento, all’autogoverno il pathos familistico, alla scuola dell’esperienza intelligente quella della "tradizione umanistica e cristiana".

Il movimento – così potremmo anche chiamarlo – del richiamo a Dewey, pur se nutrito e di significativa qualità, rimase comunque di minoranza. Scrisse una pagina gloriosa, ma fu presto spezzato, nel suo riformismo civile e perseverante, dall’esplosione della Contestazione, dalla fortuna del tecnologismo fine a se stesso, dalla caduta poi della passione civile. Nelle vicende non solo della "fortuna" di Dewey in Italia, ma anche in generale della vita culturale, civile e educativa del nostro Paese l’azione tecnica e pratica liberamente ispirata dal suo pensiero, nel periodo dalla Liberazione alla fine del centro-sinistra, rimane memorabile e di grande suggestione.

7. La relazione cosentina della Bellatalla

E proprio del richiamo a Dewey nell’Italia del dopoguerra ha parlato nella sua penetrante relazione al Convegno di Cosenza Luciana Bellatalla, collaboratrice di Borghi in varie ricerche deweyane, in uno spirito affine a quelle delle nostre notazioni. Ricordiamone alcuni spunti specifici. Muovendosi anche lei tra "contestualizzazione" (alla cui necessità si è con forza appellata) e prospettiva di sviluppo, la studiosa ha parlato della forte tendenza all’unità del pensiero di Dewey, pensatore sistematico ma insieme in modo nuovo sistemico, e aperto a una dimensione di complessità, legata a quella della transazione, che è stata a suo tempo acutamente segnalata da Visalberghi, e che si presenta come sfida, scommessa per il futuro. Unità vuol dire saldatura (troppo spesso trascurata) tra didattica e pedagogia, pedagogia e filosofia, filosofia, scienze sociali e vita civile. In questo quadro ha grande importanza la logica, che è stata invece da noi troppo spesso trascurata. Dewey rifiuta metafisica e apriorismo ed è ben disponibile invece a dimensioni di transazione, di mediazione, di problematicità.

In questo quadro ha grande rilievo, colla sua valenza di vitale stimolo critico, la dimensione del dubbio. Dubbio, sul piano conoscitivo, e rischio, potremmo aggiungere, sul piano della vita, che del resto si salda al primo, con una intelligenza che si adopra per risolvere i problemi esistenziali. In carattere con tutto questo nostro discorso, pensiamo di poter richiamare in appoggio una notazione ancora di Hickman (Hickman, 2000, p. 290), che ha osservato come "Dewey sostenne anche che noi non abbiamo nessuna garanzia di successo. Gli eventi naturali potrebbero porre termine alla vita umana e l’avarizia umana, l’ozio e l’errore potrebbero sortire lo stesso risultato. Il ruolo speciale degli esseri umani sulla terra consiste nello sviluppo e nell’uso della loro intelligenza: se l’intelligenza fallisce o è contorta, gli esseri umani avranno perso la loro nicchia ecologica. Non ci sarà nessun Dio a salvarci".

Tuttavia questa incertezza deve risolversi non già in rinuncia e disperazione, ma in perseverante indagine e paziente impegno intelligente. Infatti (p. 286) "faceva parte della visione di Dewey", impegnato sul piano civile contro la "forzata rimozione e detenzione di migliaia dei suoi vicini", la "sospensione delle libertà civili" e il "rogo dei libri", "che gli uomini e le donne responsabili lavorano per prendere il controllo di situazioni sterili e problematiche in modi che tendono a migliorarle e a renderle produttive, ed egli lavorò per mostrarsi responsabile".

La Bellatalla, in rapporto alle lotte sociali e alle lettura dei fenomeni politici, si è detta non convinta per nulla dell’accusa ricorrente di fonte comunista sulla non diretta conoscenza di Marx da parte di Dewey. Basti pensare, ella ha detto, che era in un rapporto di amicizia e collaborazione con Jane Addams, che aveva tradotto Marx. I fraintendimenti di Dewey hanno radice ideologica, e così non si è ben intesa e accolta come prima si diceva la sua forte istanza unitaria e la sua proposta di forte saldatura tra teoria e pratica, che potremmo anche tradurre di passato, presente e futuro.

In questo quadro la pedagogia non era per nulla dissolta, ma era invece posta nella sua autonomia scientifica, garanzia a sua volta di libertà, in un rapporto transattivo e aperto con le diverse altre scienze e le diverse realtà. La pedagogia era dunque sostenuta nella sua peculiarità, ma anche nella sua integrazione dinamica con gli altri aspetti del sapere e dell’essere sociale. Autonomia e interazione operativa erano così raccordate tra loro, in una prospettiva di sviluppo armonico dell’educazione, della libertà dell’indagine, della democrazia (e sull’esigenza del raccordo tra autonomia e mediazione nella pedagogia si confrontino anche le conclusioni di Cives, 1978 e il recente libro della Bellatalla su Dewey in Italia, di cui.stiamo per parlare).

8. Il recente libro della Bellatalla su Dewey in Italia

Questi temi e questi aspetti della "fortuna" in Italia di Dewey nel nostro secondo dopoguerra sottolineati dalla Bellatalla nella sua relazione cosentina sono stati sviluppati dalla studiosa nelle loro linee generali in un suo libro molto accurato del 1999, che riguarda anche i periodi della "lettura" deweyana italiana precedenti alla Liberazione e, oltre al suo successo dalla caduta del fascismo alla Contestazione, che aveva avuto come epicentro Firenze con la sua Università, con "Scuola e Città", con l’editrice La Nuova Italia, del declino che è seguito e che la studiosa colloca negli anni 1965-1975, e quindi della ripresa successiva dagli anni ’80 del suo studio e del suo rilievo, quasi in una sorta di "Dewey Renaissance". Ci riferiamo al documentato e molto attento volume di Luciana Bellatalla John Dewey e la cultura italiana del Novecento (Bellatalla, 1999).

Una ricostruzione, quella della studiosa pisana, dettagliata e avvincente della presenza di Dewey in Italia, e ricca di notevole interesse generale perché, come nota l’A., essa contribuisce a tracciare "una sorta di ‘autobiografia’ della pedagogia italiana" (p. 11), e vorremmo aggiungere della sua stessa società (da quella liberale a quella fascista a quella della ricostruzione democratica a quella della Contestazione extraparlamentare a quella tecnologica e problematica attuale), ed è l’occasione del suo confronto e approfondimento: perché, riporta la Bellatalla da Ragazzini (p. 157), "Dewey è stato ed è tuttora (…) il luogo della riflessione pedagogica contemporanea". Con lui si sono confrontati idealismo, pensiero cattolico, marxismo, pedagogia "critica" e laica, ricerca storico-educativa particolare, contestualizzata, epistemologia e ispirazioni utopistiche.

Il libro della Bellatalla è molto ricco di informazioni, filoni, suggestioni che meriterebbero un’analisi lunga e articolata. Limitiamoci qui a indicarne solo, quale esempio, qualche motivo e aspetto. Esso sul piano delle scansioni temporali è articolato in tre parti: "Dal 1900 al 1940", "Dal dopoguerra agli anni della contestazione", "Dagli anni della contestazione agli anni ‘80". E’ poi aggiunto un capitolo su "Dewey e la scuola" in cui è messo in particolare rilievo positivo Bruno Ciari, che, come abbiamo già ricordato, cercò di mediare e saldare strumentalismo e marxismo, teoria pedagogica e pratica didattica (e impegno politico-sociale progressista), Università e scuola. Anche se come già abbiamo notato l’impegno per la concreta azione didattica, nelle file soprattutto del M. C. E., fu dell’intero gruppo di "Scuola e Città".

Periodo pre-1945: la Bellatalla mostra come, da Aliotta a Banfi, la conoscenza delle opere di Dewey, oltre che di quelle minori pedagogico-divulgative, non sia mancata in Italia. Ma il risultato ricorrente era di una frattura tra filosofia e pedagogia, ridotta per di più quest’ultima a didatticismo spicciolo (viceversa così carente in Dewey). Così mettiamo Giuseppe Lombardo Radice dice che nella sua metodologia "Dewey è grande" ma riduce anche lui il suo apporto a un portato puramente didattico (cfr. Cives, 1983, pp. 17-54).

Per l’esplosione di Dewey nel dopoguerra la Bellatalla mette giustamente in rilievo l’importanza di due deweyani autorevoli e fedeli, rimasti tali fino ad oggi, Borghi e Visalberghi, restato il primo soprattutto legato ai temi del valore dell’individuo, dell’aspirazione all’armonia e alla pienezza anche con venature utopiche e all’attenzione agli scritti etico-politico-educativi anche minori deweyani, attento particolarmente il secondo agli aspetti logici, epistemologici, scientifici del pensiero di Dewey. Giusto rilievo viene dato al tentativo, in ambito fiorentino, di costituire una pedagogia come scienza: un argomento sempre attuale, al quale oggi si aggiunge, ricorda la Bellatalla, quello di costituire anche una didattica come scienza.

Di fronte al gruppo dei laici liberamente deweyani (non va dimenticato che la posizioni di Dewey pur nella sostanza accettate erano oggetto di critiche e integrazioni) vi era il fronte dei cattolici, consapevoli della loro irriducibile diversità dal suo pensiero, ma pur disponibili al concreto terreno didattico, e soprattutto quello compatto (salvo alcune più morbide posizioni: come fu il caso di Preti, di Fergnani, di Papi) dei marxisti e comunisti, animati da forte e datato spirito ideologico antiamericano (cfr. al riguardo il penetrante studio dello scolaro di chi scrive, qui citato coll’opportuno rilievo, Morgante, 1988).

Il periodo della Contestazione, con le sue velleitarie fughe in avanti pseudo-rivoluzionarie, significherà opposizione o disinteresse per Dewey, per le sue pazienti opzioni riformatrici e mediatrici. Gli anni vicini dalla fine della Contestazione ad oggi hanno visto e vedono un serio e approfondito interesse per Dewey, che vuol rilevare i suoi positivi collegamenti con altre posizioni scientifiche e il suo possibile apporto positivo (cfr. Hickman) a un inserimento delle tecnologie sempre più in espansione in un allargato contesto culturale, recuperando ampie prospettive e estesi orizzonti, oggi viceversa sempre più trascurati e dissociati.

Interessante in questo capitolo l’invito dell’A. a non sottovalutare l’opera di Dewey Come pensiamo, testo accessibile ma insieme "complesso", denso, intreccio di prospettive logiche e educative. E giusto il richiamo a non dimenticare che oltre all’edizione del 1933 v’è anche quella del 1910, non solo mai tradotta ma neppure presa in considerazione. Pur riconoscendo il grande rilievo di Logica teoria dell’indagine sarebbe importante rilevare l’interesse di quello scritto, di quasi venti anni prima.

9. L’attenzione per Dewey segnale della disponibilità democratica

Segnato da una forte insistenza sull’istanza di "contestualizzare" Dewey, come del resto – è qui ricordato – hanno sempre voluto anche Borghi e Visalberghi, sia pur guardando sempre a lui come a un Maestro straordinario di pensiero, di vita, di formazione educativa, il libro John Dewey e la cultura italiana del Novecento si conclude pur esso all’insegna dell’ "attualità" di Dewey, mostrando come il suo successo, o il suo accantonamento, sia la spia di una condizione di slancio o di crisi per la democrazia. L’ "attualità" affievolita di Dewey (con il suo accantonamento a livello diffusivo dalla crisi delle speranze del centro-sinistra ad oggi) è allora "anche l’inquietante segnale che il malessere della nostra democrazia, denunciato da Dewey negli anni ’30 di un secolo ormai al suo tramonto, non si è ancora sanato" (p. 202).

La situazione in cui ci muoviamo nel nostro tempo, già esaminata e vissuta da Dewey nel suo slancio illuministico, nella sua responsabile analisi di studioso sociale, nella sua aspirazione profonda a una saldatura tra "ideale" e "reale", "questo scenario sospeso tra utopia e complessità", conclude molto bene la Bellatalla (p. 211) "ci porta a considerare Dewey non come un filosofo del passato, ma come un nostro contemporaneo; la nostra ricerca non appare più una esercitazione accademica o erudita, bensì come un dialogo costruttivo e ricostruttivo della realtà circostante. Questo scenario, dunque – uno dei tanti possibili - propone una nuova sfida: non più solo leggere un autore, ma rimettere in discussione - attraverso quell’autore – il concetto stesso della nostra cultura, del nostro orizzonte di significato e del nostro (di uomini e non solo di intellettuali) rapporto con essa".

Abbiamo considerato per alcuni aspetti il rapporto di Dewey dal primo Novecento ad oggi con la cultura e la società soprattutto in Italia, con attenzione specialmente per la dimensione (del resto centrale in lui) dell’educazione, ricavando la convinzione ora ricordata del suo radicamento, sia nell’accettazione che nel rifiuto polemico, nella pedagogia moderna, ancorato a una visione sociale democratica e a una prospettiva culturale emancipatrice organica anche se non tradizionalista e non metafisica. Ci siamo soffermati in particolare a ricordare con ammirazione l’impegno per la appassionata diffusione del pensiero e della lezione di Dewey in una Italia da ricostruire, nelle sue strutture politiche, nella sua cultura aperta al sapere scientifico e al mondo, nelle sue scuole e nella loro ispirazione educativa e didattica, da parte di un gruppo laico e progressista anelante alla giustizia e alla libertà, dopo decenni di dittatura, di egemonia culturale idealistica ritardataria e unilaterale, di propaganda educativa bellicista e imperialistica, dissociata da una concreta e disponibile visione della realtà.

Abbiamo poi registrato, dal Convegno su Dewey di Cosenza alla recente densa ricostruzione della Bellatalla della diffusione di Dewey in Italia, le indicazioni di una ripresa dell’interesse, in Italia, in America e altrove, per lo studio del grande filosofo e pedagogista di Democrazia e educazione. Ecco, tutto questo è molto positivo e importante. Ma nel rilevarlo, non possiamo non auspicare che questo interesse si sviluppi, oltre un ambiente esclusivamente universitario, facendosi anche diffusa tensione etica e pedagogica, a favore di un nuovo sviluppo della democrazia, superando disinteresse, delusioni, scivolature individualistiche, meramente edonistiche e attenzioni unilaterali soltanto efficientistiche e tecnologiche. Posizioni in cui si è spento un orizzonte di tensione progettuale per una multilaterale crescita armonica umana e sociale.

In realtà siamo convinti, ora che tanti miti e teorizzazioni intolleranti son caduti e disponibilità nuove sono apparse, dal crollo del muro di Berlino al Concilio Vaticano II (ahinoi purtroppo quanto già dimenticato), e si pongono condizioni positive per lo sviluppo del dialogo e della collaborazione (che però tardano a svilupparsi, nella sostanza e oltre la facciata), che il successo o l’accantonamento di Dewey resti ancora un fondamentale segnale di disponibilità allo sviluppo effettivo o meno di un rilancio della democrazia. E noi che vogliamo che questo sviluppo abbia veramente luogo, è bene che non ci risparmiamo dal sostenere la espansione e l’applicazione di una forma di educazione progressiva che non dimentichi le grandi coordinate proposte da Dewey nel relativo contesto di cultura, di vita sociale e personale ispirato a ideali di giustizia e di libertà a cui egli si ispirò sempre più nel suo concreto operare.

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