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I programmi per il corso settennale
di Giacomo Cives |
Discussioni in atto sulla proposta di nuovi programmi
Sulla
proposta dei nuovi programmi per il ciclo settennale della nuova scuola di base 6-12 anni,
espressa dalla Commissione ministeriale di studio per il programma di riordino dei cicli
distruzione (legge n. 30 del 10 febbraio 2000), dal titolo "Verso i nuovi
curricoli", quale Sintesi dei Gruppi di lavoro, diffusa via Internet il 7 febbraio
2001, vi è forte contrasto e si è aperto un vivo dibattito. Si tratta evidentemente di
un testo provvisorio, perché a parte gli esami che dovranno seguire degli organi
collegiali, quale quello del CNPI, è difficile credere che un documento così dettagliato
e lungo (142 grandi pagine web di 50 righe ciascuna) possa costituire il programma tout
court senza creare sconcerto tra maestri, professori e genitori. Programmi didattici così
lunghi non si sarebbero mai visti per cui si può ritenere che debba venir redatto un loro
riassunto.
Ma
limitiamoci a parlare di questa bozza, senza lasciarci tentare dai sottesi problemi di
struttura dei nuovi cicli, che costituiscono un altro discorso. Tipo linquietudine
che suscita lidea di aver accantonato il modello della scuola elementare (una scuola
che a parere generale andava molto bene) quando ancora è in rodaggio la fortemente
innovativa legge n. 148 del 1990, anticipata nella indicazione delle necessità e nello
spirito dai programmi delle elementari del 1985. Anche se allopposto è pur molto
avvincente lidea del raccordo stretto della scuola-ciclo di base, motivo verso il
quale ci si è andati avvicinando sempre più con la laurea dei maestri, la pluralità
degli insegnanti di classe, le esperienze delle scuole consolidate ecc., accantonando
ormai le vecchie e datate diatribe sulla netta separazione tra "primarietà" e
"secondarietà" (si ricorda il combattivo e invadente comitato corporativo per
la difesa dellinsegnamento del latino dei primi anni 60?).
Tutto
questo mostra la complessità e problematicità della riforma e la difficoltà ad assumere
una posizione netta su di essa, sui suoi meriti e i suoi limiti.
Ma
quello delle strutture, appunto, è un altro discorso. Limitiamoci qui a parlare dei
programmi, che richiedono unattenzione impegnativa. Ebbene, questa proposta di nuovi
programmi è stata colpita da una serie di accuse non secondarie: privilegiano, è stato
detto, i metodi, anzi il metodologismo (competenze, attività, obiettivi,
valutazioni
) e non i contenuti (cui è riservato un ruolo marginale). Tanto più
grave tutto ciò, è stato detto, in quanto espresso da un governo di centro-sinistra.
Sono lontani i tempi in cui la Bertoni Jovine si batteva, anche con qualche eccesso
polemico, per i contenuti contro le polarità dei metodi: che erano comunque altra cosa da
quelle odierne, almeno nelle posizioni illuminate di "terza forza" proposte
dalla "scuola di Firenze", aperte alla collaborazione, allautogoverno e
alla democrazia, e dunque a importanti dimensioni valoriali anche civiche di cultura,
libertà e cooperazione.
Nelle
accuse che si fanno alla proposta dei nuovi programmi cè senza dubbio molta
esagerazione ma anche qualche parte di verità. Così non si ha torto a considerare con
preoccupazione un certo insistito riferimento alliniziazione e alluso delle
"tecnologie dellinformazione e della comunicazione" (cfr. formazione
tecnica), anche se queste sono giustamente proposte da un lato nel rapporto tecnica-saper
fare, inteso come "consapevolezza dei processi con cui le cose si realizzano in
maniera ordinata, e dallaltro nel rapporto con lo sviluppo dell
"ambiente" e della "società", posto in termini storici e quindi si
direbbe implicitamente critici.
Si
sbaglia però quando allopposto si svaluta da parte dei critici la preoccupazione di
dare concrete motivazioni alle varie attività, rendendole non mero esercizio ripetitivo
ma concreta esperienza, soluzione di effettive esigenze. La rivoluzione
dellattivismo non è passata invano e così mai a sufficienza sarà salvaguardata
listanza di un fare reale, ancorato a situazioni vitali, come via della costruzione
della conoscenza. Ma si torna nel giusto quando si osserva criticamente, come già
indicato, il dilagare di un certo metodologismo a scapito della concretezza dei contenuti.
Così
si impone invece favorevolmente lindicazione per la matematica dei dettagliati
"contenuti essenziali", dalle potenze al massimo multiplo, dalle frazioni al
perimetro dei poligoni, dai volumi al teorema di Pitagora, accanto allindicazione
delle numerose competenze da promuovere.
Quei
"contenuti essenziali" dove trovarli invece, in concreto, mettiamo per la
geografia? Vi sono con quel titolo "le trasformazioni del paesaggio con la
rivoluzione agricola", "i rischi ambientali", "lo spazio come
sistema territoriale", "i flussi migratori" e così via, ma
quandè che vanno studiati (o siamo troppo passatisti a chiederlo) la propria
regione, lItalia, lEuropa, i continenti extraeuropei?
Eccesso di analisi e assenza di priorità forti
Nella
loro estesa esposizione in questi programmi si possono trovare moltissime, variegate
indicazioni. Il limite ci sembra allora sia nel loro analiticismo. Dovè la sintesi,
dove appare "lanima" di questi programmi? Quelli del 1945 per la scuola
elementare ad esempio erano tutti impegnati (con accenti talora anche ingenui, vedi
mettiamo lintroduzione del referendum) a riaprire la scuola al clima della
democrazia e di una "fraternità umana che superi langusto limite dei
nazionalismi". Quelli vigenti di quarantanni dopo si caratterizzavano
nellanticipazione di una riforma, che ha avuto luogo poi cinque anni dopo nel 1990,
che attraverso ampliamento degli orari e pluralità degli insegnanti si impegnasse a
superare lambiguità e il pressapochismo della concezione del bambino "tutto
intuizione, fantasia, sentimento" dei programmi del 1955. Qui era proposta invece
lidea di un "bambino della ragione" e un apprendimento culturale serio,
per cui non a caso veniva indicato il fondamento epistemologico delle varie discipline.
Dunque
una dimensione polemica e una tesi costruttiva, in una prospettiva qualificata di cultura.
Invece è ben difficile trovare il senso, la scelta di questi programmi per il settennio,
le loro priorità. Insomma, la loro "anima". Vorremmo dire la loro ispirazione
decisiva di cultura. Certo anche la promozione delle competenze, lindicazione dei
modi didattici per promuoverle e verificarle sono cultura. Ma cè anche, nella
cultura, una dimensione di fondo che qui non appare bene.
Questa
dimensione potrebbe invece essere segnata, mettiamo, in primo luogo (ecco un esempio)
nella promozione forte dellincontro col libro, del piacere e dellabitudine
della lettura: col libro strumento sempre più trascurato nel nostro tempo, e che può
essere invece tramite allattuazione dei processi profondi della maturazione, del
sapere, dei sentimenti, dellapprezzamento della bellezza. Esso opera oltre la
superficie, impegna le radici dellessere, rispetto le quali linsegnamento
costituisce solo un avvio, e inserisce nella tradizione culturale, rendendola operante per
tutta la vita.
Ora
intendiamoci i programmi, tra le moltissime cose, non mancano di ricordare
limportanza dell "attività della lettura", della "progressiva
scoperta del piacere di leggere", e il fatto che "la lettura di idonei testi
narrativi e poetici rinforza la progressiva costruzione di identità", attraverso
molteplici processi.
Ma
il riferimento tra le numerose indicazioni perde di rilievo e non è caratterizzante, non
presentando per nulla quella rilevanza decisiva che dovrebbe assumere per la scuola del
nuovo secolo. Mentre il radicamento del gusto, della consuetudine del leggere narrativa,
poesia, saggistica, storiografia, divulgazione culturale assume valore trasversale e può
caratterizzare per grandissima parte un corso di studi, ponendo le basi per un futuro meno
demotivato e inconsistente, e più sostenuto da supporti di archetipi, di speranze, di
entusiasmi, di introspezioni, quelli che solo la cultura può accendere.
Un dibattito aperto: linsegnamento della storia
Cultura,
tradizione, identità: ma linadeguatezza dei programmi al riguardo si fa ancora più
grave, in rapporto alla pietra dello scandalo di questa proposta programmatica, che ha
suscitato manifesti e campagne di stampa: ci riferiamo allinsegnamento della storia.
Anche qui le indicazioni sono molte, ma quando si arriva allindicazione dello
"studio sistematico e cronologico della storia dellumanità", proposto per
il quinto, sesto, settimo anno la delusione è enorme: nellultimo anno del settennio
ci si ferma allUmanesimo e al Rinascimento, alla Riforma e alla Controriforma, e
allespansione europea nel mondo. Gli avvenimenti successivi, fino al tanto
sottolineato in questi ultimi anni Novecento, sarebbero riservati al biennio del corso
secondario nel loro sviluppo cronologico, mentre studio per temi dovrebbe aver luogo nel
triennio secondario, comè stato annunciato in dichiarazioni distinte da questi
programmi qui in esame (che si occupano del periodo 13-15 di età solo per il curricolo di
"immagine e arte").
Così
il corso cronologico della storia umana verrebbe seguito in tutto il percorso scolastico
una sola volta: in questo modo, una volta per tutte, nel sesto anno di scuola ci si
dovrebbe occupare della civiltà greca, di quella romana, del cristianesimo,
dellespansione araba, dellEuropa medioevale, per non parlare poi degli imperi
euroasiatici, dei bantu, dei maya, degli aztechi, degli inca e della colonizzazione
dellOceania: e scusate se è poco. Giusto e opportuno (finalmente!) occuparsi di
altre civiltà diverse da quelle europee ed euroasiatiche, ma senza dimenticare la
priorità che merita la conoscenza della storia dei nostri paesi e che proprio attraverso
lo studio della nostra storia nazionale e di paesi meno lontani meglio ci prepariamo ad
essere effettivi cittadini del mondo.
Oggi
il percorso cronologico viene studiato tre volte: nella scuola elementare, in quella
media, in quella secondaria superiore. Qui invece si avrebbe mettiamo che il mondo
greco-romano e quello medioevale come si è detto verrebbero incontrati, in modo organico,
una sola volta a 11 anni. E oltretutto si concluderebbero i 7 anni del corso primario
senza aver neppure incontrato mai il Risorgimento, la formazione dello Stato unitario, le
due guerre mondiali, linstaurazione della Repubblica. La scuola ha anche un compito
di socializzazione: senza sviluppare queste conoscenze come si può parlare davvero di
"studi sociali" che pure si sono voluti includere nellambito
storico-geografico-sociale?
I
membri della Commissione qui han evidentemente ritenuto che studiare di nuovo la storia
dellumanità sia una inutile ripetizione. Ignorando così lantico principio di
Comenio del valore dellinsegnamento ciclico, per cui gli argomenti ripresi a
distanza di tempo e in diverse fasi evolutive acquistano in approfondimento e
considerazione di diverse angolazioni con diverse logiche. Del resto un orientamento di
questo tipo risulta apprezzato nella stessa Commissione dei programmi dai relatori di
matematica quando in questi stessi programmi mostrano di difendere "una didattica di
tipo elicoidale, che riprende gli argomenti approfondendoli di volta in volta".
Il
ministro Tullio De Mauro, col quale mi onoro di essere unito da titolarità nella stessa
facoltà delluniversità "La Sapienza" di Roma, che sta affrontando con
notevole impegno il compito di rendere operativa la legge n. 30 del 2000 sul riordino dei
cicli, ha recepito queste critiche. E così ha opportunamente dichiarato alla stampa di
non essere contrario a una nuova ridistribuzione dellintera storia cronologica
universale da una parte nel corso settennale, dallaltra una seconda volta
nel corso quinquennale secondario, ove evidentemente potranno anche accompagnarsi
gli auspicati approfondimenti tematici.
Pregi notevoli e insieme esigenza di un salto di qualità
A
questo punto bisogna intendersi: non è che questa proposta di programmi settennali, cui
è stata aggiunta anche quella per i programmi della scuola dellinfanzia, articolata
negli specifici documenti conclusivi, appunto per la scuola dellinfanzia, per
l "aggregazione disciplinare linguistico-letteraria", per quella
"matematica", per quella "scientifica", per quella
"tecnologica", per quella "storico-geografico-sociale", per quella
infine "artistico-musicale-motoria", sia priva di indicazioni puntuali e
importanti. Anzi queste sono numerose.
In
particolare vorremmo sottolineare i felici spunti della costante preoccupazione del
raccordo della scuola dellinfanzia con quella primaria e dellapprezzamento per
la prima degli Orientamenti del 1991 da ritoccare eventualmente per gradi nei prossimi
anni, dellinserimento di una prima e una seconda lingua straniera moderna indicando
i diversi livelli di competenza A1 e A2 da raggiungere (qui la definizione di determinati
obiettivi di apprendimento cui arrivare non è affatto importuna, dopo tanto fallimentare
approssimazione dominante in questo settore). E poi ancora per fare qualche esempio di
motivi particolarmente ben riusciti della proposta dei programmi settennali si potrebbe
ricordare lidentificazione di "un sempre più diffuso analfabetismo
scientifico, rinforzato da una profonda demotivazione allapprendimento e
alla partecipazione". Qui "unevidente incapacità di orientamento
culturale in ambito scientifico, che spesso degrada in atteggiamenti superficiali e
ingenui. Per rimuovere tali carenze la scuola deve giocare un ruolo decisivo". Anche
qui è indicato un motivo importante e trasversale, quello della promozione da parte della
scuola dello "spirito scientifico", che potrebbe essere un asse radicale e forte
dei nuovi programmi, e che invece è solo sfiorato.
Bene
poi il motivo delleducazione musicale, intesa sia come "partecipazione
allesperienza musicale", sia come "dimensione espressiva del fare
musica". E bene diremmo per lorganizzazione didattica relativa
(ma anche qui perché non indicare un elementare schema di sviluppo della storia della
produzione musicale?).
Dunque
pregi senza dubbio spesso notevoli. Peccato il danno del voler dir tutto, del non voler
omettere nulla, talvolta con qualche eccessiva involuzione linguistico-concettuale, come
nel brano relativo alleducazione fisica ove è detto: "Lo statuto
epistemologico della disciplina, per sua natura molto articolata, dovrebbe compenetrare
gli aspetti enunciati implementando attività e metodi che assumono senso in relazione
alla formazione globale del soggetto, depotenziando le pratiche ripetitive e
escludenti". Un po di semplicità non gioverebbe?
Dunque
in questa proposta di programmi non manca materiale apprezzabile. Ma quello che manca a
nostro avviso come abbiam detto è il balzo in avanti, la scelta creativa e
di qualità per enucleare e evidenziare in modo forte i motivi nuovi e qualificanti che
caratterizzano i nuovi programmi. E per non farne solo una elencazione di sensate
indicazioni (non quelle però relative alla storia!), destinate a rimanere senza frutto e
senza sviluppo. |