La Mediazione PedagogicaLiber Liber

L'Albero della genitorialità
di Anna D'Andretta

2. Capitolo I Ruolo e Funzione dei Genitori

2.1 Genitori Responsabili

L’UE nel 1985, riconoscendo il figlio come soggetto sui iuris, ha attribuito ai genitori la responsabilità parentale, ossia il dovere di essere genitore che va a sostituire il precedente concetto di patria potestà, ovvero il potere dei genitori sui figli.

Responsabilità parentale significa che i genitori sono chiamati ad essere adulti e a valere come esempi, positivi e propositivi, di identificazione, per i propri figli. Si tratta, quindi, di abbandonare comportamenti arbitrari e dittatoriali, espressioni della mentalità secondo cui il figlio è mero prolungamento del genitore. Al contrario, bisogna adottare l’autorevolezza necessaria per instaurare relazioni autentiche di fiducia e di stima e non di semplicistica esecutività e subordinazione. Il figlio, infatti, non è più da considerare un piccolo adulto, ma un soggetto che ha diritto a cure affettive, ad attenzioni utili per la sua crescita e ad una formazione globale atta a consentirgli l’individuazione e la conseguente autoregolamentazione per l’inserimento nella società complessa.

I genitori possono gettare le basi dell’individuazione quando riescono a consentire ai propri figli la "nascita" psicologica, ovvero la capacità di separarsi, dalla madre prima e dal padre poi, riuscendo a crearsi un proprio modello di vita. Questo, tipicamente individuale, è la risultante di ciò che è stato seminato, della qualità del terreno, degli agenti atmosferici e, naturalmente, di come e quanto è stato raccolto. L’infanzia, infatti, per Jung è un "viaggio verso l’indipendenza", che si attua attraverso la separazione ed il superamento delle proprie radici. Tale distacco avviene mediante uno stato di abbandono alquanto doloroso. Vivere questo stato di abbandono richiede una forza che solo i due genitori possono assicurare con un’azione di contenimento e di sostegno.

La responsabilità, inoltre, implica la distinzione dei ruoli tra genitori e figli: i genitori devono sottolineare la propria funzione educativa e non solo quella banalmente amicale, per assicurare ai figli il riferimento indispensabile per crescere.

Fernando Savater commenta la grave confusione attuale dei ruoli operata dai genitori e dice che: Essi si rifiutano di assumersi la responsabilità del mondo in cui hanno introdotto i propri figli.[1]

La trasformazione da patria potestà a responsabilità parentale è altresì il frutto dell’evoluzione culturale del concetto di genitorialità.

La responsabilità è condivisa da entrambi i genitori in virtù della rivalutazione culturale e pedagogica dei due ruoli. Tali ruoli non sono più rigidamente connessi ai due sessi, ma si completano anche con la reciproca interscambiabilità e complementarietà, facendo comunque attenzione al processo di identificazione e alla chiarezza dei confini e delle regole concordati tra i due.

Winnicott ci ha trasmesso che il mestiere di genitore nasce in una coppia quasi per gioco; solo col tempo essi comprendono le difficoltà che il ruolo comporta. La coppia per divenire genitore deve essere consapevole di avviare un nuovo processo che si distingue, anche se si intreccia, da quello coniugale. Il processo genitoriale comincia con il concepimento, si evolve e si trasforma con lo sviluppo del figlio, scandendo le varie fasi del suo ciclo di vita, il quale, a sua volta, si interseca con quello familiare. Tale processo non coinvolge la personalità di uno solo dei coniugi, bensì investe entrambi i genitori con la loro relazione e quella del figlio. La genitorialità diventa così una funzione molto complessa alla cui costruzione contribuiscono sia il genitore che il figlio, e sicuramente attiene alla coppia dei genitori e non ad uno solo di essi. [2]

Questa funzione attiene solitamente alla coppia, ma non è sempre così, in quanto può essere svolta anche da altri membri appartenenti o rientranti nel nucleo:

Essa è sia una funzione della mente che l’espressione dell’interazione tra due o più persone solitamente (ma non sempre) identificate nella coppia dei genitori nell’ambito di una famiglia nucleare.[3]

L’essere genitori richiede altresì la consapevolezza che tale funzione - la genitorialità - investe un’area interna ed una esterna.

L’area interna riguarda i modelli genitoriali introiettati dai rispettivi coniugi, nonché le loro parti infantili che ritrovano nel figlio.

L’area esterna è invece rinvenibile nel rapporto complementare esistente tra i coniugi e nella capacità di modificarsi con la crescita del figlio e con le diverse risposte che questi invia.

Il modello genitoriale di una coppia non funziona sicuramente come quello di un’altra, né può rimanere costante e rigido man mano che il bambino cresce: le esigenze cambiano e le risposte e le attenzioni devono essere rivisitate e modificate, talvolta anche in tempi molto veloci, onde evitare l’arresto della crescita o fratture difficilmente recuperabili.

E’ importante precisare che la genitorialità si esprime sulla base della capacità relazionale ed affettiva costruita dalla coppia che trasmette poi al bambino.

L’organizzazione affettiva e la rete di relazioni ad essa connessa rappresentano infatti una delle più importanti fonti della costanza del Sè dando continuità alla nostra esperienza nonostante tutti i cambiamenti e le ripetute trasformazioni a cui si va incontro nel corso dello sviluppo.[4]

Un altro elemento auspicabile della genitorialità responsabile è che i genitori imparino a distinguere il figlio reale dal bambino idealizzato dalle loro fantasie, dai loro bisogni e dalle loro aspettative. Questa distinzione è importante non perché si possa o si debba eliminare il bambino fantasticato, ma perché la consapevolezza di quello reale permette un adattamento e delle garanzie pedagogiche coerenti e rispettose delle diverse fasi evolutive del figlio.

Il processo genitoriale non si declina come quello coniugale in quanto, mentre nella coniugalità la dimensione dell’affettività è data dalla distinzione, prima, e dall’unificazione, poi, degli opposti maschile e femminile, nella genitorialità la rappresentazione simbolica dell’affettività si esplica nel ruolo materno ed in quello paterno che garantiscono e definiscono la crescita e lo sviluppo individuale del bambino.

La genitorialità ha, dunque, un obiettivo: la crescita e la formazione fisica, psichica e sociale di un figlio, seguendo un preciso progetto che va definendosi nel tempo.

La coniugalità, invece, persegue l’elaborazione dell’idea mentale di coppia,

[…] intesa come la rappresentazione di una serie innumerevole di coppie che ci hanno preceduto o ci circondano e che potremmo anche definire […] il senso del noi.

Esso presuppone anche una capacità di essere in coppia intesa come capacità d’innamorarsi e successivamente di sostenere una relazione affettiva continuativa, e una capacità di mantenere l’intimità con un’altra persona senza essere confusa con l’altro.

Sul piano interazionale questo termine mi sembra definisca piuttosto la natura e la qualità della relazione complementare tra due persone.[5]

Anche il processo coniugale si configura, dunque, come un progetto in evoluzione. Così un uomo e una donna, dopo essersi costituiti in coppia, sognano di avere dei figli eccezionali. Essi cercano di renderli tali educandoli alla voglia di conoscere, predisponendoli al processo di individuazione, quasi come i punti e i colori dei dipinti di Mirò che si evolvono in diverse forme originandone delle nuove.

2.2 La Funzione Paterna

Nel passato il padre era […] il signore incontrastato e incontrastabile del potere economico e di quello esecutivo.[6] Egli infatti impartiva direttive, trasmetteva valori, assegnava compiti; era il signore della guerra, trasformava […] la casa in una caserma, un luogo cioè dove i figli imparavano a credere, obbedire e combattere senza tanto discutere.[7]

Il padre tiranno introiettava norme ed informazioni esprimendosi dall’alto senza investire la propria persona nella relazione educativa. Aveva dunque una funzione direttiva e annullava, per ignoranza e disinteresse, il ruolo pedagogico che avrebbe dovuto essergli proprio.

Una figura emblematica della letteratura teatrale è rappresentata dal padre-capitano, protagonista de "Il padre" di Strindberg:

Capitano: Stando alle leggi in vigore, i figli devono essere educati secondo le idee e le convinzioni del padre.

Laura: E la madre non ha nessuna voce in capitolo.

Capitano: No, nessuna; essa ha legalmente alienato i suoi diritti in favore del marito, in cambio dell’obbligo di essere mantenuta assieme ai figli. [8]

Negli anni ’60, il padre ha cominciato a rivedere la sua funzione e i suoi ruoli nella famiglia in virtù di una maggiore collaborazione, partecipazione e responsabilizzazione. Ha cominciato ad entrare nella funzione educativa vera e propria, sostenendo e orientando il figlio nel processo di familiarizzazione e integrazione con e nel mondo. Il nuovo padre ha scoperto, nel corso di questi anni, il piacere di condividere la nascita del figlio con la moglie, diventando così il custode del sogno di essere genitore, di vivere la paternità crescendo insieme ai figli e apprendendo anche da essi. […] Si è andato a collocare in una posizione molto vicina a quella tradizionalmente occupata dalla madre. [9]La "madre", in quanto elemento portante della nostra condizione psichica, non subisce trasformazioni dovute al tempo e alla storia, infatti le sue funzioni hanno il carattere dell’immutabilità; mentre il "padre", rappresentando […] la dimensione della coscienza e del limite, la dimensione della realtà concreta e storica, nella quale soltanto è dato all’individuo di vivere e operare[10], è soggetto a mutare la sua funzione ed il suo ruolo con i diversi momenti culturali.

Eppure, nonostante negli ultimi decenni si stia delineando l’importanza della figura paterna sullo sviluppo dei figli, pochi studi sono stati effettuati sulla sua funzione soprattutto nella fase preedipica, quando questi determina la qualità della relazione bambino-madre.

Dalle osservazioni di Greenacre (1966), di Abelin (1975) e di Mahler (1975), si evidenzia che il bambino avverte la presenza del padre già nei primi mesi di vita. La qualità del ruolo dipende, però, dal temperamento dei singoli genitori, nonché dalla loro relazione.

Comunque, il riconoscimento precoce del padre comporta che la discriminazione dei genitori in due entità distinte si verifica contemporaneamente ai processi di attaccamento e di separazione relativi alla madre. Il padre deve essere attivo e deve inserirsi tra madre e bambino quasi a sollecitare una presenza del mondo che sta al di fuori della loro relazione. Insomma, l’importante passaggio dall’interazione a due all’interazione a tre deve essere considerato come un fenomeno molto precoce. [11]

D’altronde, lo stesso Samuels definisce quei pazienti in cui il padre è stato assente, "semivivi". La presenza del padre, come è stato già detto, è indispensabile al fine di contenere emotivamente la sofferenza necessaria, dovuta alla separazione dalla madre. L’assenza del padre, infatti, impedendo al figlio di avviarsi verso il processo di individuazione, è la causa principale di un’unione illusoria di quest’ultimo con la madre; essa è causa perciò di una "nascita" incompleta del figlio, ovvero di una sua impossibilità a separarsi-individuandosi. Il padre assolve così alla funzione di mediazione, di negoziazione emotiva, collocandosi tra il legame primario del figlio con la madre, caratterizzato dall’onnipotenza e dal narcisismo infantile, e l’accesso allo sviluppo dell’identità del figlio stesso. A questo punto anche il padre svolge una funzione di rispecchiamento emotivo, quindi psicologica, rappresentando il cosiddetto "padre interno". Quest’ultimo, secondo Samuels, assolve ad alcune funzioni di fondamentale importanza:

1) la questione dell’autorità personale e sociale;

2) l’evoluzione degli ideali e dei valori;

3) lo sviluppo della sessualità e dell’identità sessuale;

4) il ruolo culturale e sociale. [12]

La relazione tra padre e figlio si caratterizza anche sulle aspettative di quest’ultimo che il padre deve essere in grado di cogliere e soddisfare. Tale necessità viene garantita quando il padre riesce a dare risposte congrue a tali attese, esplicite e non, ovvero quando accoglie anche le richieste che si differenziano dalle sue proiezioni e desideri che ha per il figlio stesso.

Il padre, essendo il primo amore mentale e spirituale del bambino, acquista un’ulteriore importanza nelle fasi più avanzate della sua crescita, rappresentando il principio del "logos", cioè del potere e della fonte di autorità.

L’autorità del principio paterno è molto importante nello sviluppo del figlio, sia durante la fase anale (quando è impegnato nel dilemma dell’obbedienza e dell’autonomia) che al momento delle dinamiche conflittuali edipiche e della formazione del Super-Io. Tuttavia, nell’affermarsi della forza dell’Io, tale principio riveste un significato diverso a seconda del sesso del bambino.[13]

Il figlio maschio, quando ha rafforzato l’Io al punto da potersi separare dalla madre, si avvicina al padre al fine di identificarsi con lui. Il modo in cui il figlio percepisce l’immagine paterna contribuirà e determinerà, a sua volta, il suo ruolo di padre e di uomo. La figlia, invece, pur rinforzando l’Io, non può completamente separarsi dalla madre, in quanto è con essa che deve identificarsi. La forza dell’Io del padre può essere dalla figlia familiarizzata e riconosciuta come una forza esterna e non interna alla sua psiche.

E’ chiaro che la forza dell’Io non debba evolversi separatamente dal Sé, poiché, solo la relazione tra queste due forze, […] può dare origine al sentimento di realtà e fondamento all’esistenza individuale.[14]

Nella psicologia della donna, il maschile, secondo gli studi junghiani, è rappresentato essenzialmente dalle figure del "padre" e del "briccone". Queste esprimono due parti diverse, a volte opposte del maschile:

Mentre il padre è, per l’appunto, il legislatore – e si fa quindi autore dell’ordine o perfino della repressione – il briccone è colui che infrange le norme ed è, pertanto, il rappresentante dei desideri istintuali.[15]

Il padre è in tal modo colui che protegge e si fa garante, al punto da divenire talvolta coercitore, dunque impositore di limiti; il briccone, invece, per la sua affascinante libertà espressiva, tende ad emancipare, con il rischio di sedurre avvalendosi dell’inganno.

Quando il figlio ha raggiunto una certa autonomia di pensiero, l’acquisizione delle norme e dei valori trasmessigli dal padre richiedono un’elaborazione creativa, una capacità di maturare un personale punto di vista, non necessariamente corrispondente a quello paterno. In questa possibile divergenza di opinione, si può sviluppare quello che Carotenuto chiama "uccisione del padre". Questa è una manifestazione della psiche, non un reale desiderio di morte; è quindi quel vissuto necessario che spinge verso l’"individuazione".

E così la "legge del padre" deve contenere in sé la possibilità della ribellione. Le leggi mutano nel corso del tempo, e ciò che costituisce l’ideale per una generazione può non esserlo, e generalmente non lo è, per la successiva. Un padre che non comprenda la necessità di questa continua trasformazione non è in grado di dare al figlio un vero amore, e cioè di accettarlo anche in ciò che lo differenzia dal modello che egli ha preparato per lui. [16]

La figura paterna, riassumendo, si colloca tra il figlio e la madre (diade primaria) diventando simbolo di sicurezza, di protezione e di giustizia attraverso il sostegno e il contenimento affettivo ed emotivo. Il padre assume così la funzione di mediatore tra la diade madre-figlio e il mondo esterno, realizzando il vecchio adagio secondo cui la madre insegna ad amare e il padre a vivere[17]

2.3 La Funzione Materna

La maternità è un aspetto della femminilità che nessuna donna può ignorare. E’ un’esperienza insieme individuale e collettiva, espressione di un processo biologico, ma anche momento psicologico che coagula antiche esperienze, ricordi, desideri e paure. Il passato riaffiora, ed è un presupposto irrinunciabile per l’evolversi degli eventi futuri.[18]

Ne "La nascita psicologica del bambino", Margaret S. Mahler propone una sistemazione teorica delle ricerche compiute dal suo gruppo in campo infantile. Da queste ricerche si evidenzia che la nascita biologica del bambino anticipa quella psicologica. Fino alla quarta - quinta settimana di vita, il bambino si comporta come se stesse ancora, psicologicamente, nell’utero. Poiché non ha consapevolezza dell’agente di cure materne, ha esperienze vaghe e non ben strutturate. Questo periodo è definito di autismo normale: il neonato ha la sensazione di vivere uno stato primitivo di disorientamento allucinatorio. Nella fase appena enunciata, il bambino appaga i suoi bisogni nel mondo autistico, caratterizzato dall’onnipotenza.

Il secondo mese di vita segna il passaggio alla fase di simbiosi normale, in cui il bambino si comporta come se lui e la madre fossero un’unità onnipotente, avente lo stesso confine.

L’Io rudimentale (non ancora funzionante) del neonato e del bambino molto piccolo deve avere come complemento un rapporto emotivo di cure da parte della madre, una sorta di simbiosi sociale. E’ all’interno di questa matrice di dipendenza fisiologica e sociobiologica nei confronti della madre che si verifica la differenziazione strutturale che conduce all’organizzazione individuale per l‘adattamento: l’Io funzionante.[19]

Queste due fasi, di autismo e simbiosi normale, sono fondamentali per arrivare ad un regolare processo di separazione - individuazione, che costituisce la vera nascita psicologica. La separazione si ha quando il bambino riesce ad emergere da una fusione simbiotica con la madre. La individuazione, invece, si ottiene quando il bambino conquista le proprie peculiarità.

Questi processi evolutivi, con le loro diverse sottofasi, possono subire un ritardo o una accelerazione verso l’una o l’altra fase. Una madre iperprotettiva, ad esempio, che tende a dominare sul bambino, potrebbe ritardare la fase della differenziazione fra Sé e l’altro. Le sottofasi del processo di separazione - individuazione iniziano dai primissimi segnali di una differenziazione, e proseguono

[...] attraverso il periodo di assorbimento dei funzionamenti autonomi del bambino fino alla quasi completa esclusione della madre, successivamente attraverso il periodo importantissimo del riavvicinamento, nel quale il bambino, proprio per il fatto di percepire chiaramente il proprio stato di separazione dalla madre, è indotto a rivolgerle nuovamente la propria attenzione, e finalmente alla primitiva percezione di un senso di Sé, di entità e d'identità individuale, e gradualmente verso la costanza dell’oggetto libidico e del Sé.[20]

Come per Spitz la madre rappresenta l’Io ausiliario del bambino, così per la Mahler […] il "comportamento del tenere in braccio" del partner materno e la sua "preoccupazione materna primaria" nel senso di Winnicott costituiscono l’organizzatore simbiotico, che favorisce l’individuazione, la nascita psicologica.[21]

D. W. Winnicott studia lo sviluppo emotivo deI bambino attraverso la relazione madre-neonato. E’ da questa relazione che parte la crescita di ciascun bambino. Innanzitutto c'è una preoccupazione materna primaria: una madre ha la capacità e la propensione […] di far defluire l’interesse del suo proprio io verso il bambino.[22] In questa prima fase il neonato vive con la madre in uno stato di indifferenziazione legato al fatto che il piccolo è dotato solo di un Sè potenziale, il quale si avvia a comporsi e poi a identificarsi.

Sempre secondo Winnicott, in questo stadio iniziale, una madre sufficientemente adatta al suo ruolo svolge come funzione quella di:

- tenere in braccio;

- manipolare il bambino;

- presentare gli oggetti;

Winnicott, quando ci parla di madre naturale, si riferisce essenzialmente alla madre biologica perché […] la sua funzione per 1’appunto ‘è’ naturale: coinvolge il suo corpo e pertanto coinvolge il Sé in un modo speciale; collega il bambino alla sua stessa linea di vita, permettendole di identificarsi con quel bambino che è il suo.[23]

In contrapposizione Giovanni Bollea ritiene che l’identità della cosiddetta madre naturale, per poter svolgere efficacemente le funzioni che le competono, debba integrare tre elementi: istinto-cultura-tradizione.

Una madre siffatta si pone come controfigura del figlio che vuole dialogare e che esige la sua presenza anche quando non sono fisicamente vicini. […] Si sente, insomma, contemporaneamente sua schiava e padrona.[24]

Quando una madre tiene in braccio il proprio bambino, esplica la prima azione riguardante la funzione, più ampia, di contenimento.

Il contenimento, a sua volta, salvaguarda dai rischi fisiologici, rispetta le diverse sensibilità del bimbo, nonché la sua incapacità a cogliere altro esterno a sé. Tale funzione si svolge attraverso cure ed attenzioni, completamente individualizzate, in tutto l’arco del giorno e della notte, seguendo i vari cambiamenti del bimbo, anche quelli apparentemente insignificanti. La madre si porge al figlio con particolare dedizione facendogli avvertire la sua affidabilità, la quale non è universale per tutte le mamme, ma è una caratteristica delle singole personalità. Il figlio impara a riconoscere l'affidabilità materna e a ricercarla attraverso l’olfatto, lo sguardo, il tatto…

La funzione di contenimento, sempre secondo Winnicott, sarebbe circoscritta allo stato di fusione; in realtà il bisogno di sostegno dell’Io continua ad esistere e ad essere espresso anche con le altri fasi evolutive del figlio, compresa quella dell’essere adulto.

La funzione manipolatoria per essere efficace richiede che la madre sappia muovere e comunicare con il corpo del bambino in modo che questi impari a sentirlo e a riconoscerlo come proprio, come parte del suo Sé. Il bambino avvia con questa funzione l’integrazione psiche-soma.

La funzione di presentazione degli oggetti getta le basi per l’avvio delle relazioni da parte del bambino con il mondo in modo creativo e individuale. Arrivare alla percezione e alla costruzione di relazioni affettive significa che c’è stata una buona relazione primaria, quella madre-bambino. In questa relazione il bambino deve aver sperimentato e conservato il vissuto di onnipotenza, il quale deriva proprio dall’aver avuto la madre tutta protesa verso di sé. Quest’ultima deve essere capace di interpretare e soddisfare i bisogni e le esigenze emotive e fisiche del figlio, cercando, fra l’altro, di far corrispondere fantasia e realtà. Alla realizzazione del vissuto di onnipotenza, contribuisce la funzione di specchio che riveste la madre. Il bambino, guardando la madre, vede se stesso, quando questa è in grado di essere e di comunicare i suoi sentimenti. In altre parole la madre guarda il bambino e "ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge".

[…] Se il volto della madre è poco responsivo, allora uno specchio sarà una cosa da guardare ma non una cosa in cui guardare.[25]

La madre si pone, quindi, in questa fase come essere e non come fare attendendo che il figlio impari a fare.

Il bambino si avvia alla separazione materna quando gli vengono offerti, dalla madre, con attenzione e tempi da lui stesso dettati, elementi nuovi utili per una maggiore conoscenza e scoperta della realtà. E’ importante che l’appropriazione del mondo esterno e delle altre relazioni interpersonali avvenga gradualmente. Occorre, infatti, preservare una dose necessaria di illusione nel bambino per evitargli un impatto brutale e traumatizzante e per consentirgli di godere una reale vita immaginaria. La gradualità va inoltre rispettata anche dopo la primissima infanzia. Essa va sempre accompagnata, oltre che dalla presenza materna, anche dalla sua funzione contenitiva e dalla capacità di identificazione con il figlio. Tali funzioni di contenimento e di identificazione si manifestano, in modi diversi dalle forme primarie, quando il figlio è ormai fanciullo. Nel permettere la scoperta degli oggetti è importante concedere al bambino la possibilità di vivere sentimenti ed esperienze, quali la riconoscenza e l’accettazione del sacrificio che si cela dietro una conquista e dietro un ricevere dalla propria madre. Il bambino realizza così il concetto di amore come scambio, sollecitudine, richieste e dare.

Mi sembra che nella società umana qualcosa vada perduto. I bambini crescono e diventano a loro volta padri e madri ma, nel complesso, non crescono nella consapevolezza di ciò che le loro madri hanno fatto per loro all’inizio della vita. […] Senza un vero riconoscimento del ruolo della madre, rimarrà una vaga paura della dipendenza. Questa paura prenderà qualche volta la forma di paura della donna o paura di una donna, e altre volte prenderà forme non facilmente riconoscibili, che includono sempre la paura di essere sopraffatti.[26]

Anche Melanie Klein ritiene che lo sviluppo del bambino cominci con il primo rapporto oggettuale: il seno materno. Il seno è il primo oggetto che il bambino introietta e, questa prima relazione oggettuale, […] mette nell’Io arcaico radici abbastanza salde, viene posta una base solida per uno sviluppo soddisfacente. Fattori innati contribuiscono a questo legame. [27]Con la nascita il bambino sperimenta la prima angoscia persecutoria derivante dalla perdita della sicurezza totale data dall’essere stato nel grembo materno. Di questa sicurezza, conserva comunque il ricordo, e avvia così […] il doppio rapporto con la madre: il seno buono, il seno cattivo.[28] La condizione psicologica della madre, unita ad altri eventi, come ad esempio il parto, permette al bambino di interiorizzare prima il seno buono, poi la madre, nonché l’accettazione e il superamento dell’angoscia. Il seno non costituisce solo la fonte di nutrimento; è simbolo della disponibilità e della pazienza della madre, e rappresenta, inoltre, la continuità ed il legame con lei.

Il bambino nei primi sei mesi di vita, secondo la Klein, è investito dalla posizione schizoparanoide:

il superamento della posizione schizoparanoide e quindi gli oggetti buoni e cattivi, della confusione fra sé e non sé, dentro e fuori, necessita di una prevalenza delle esperienze buone su quelle cattive, tale da rendere possibile nel bambino lo sviluppo della fiducia nella propria bontà ed in quella dell’oggetto. [29]

Nei sei mesi successivi il bambino, attraverso una fortificazione dell’Io, comincia a distinguere il mondo esterno da quello interno: […] è questa la strada che porta all’integrazione dell’Io e dell’oggetto, tipica della posizione depressiva.[30] Diminuisce in questa fase anche l’angoscia persecutoria.

Tra queste due fasi il bambino impara a distinguere l’oggetto buono che intende conservare e quello cattivo su cui scarica i suoi impulsi aggressivi: l’identificazione dei due oggetti separati con il tempo sarà unificata. il bambino imparerà a riconoscere che l’oggetto è unico ed è lui che a volte lo percepisce come buono, a volte come cattivo.

Al centro della dialettica «posizione schizoparanoide - posizione depressiva» è collocato il senso di colpa, la cui elaborazione per la Klein,

[…] costituisce una tappa indispensabile per lo stabilirsi di relazioni adeguate con la realtà La sua utilizzazione, infatti, come segnale che ci avverte della potenza devastatrice del nostro odio interiore, e solo essa, permette di accostarsi alla realtà con amore e riconoscendone la dipendenza. E’ questa la base del più generale riconoscimento della realtà. Esso è segnato dalla possibilità di passare dall’invidia (odio) alla ‘gratitudine’.[31]

Se prevale il sentimento dell’invidia significa che il bambino ha perso il senso della gratificazione. Egli si sente privato di esso in quanto ritiene che il seno frustrante l’abbia conservato per sé.

Il bambino che possiede il sentimento della gratitudine, invece, ha interiorizzato il seno buono ed è perciò capace di affrontare momenti di invidia, rabbia e dolore senza rimanerne intrappolato. Quando questi sentimenti negativi sono transitori, il seno buono viene sempre riconquistato; ciò consolida il rapporto con l’oggetto e fortifica l’Io. E’ sempre il seno materno che, nel percorso di vita, rappresenta il punto di riferimento per la nascita di sentimenti di devozione e di amore verso gli altri. Il rapporto oggettuale con il seno getta le basi, inoltre, per lo sviluppo della creatività; il processo creativo, consentendo di cogliere gli aspetti positivi e dando inizio a creazioni nuove, si contrappone a quello distruttivo che produce l’inibizione intellettiva.

Nel rivoluzionario articolo I primi stadi del conflitto edipico, la Klein illustra la sua teoria circa l’insorgenza del complesso di Edipo entro il primo anno di età. Nello stesso articolo, introduce il termine pulsione epistemofilica: la pulsione epistemofilica, stimolata dalla comparsa delle tendenze edipiche, si rivolge dapprima principalmente al corpo materno, assunto a teatro di tutti i processi e le manifestazioni sessuali.[32] Se il conflitto edipico si risolve con il prevalere delle tendenze distruttive, la creatività, il piacere di conoscere e l’intelligenza possono essere pregiudicate in età adulta.

La funzione materna, per la Klein, si può racchiudere nella capacità di offrire, dall’infanzia alla vecchiaia, la possibilità di godere, di sublimare, e di amare. La vita comincia con il lieto rapporto madre-figlio che, nell’intero percorso dell’esistenza, attenua l’angoscia e l’odio, seguitando anche in vecchiaia a fornire sostegno e benessere.

Silvia Vegetti Finzi ci descrive la relazione madre-figlio come asimmetrica in quanto la madre esercita il suo potere. In teoria la madre è in grado di assumere questo potere, ma in realtà ella si sdoppia prima, in colei che custodisce, contenendo, i vissuti regressivi del bambino, poi, in colei che sostiene e rinforza il processo emancipatorio e di individuazione del figlio. Il connotato fondamentale di una madre, anche per la Vegetti, è, quindi, costituito dalla dedizione.

La dedizione materna, in quanto tende a soddisfare i bisogni e evitare i rischi, non incentiva direttamente l'autonomia, ma costituisce quella base sicura dalla quale il bambino può partire perché sa di potervi tornare.

[1] F.Savater, A Mia Madre, Mia prima maestra, Laterza, Bari, 1997.

[2] A. M. Nicolò Corigliano, Capacità di riparazione e genitorialità, in Interazioni, II Semestre 1994, n. 4, pag. 31.

[3] Ibidem

[4] D. Norsa, G. C. Zavattini, Psicodinamica degli affetti nella coppia genitoriale e relazione con il figlio: rappresentazioni e interazioni, in Interazioni, op. cit., pag. 63.

[5] A. M. Nicolò Corigliano, Capacità di riparazione e genitorialità, in Interazioni, op. cit., pag. 30.

[6] G. Pietropolli Charmet, Un nuovo padre. Il rapporto padre-figlio nell’adolescenza, Mondatori, Milano, 1995, pag. 118.

[7] Ivi, pag.120.

[8] J. A. Strindberg, Il Padre, Einaudi, Torino, 1991, pagg. 13-14.

[9] G. Pietropolli Charmet, op. cit. , pag. 121.

[10] A. Carotenuto, L’autunno della coscienza, Bollati Boringhieri, Torino, 1985, pag. 118.

[11] A. Samuels, IlPadre, Borla, Roma, 1991, pag. 35.

[12] Ivi, pag. 31.

[13] Ivi, pag. 215.

[14] Ivi, pag. 73.

[15] Ivi, pag. 202.

[16] A. Carotenuto, op. cit., pag. 115.

[17] G. Bollea, Le madri non sbagliano mai, Feltrinelli, Milano, 1997, pag. 20.

[18] P. Brustia Rutto, Genitori, una nascita psicologica, Bollati Boringhieri, Torino, 1996, pag. 155.

[19] M. S. Mahler, F. Pine, A. Bergman, La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino, 1984, pag. 79.

[20] Ivi, pag. 40.

[21] 1vi, pag. 81.

[22] D. W. Winnicott, La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando Editore, Roma, 1972, pag. 25.

[23] M. Davis, D. C. Wallbridge, Introduzione all’opera di D. W. Winnicott, Psycho di G. Martinelli, Firenze, 1994, pag. 115.

[24] G. Bollea, Le madri, op. cit., pag. 14.

[25] D. W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1979, pagg. 191 - 192.

[26] D. W. Winnicott, Dal luogo delle origini, Cortina, Milano, 1990, pagg. 125-130.

[27] M. Klein, Invidia e Gratitudine, Martinelli & C., Firenze, 1985, pag. 13.

[28] Ivi, pag. 14.

[29] A. Imbasciati, Introduzione alle Scienze Psicologiche, Utet, Torino, 1986, pag. 248.

[30] Ibidem.

[31] Ivi, pagg. 249-250.

[32] Cfr. M. Klein, I primi stadi del conflitto edipico, Scritti 1921-1958, Boringhieri, Torino, 1978.

[33] S. Vegetti Finzi, Volere un figlio. La nuova maternità fra natura e scienza, Mondatori, Milano, 1997, pag. 47.

 

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