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L'Albero della genitorialità
di Anna D'Andretta |
4. Capitolo III I Genitori di fronte alla disabilità (Un mosaico da scomporre e
ricomporre)
4.1
La Disabilità
LOrganizzazione
Mondiale della Sanità nel 1980, facendo proprio uno studio del prof. P. Wood, ha definito
tre termini inerenti alla condizione e agli effetti della minorazione: deficit, incapacità,
handicap.
Il
deficit è la mancanza permanente, ovvero unanomalia fisica, psichica o sensoriale,
che caratterizza la vita di chi ne è affetto.
Lincapacità
è la conseguenza di un deficit: limpossibilità di compiere determinate azioni in
completa autonomia. Essa talvolta assume dimensioni sproporzionate al deficit stesso, a
causa dei condizionamenti socio-culturali vissuti dal soggetto.
Lhandicap,
invece, è la risultante dellincontro tra lincapacità e il deficit con
lambiente socio-culturale e limmaginario collettivo. Si può, dunque,
considerare come la risonanza sociale del deficit e delle sue conseguenze.
Quando
si è disabili in qualcosa, ossia carenti e impossibilitati nelluso di una qualche
funzione, non si è necessariamente incapaci a svolgere qualunque attività.
Nella
realtà, però, lincontro con una persona con deficit scatena meccanismi inconsci
incontrollabili che prescindono dalle conoscenze acquisite. Tale condizione è collegata
ad una serie di stereotipi e paure che si sono perpetuati nel tempo investendo
limmaginario collettivo, che, a sua volta, può condizionare quello soggettivo. Ogni
deficit evoca fantasmi e fa affiorare le parti fragili del soggetto: ad esempio la
cecità, per Dostoevskij, rappresenta la disperazione; nellEdipo Re di Sofocle, la
punizione. La paura provoca così un radicale mutamento di coscienza, un allontanamento
totale da dove si era prima. Si attivano di conseguenza immediati comportamenti di blocco
e/o di fuga, quali meccanismi di difesa e non necessariamente di distruttività. E
chiaro che le persone che fuggono dal "diverso" hanno [
] personalità
assolutamente "collettive", che si uniformano in modo automatico a canoni
prestabiliti e socialmente accettati, [1]
persone, dunque, che hanno difficoltà a conciliare la dimensione dellesteriorità
con quella dellinteriorità.
Entrare
in relazione con una disabilità richiede un pensiero flessibile, una capacità di
avvicinarsi alla diversità senza entrare in crisi, dunque quella forza tipica di chi vive
anche il rapporto con il proprio inconscio. Il rapporto tra coscienza e conoscenza produce
infatti, per dirla con Sartre, sofferenza, attraverso la quale è possibile evitare o
contenere meccanismi di difesa.
Il
disabile, eccezion fatta per chi è gravemente incapace di cogliere i vissuti altrui, si
trova, molto spesso, a vivere esperienze relazionali che sottolineano la sua diversità,
al punto da indurlo al sentimento di esclusione. Questultimo è in parte già
connesso alla minorazione e, quanto più si accentua, tanto più esprime la distanza tra
sé e il mondo. In realtà, sempre secondo Carotenuto, è proprio nel maggiore senso di
inferiorità e debolezza che si attiva la ricerca dellaccettazione da parte degli
altri e la voglia di partecipazione.
La
disabilità, pur caratterizzando una persona e distinguendola da qualunque altra, non la
costringe a vivere fuori dalle reti affettive relazionali e sociali, anzi la spinge a
ricercare rapporti creativi ed evolutivi.
La
cultura occidentale ha sempre avuto il culto della diversità, esaltando le differenze e
le distinzioni; eppure la contemporaneità, fatta di razionalità ed efficientismo, tende
ad omologare, ritenendo le distinzioni una trappola mentale, a causa dellincertezza
e dellinstabilità in cui si è costretti a vivere.
Fino
a quando la nostra società continuerà a ritenere la diversità, quindi la disabilità,
un "male" da cui difendersi, significa che, da una parte, si continuerà a
reprimere la pluralità di espressioni individuali, dallaltra non si potrà
valorizzare un concetto come questo di Nietzsche: Le grandi epoche della nostra vita si
hanno quando noi abbiamo il coraggio di ribattezzare il nostro male come quel che abbiamo
di meglio.[2]
4.2
I Genitori di fronte alla disabilità
Ogni
coppia genitoriale, nellattesa della nascita del proprio figlio, vive emozioni
profonde intrise di fantasia e aspettative; costruisce lidea del bambino proiettando
i propri desideri il più delle volte inconsci. Il bambino, infatti, può essere più
facilmente accolto e riconosciuto come figlio quanto più la sua immagine reale appare
coerente con le aspettative dei genitori, che desiderano ardentemente rispecchiarsi in lui
e godere magicamente la corrispondenza fra le immagini fantastiche e quelle reali. Quando
invece si scopre che il figlio fantasticato è affetto da deficit, quindi ritenuto
handicappato, i genitori entrano in un circuito di vissuti angoscianti, frustranti e
luttuosi. Il mito del figlio sano e bello crolla e viene sostituito dallangoscia,
dovuta ai propri sensi di colpa, e dal timore di dovergli garantire solo assistenza, senza
la certezza che questi, un giorno, diventerà autonomo e capace. I sentimenti distruttivi
ed autopunitivi coinvolgono non solo il sottosistema coppia, ma tutto il sistema famiglia,
rendendolo a rischio. La crisi genitoriale si riflette sulla coppia che tende ad isolarsi,
ripiegandosi su se stessa o creando una frattura al suo interno. La reazione al deficit è
determinata sia da ciò che questo evoca e scatena nei due genitori (singolarmente o come
coppia), sia dalla qualità della relazione preesistente, sia dallinfluenza
esercitata dallambiente socio-culturale.
Il
sistema famiglia è chiamato ad una rivisitazione dellorganizzazione interna
ed esterna, dove le funzioni genitoriali necessitano di conoscenze nuove, di
capacità da sviluppare e sicuramente di un sostegno. Nellimmaginario dei genitori
devono entrare ed essere affrontati il fantasma-deficit e la funzione dello specialista.
Questultimo, se da una parte può svolgere la funzione di contenimento delle angosce
familiari, dallaltra ha lobbligo di informare, per quanto è possibile, sugli
effetti e sulle possibilità del deficit. Non sempre è possibile prevedere
levoluzione di un bambino affetto da minorazioni, così come non è possibile
ipotizzarla per qualsiasi altro. Lo sviluppo di un bambino affetto da deficit è
sicuramente anomalo, si differenzia da qualunque indice di riferimento che definisce le
tappe evolutive della cosiddetta "normalità". I genitori, di conseguenza, sono
obbligati ad assistere ad una crescita diversa, che, pur non soddisfacendoli, devono
comunque imparare a rispettare ed accettare. La presa di coscienza, sicuramente difficile
per la riorganizzazione dellimmaginario richiesta, porterà ad ammettere che a
ciascun figlio, indipendentemente dal deficit, è doveroso riconoscere uguali diritti ed
adeguate opportunità.
Lhandicap
è un evento che provoca una profonda e non sempre rimarginabile ferita
dellimmaginario genitoriale e comporta un difficoltoso e problematico adattamento:
ogni atto della vita quotidiana, ogni progetto della famiglia passa attraverso un punto
nodale rappresentato dal bambino handicappato.[3]
Il
carico emotivo e il peso della gestione quotidiana impongono ai genitori di rivedere le
fantasie costruite e le paure scatenate, in modo da scomporre il mosaico ideale, relativo
al loro ruolo e alle loro funzioni, per comprenderne le varie parti, includendo le nuove.
Attraverso lelaborazione del lutto e il superamento della ferita
narcisistica, si può giungere alla consapevolezza di poter ricomporre il mosaico. Lo
spazio disponibile è sempre lo stesso (famiglia), mentre la variabile tempo si dilata: la
quotidianità sembra prolungarsi e lattenzione per ciò che esula dal figlio si
riduce; il tempo considerato è solo quello immediato, mentre quello futuro si tende a
negare per allontanare la paura del "dopo di noi" (soprattutto nei casi di
minorazioni gravi).
I
genitori, in base al loro vissuto emotivo, possono attivare, nei confronti dei figli con
disabilità, meccanismi di:
-
iperprotezione derivante da difficoltà di assunzione dei ruoli;
-
ipostimolazione a causa di un allontanamento emotivo di uno di loro;
-
negazione o accettazione passiva del deficit;
-
tendenza alla fusione genitore-figlio;
-
distorsione dei ruoli genitoriali.
La
figura maggiormente coinvolta nella relazione col figlio è quella della madre che spesso
tende a mantenere un rapporto di fusione, di simbiosi, anche quando il figlio diventa
adulto: sembra che questa viva la stessa storia del figlio e attraverso questultimo
si esprima, trasformandolo così in unestensione della propria personalità.
La
figura paterna, invece, proiettata essenzialmente verso lesterno, o tende ad
accettare passivamente il deficit, avallando i comportamenti materni, o a negarlo,
distaccandosene completamente.
Al
figlio, a causa di questi atteggiamenti patogeni, non è concesso di avere una vita
propria, anche se con dei limiti e delle difficoltà imposti dal deficit. Questo contesto
relazionale è opportuno che si avvalga del sostegno psicoterapico per aiutare il nucleo
familiare a cogliere le dinamiche psicopatologiche che caratterizzano la vita interna e
che, perpetuandosi, limitano la crescita individuale del disabile e quindi la sua
integrazione.
I
genitori con figli disabili vivono frequentemente il sentimento di esclusione sociale e il
peso emotivo che ciò comporta. Talvolta basterebbe inserirli in un gruppo di auto-aiuto
guidato da un esperto che conosca i meccanismi relazionali scatenati dallhandicap in
una famiglia e che sia in grado di modellare il suo Io nel rapporto con i soggetti
interessati, senza però rimanerne eccessivamente coinvolto.
Le
diverse coppie genitoriali, negli incontri periodici, raccontandosi a vicenda le loro
esperienze, da una parte aiutano se stesse ad uscire dal senso di esclusione di cui sono
vittime, condividendo i loro vissuti con chi è capace di capirli; dallaltra
acquistano la forza per non arrendersi di fronte ai limiti del deficit e alla distanza
esistente tra la società e i propri figli, spingendoli così ad entrare nei diversi
luoghi delleducazione.
[1] A.
Carotenuto, op. cit. pag. 38.
[2] F.
Nietzsche, Al di là del bene e del male, trad.
it., Adelphi, Milano, 1982, pag. 76.
[3] P.
Chianura-A. Dellarosa, Aspetti relazionali nella
riabilitazione, in Integrazione, II Semestre
1996, n. 2, Omega Edizioni, Torino, pag. 59. |