La Mediazione PedagogicaLiber Liber

G. Cives, G. Genovesi, P. Russo (a cura di), I classici della pedagogia, Milano, Franco Angeli, 1999
di Paola Trabalzini

La riflessione sui classici della pedagogia, su definizione, ruolo, valore e finalità del "classico" e della sua lettura e continua ri-lettura, promossa dal CIRSE (Centro Italiano per la Ricerca Storico-Educativa) e svolta durante il seminario tenutosi a Cassino il 3 e il 4 dicembre 1997, prende ora corpo nel testo I classici della pedagogia che raccoglie nell’ordine le relazioni svolte durante le due giornate di studio, le tre comunicazioni che riguardano rispettivamente la posizione di Luigi Credaro nei confronti dei classici di cui è autrice Luciana Bellatalla, la presenza dei classici della pedagogia nei concorsi magistrali di Furio Pesci negli istituti magistrali a cura di Antonio Corsi e l’intervento, a conclusione della discussione, di Vittorio Telmon.

La scelta di promuovere un dibattito sui classici della pedagogia è tra l’altro motivata dalla perdurante mancata attenzione rivolta alla lettura del classico nella speranza di poter offrire un contributo, come scrive Giacomo Cives, autore della relazione di apertura dal titolo Ragioni e implicazioni dello studio dei classici della pedagogia e curatore insieme a Giovanni Genovesi e Paolo Russo del libro, per «riuscire a correggere, o comunque contribuire a correggere, una tendenza pericolosa» (p.9), quella appunto del progressivo abbandono sia nell’università che nella scuola secondaria dell’incontro-confronto con il classico tanto come testo che come autore.

Dalla puntuale quanto articolata analisi del tema svolta nei vari interventi emergono le vicende comunque altalenanti dell’edizione di collane di classici della pedagogia in Italia, delle quali danno conto, in particolare, gli interventi di Giorgio Chiosso e Carla Xodo dal titolo il primo I classici della pedagogia tra Positivismo e Riforma Gentile e il secondo Edizioni attuali dei classici della pedagogia (1955-1997).

È con la riforma Gentile espressione di quell’attualismo che identificando la pedagogia con la filosofia, intesa come processo di autocreazione dello spirito, stigmatizza l’uso dei manuali e valorizza la lettura e l’interpretazione dei classici, la cui conoscenza diviene nel 1923 anche parte dell’esame per il concorso magistrale, che le case editrici, sottolinea Chiosso, si impegnano nella cura di collane dedicate ai classici. Non che non vi fossero state verso la fine dell’‘800 iniziative editoriali in tal senso, Chiosso ricorda la pubblicazione di alcuni classici stranieri ad opera dell’editore milanese Trevisini ad iniziare dal 1884, ma nulla che potesse reggere il confronto, ad esempio, con la collana tedesca dell’editore Beyer o con quelle francesi di Delagrave e Hachette.

La situazione dell’editoria italiana relativamente ai classici della pedagogia permane poi "discreta", osserva Xodo, negli anni compresi tra il 1955 e il 1969 in "conseguenza - ipotizza l’autrice - del riconoscimento accademico della pedagogia" (p.64). Una notevole flessione ha inizio invece negli anni Settanta in seguito alla contestazione prima e alla revisione dei programmi per il concorso magistrale poi sino alla eliminazione dai programmi stessi, nel 1982, di ogni riferimento alla trattazione del pensiero e dell’opera di grandi pedagogisti (vedi su questa tema la comunicazione di Furio Pesci dal titolo Lo studio dei classici della pedagogia nei programmi dei concorsi magistrali 1923-1982).

Una flessione quella registrata nelle edizioni dei classici della pedagogia quale conseguenza della reazione verificatasi, nel secondo dopoguerra, della pedagogia verso l’egemonia filosofica che l’aveva caratterizzata e il suo costituirsi come scienza aperta al contributo di discipline resesi autonome dalla filosofia durante il corso dell’‘800 come la psicologia, la sociologia, l’antropologia.

Il superamento dell’impostazione storico-filosofica degli studi pedagogici a favore di quella scientifico-didattica con la nascita delle scienze dell’educazione, l’istituzione del corso di laurea in scienze dell’educazione e di quello più recente di scienze della formazione primaria, ha notevolmente ridimensionato la presenza delle discipline storico-educative nei corsi di laurea e di conseguenza anche dello studio dei classici che di quelle discipline costituiscono il nerbo.

La formazione degli insegnanti fondata oggi principalmente su discipline psicopedagogiche e metodologiche viene in tal modo a mancare dell’indispensabile supporto della conoscenza della dimensione storico-teorica dei processi formativi, a depauperamento della stessa professionalità degli insegnanti e del loro operare nella scuola che impone prese di posizione, e dunque il formarsi di un proprio punto di vista. "Il lavoro educativo - scrive Remo Fornaca nella sua relazione intitolata È finita la ragione dello studio dei classici della pedagogia? - richiede conoscenze, competenze, professionalità che non possono essere ricondotte alla pura disponibilità umana ed umanitaria, ma implicano capacità di padroneggiare le teorie, perché dall’angolatura e dalla posizione in cui ci poniamo rispetto ai problemi dipendono le conoscenze, le progettazioni, gli esiti educativi" (p.25).

La lettura dei classici del pensiero educativo si presenta perciò come un indispensabile strumento per l’elaborazione di un sapere che eviti i rischi "di banalizzazione e di acriticità nel lavoro didattico dei singoli docenti" (Pesci, p.132), come anche l’appiattimento su questioni eminentemente pratiche, su un presente che rischia di divenire cieco rispetto ai legami con il passato e con il futuro da progettare e perciò proterviamente esaustivo.

La mancata attenzione verso i classici si verifica non solo nella formazione universitaria degli insegnanti ma anche nella scuola secondaria superiore, istituto magistrale e liceo socio-psico-pedagogico, come sottolineato da Antonio Corsi nella sua comunicazione dal titolo Classici di pedagogia (e filosofia) negli Istituti magistrali della Lucchesia (1992-1997).

L’indagine svolta da Corsi in tre istituti magistrali, pur nell’esiguità del campione, è nei suoi risultati sintomatica di una situazione che è nei fatti largamente diffusa: su 108 classi, prese in considerazione per la ricerca, il 74,2% non ha adottato, nel periodo 1992-1997, lo studio di un classico, nonostante ciò sia previsto dai Piani di studio Broca per i trienni della scuola secondaria superiore.

Se possibile spiegazione di ciò, come ben osserva Corsi, si può trovare per un verso negli stessi Piani di studio Broca che consentono la verifica storico-educativa «"con riferimento tematico esplicito a scelte antologiche"» (p. 138) e per l’altro nel monte-ore disponibile settimanalmente agli insegnanti ritenuto da costoro spesso insufficiente rispetto al programma da portare a termine, riteniamo, d’accordo con Cives e con Xodo, che si possa avanzare anche un altro argomento, quello della didattica del classico, del modo di avvicinare i giovani alla complessa architettura dei testi fondanti il sapere pedagogico.

I modi attuali di comunicazione che privilegiano sempre più l’immagine, veicolati da slogan per loro natura immediati al fine di catturare l’attenzione fuggevole dell’interlocutore; l’utilizzo delle nuove tecnologie che richiede una comunicazione altrettanto sintetica, concisa di cui l’e-mail da un lato e i messaggi telefonici sull’onnipresente cellulare dall’altro sono i simboli, hanno tempi e modalità che stridono con quelli della lettura in genere e del classico in particolare, soprattutto quando non contemporaneo e quindi depositario di una lingua "nuova" se pur antica.

Aprirsi al dialogo e al confronto con l’autore considerato classico, cogliere il fluire e l’articolazione del suo pensiero, entrare nelle sfumature del linguaggio, considerarlo come il figlio di aspirazioni, tensioni, delusioni, contesti sociali, culturali e storici, tutto ciò ed altro ancora come porsi le domande "giuste" che dischiudano nuovi orizzonti di ricerca e possibilità interpretative e di analisi critica, tutto ciò richiede i tempi di una lettura che ha bisogno di pause di sedimentazione, sviluppo di abilità logico-concettuali, capacità di attenzione e di concentrazione.

Tutti aspetti che la comunicazione immediata audio-visiva non aiuta a coltivare, rendendo più difficile coinvolgere il giovane nella lettura del classico. La proposta che emerge dalla lettura delle relazioni di Cives e Fornaca va nel senso di lavorare per integrare la cultura dell’immagine, la cultura audio-visiva con quella scritta, evitando la sterile contrapposizione tra l’oggi e lo ieri. Integrazione che in Fornaca si realizza anche nella proposta di utilizzare l’informatica, di costruire ipertesti, di arricchire la presentazione al giovane del classico di pedagogia ricorrendo a materiale fotografico, sunoro per rendere visibili e "tangibili le situazioni, i problemi, le presenze, gli orientamenti" (p.30).

Ed allora anche internet può divenire una importante risorsa costituendo il "luogo" di incontro attraverso, ad esempio, biblioteche pedagogiche on line, del giovane con il classico. Biblioteche letterarie on line già esistono ed ospitano edizioni di classici disponibili a tutti. Utilizzando il mezzo di comunicazione che oggi più attrae l’interesse dei giovani potrebbe essere superata la difficoltà di farli incontrare con la biblioteca tradizionalmente intesa, iniziando appunto con la scoperta di quella in rete e suscitando la curiosità per il luogo fisico della raccolta dei libri. Alle scuole poi che non dispongono di una biblioteca propria oppure quella esistente è scarsamente fornita si offrirebbe con la biblioteca pedagogica on line la possibilità di disporre di un’ampia proposta di classici.

Ma che cos’è il classico? e in particolare il classico della pedagogica? Tutti gli intervenuti al dibattito si sono confrontati con queste domande e le definizioni che sono state date di classico hanno un denominatore comune nel considerarlo un modello, una fonte da cui scaturisce, a chi sa interloquire con esso, nuova materia per la riflessione sul passato e sul presente e per la progettazione del futuro. La lettura del classico porta quindi in primo piano il confronto con la storia e al contempo ci aiuta a meglio comprendere il presente secondo un rapporto circolare e dialettico con il passato, poiché se "il ‘classico’, la ‘cultura’, il passato danno senso al nostro presente, [essi] continuano ad esistere perché noi - in quanto presenti - diamo loro senso ed esistenza" (Bellatalla, p.121).

Si è detto poc’anzi che gli autori delle relazioni si sono espressi sulla valenza e sul significato del classico concentrandosi in particolare sulla sua funzione di modello e fornendo con Cambi e Manacorda alcuni esempi di lettura di classici della pedagogia: Platone, Rousseau, Dewey.

Genovesi nel contributo dal titolo Il ruolo dei classici della pedagogia nell’Università definisce il classico "l’opera o l’autore che sa esprimere quanto di meglio vi è in una determinata epoca e al tempo stesso sa porsi come modello di pensiero a prescindere dalla sua epoca" (p.96). La storicizzazione e l’universalizzazione sono i parametri, insieme alla teorizzazione, per la definizione di ciò che è classico: si tratta quindi di un’opera o di un autore fondamentali per la comprensione di un periodo storico, ma che al tempo stesso per il sapere di cui sono depositari possono divenire una guida per il futuro; il classico inoltre costituisce un cardine per la riflessione nel proprio ambito disciplinare in quanto contribuisce sia a porre le fondamenta di quel sapere, sia a ri-pensarlo alla luce di nuove suggestioni.

Anche Cambi si sofferma sulla definizione di modello per il classico: "esso è un autore o un testo - scrive Cambi nella relazione dal titolo Rilettura di classici della pedagogia: criteri ed "exempla" - che svolge all’interno di un sapere e nella sua tradizione/canonizzazione un triplice ruolo: è un deposito, è un segnavia, è un modello (p.81). Il classico è un "deposito storico di lessici, di problemi; […] è un luogo più fine, più alto, più complesso del dipanarsi di un sapere e della sua tradizione"; è infine "un modello di sintesi e un modello di apertura insieme; è un luogo dove si fonda il canone del sapere in questione [nel nostro caso pedagogico], ma anche dove esso di apre alla sua problematizzazione" (pp.81-82).

Per Manacorda i classici sono "tutti gli autori nei quali, come in Platone e in Gramsci, in un modo o nell’altro, noi troviamo informazioni o critiche o auspici sulla formazione dell’uomo attraverso il complesso di questi apparati educativi" (p.69). In questa accezione ampia, classico dell’educazione è per Manacorda, come emerge dal suo contributo dal titolo Come leggere un classico della pedagogia, Omero, Livio, Pitagora, appunto tutti gli autori che offrono indicazioni riguardo ai vari aspetti dell’insegnamento del loro tempo, senza essere dei "professionisti" della pedagogia.

Se il classico è testimonianza del passato, precipitato di espressioni linguistiche e di condizioni socio-storico-culturali, testo fondativo di un sapere, documento da approfondire sotto la spinta di nuove sollecitazioni, riferimento ineludibile per meditare il presente e per costruire il futuro, termine di mediazione tra ciò che era e ciò che sarà, una sua corretta lettura non può che iniziare dalla contestualizzazione e dall’analisi filologica, condizioni indispensabili per poterlo interpretare.

Il classico come "laboratorio" per la formazione dell’uomo, il cui accesso richiede competenze teoriche, lessicali, legate all’ambito disciplinare a cui appartiene, ma anche curiosità, interesse genuino, assume il significato di pietra miliare per la costruzione di sé, per la propria costante autoformazione.

Il classico induce a porsi domande, dilata gli orizzonti culturali e favorisce la maturazione di uno spirito critico aperto al confronto. Esso ci accompagna nella vita sia attraverso il bagaglio di emozioni, di interessi suscitati che lascia in noi, sia attraverso la ri-lettura che vi scopre nuove tonalità, nuove intuizioni; ri-lettura che è anche però ri-scoperta di noi stessi, del modo in ci pensiamo e del modo in cui consideriamo il nostro rapporto con il mondo e con la storia.

Il classico ci mette infatti in relazione con l’umanità passata, presente e futura, con una tradizione, nel nostro caso pedagogica, nella quale eleggiamo alcuni "mentori" per l’originalità del loro pensiero scientifico sia rispetto all’epoca in cui vissero sia nei confronti del tempo in cui viviamo. Come "nani sulle spalle dei giganti" non siamo senza l’opera e la memoria delle auctoritas che ci hanno preceduto mentre l’avvenuta acquisizione di nuove conoscienze ci permette un più fine sguardo rivolto al futuro.

In particolare il "classico dell’educazione - scrive Genovesi - diviene quello che per le aggregazioni conoscitive che comporta, per le interpretazioni che stimola e suggerisce non si ferma a dirmi del suo tempo, dei modi di educare del suo tempo o dell’immaginario educativo del suo tempo, ma mi suggerisce i modi per pensare l’educazione in ogni tempo" (p.101). Proprio per questa sua caratteristica la lettura del classico da parte di docenti e di studenti acquista il valore di una esperienza basilare, la cui importanza il testo qui considerato ben delinea. Esso può costituire per gli insegnanti un utile strumento di riflessione sul significato della storia della pedagogia e dell’educazione rispetto alla loro formazione e di conseguenza al modo di far scuola e di essere presenti nella scuola; per gli studenti l’occasione per entrare in contatto con le molteplici valenze della lettura del classico di pedagogia.

   

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