La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Guido Antonio Marcati. Una vita per la scuola e per i maestri
di  Michele Monaco

5. Capitolo IV. Educatore e organizzatore della classe magistrale.

5.6 Per l’organizzazione delle forze magistrali.

Di fronte al movimento associativo dei maestri il Marcati si pose come attento osservatore, critico scrupoloso ed inflessibile, appassionato agitatore. Egli stesso scrisse, sul Risveglio del 18 marzo 1888, che assumendo, quattro anni prima, la direzione del nuovo giornale, intese assumere anche "il dovere di promuovere efficacemente l’accordo, l’unione, l’affratellamento dei maestri elementari italiani". Ed infatti, fin dal primo momento mirò ad alimentare nei lettori e nelle società magistrali "il principio della solidarietà" di classe, in modo da poter realizzare una salda unione spirituale e organizzativa fra tutti i maestri.

Illuminato da così alto ideale, poté abbracciare tutto il vasto e complesso mondo della scuola, ne colse i palpiti più reconditi e indicò alle società magistrali lo spirito che doveva animarle, gli obiettivi da perseguire, i metodi di lotta da adottare. Già nei primi numeri del giornale dedicò largo spazio alle notizie provenienti da ogni parte d’Italia e alle discussioni che si andavano svolgendo sulla necessità di organizzare le forze magistrali. In particolare, nel febbraio-marzo 1885, con tre interessanti articoli sull’argomento, esaminò la situazione sotto ogni aspetto e ne pose in chiaro i possibili ed auspicabili sviluppi. Rilevato che la debolezza della classe dei maestri derivava dalla disunione e dall’isolamento, sostenne l’urgenza di moltiplicare il numero delle associazioni magistrali e di riunirle in una forte organizzazione nazionale.

In pari tempo sostenne la necessità di impegnarsi al massimo per conquistare, alla scuola e ai maestri, amici e difensori, anche al di fuori della classe magistrale e dei pubblicisti scolastici.

I problemi concreti del momento riguardavano le società magistrali, l’Associazione nazionale di Roma, la costituenda Federazione generale. Il Marcati disse una chiara parola su tutto, e prospettò tesi tanto valide che sebbene non attuate subito - né lo potevano, essendo ancora fuori dalla coscienza comune - furono quelle su cui venne poi fondata, nel 1901, l’Unione dei maestri italiani.

Alle società magistrali, pur riconoscendo che non mancavano quelle animate da " nobili, seri, alti intendimenti", rimproverò di vivere come "piccole repubbliche indipendenti - molto, troppo indipendenti -", mentre solo nell’unione potevano assumere forza, coraggio e fiducia. Le associazioni magistrali, affermò, debbono superare i ristretti limiti degli interessi locali e personali, per inserirsi in una visione nazionale generale, capace di abbracciare i problemi fondamentali che angustiano la scuola e i maestri. E poiché molti sostenevano che le società locali, unendosi, avrebbero perduto in autonomia e possibilità di lotta locale più di quanto potevano acquistare in capacità combattiva generale, il Marcati volle delineare ampiamente i caratteri distintivi delle società magistrali.

Innanzitutto, il singolo, dirigente o semplice socio che fosse, doveva sempre essere al servizio dell’associazione per promuovere il bene comune: e ciò imponeva, oltre tutto, di parlar chiaro e scacciare dal seno delle società magistrali "i cacciatori di réclame". I dirigenti e i soci dovevano operare con serietà e continuità, avendo sempre di mira il bene indivisibile dell’educazione popolare e del corpo insegnante, in modo da creare una forte corrente pubblica di stima e di simpatia verso la scuola e il movimento associativo dei maestri. Ogni associazione locale doveva porsi come organismo di lotta e di resistenza, anziché come società di mutuo soccorso materiale e intellettuale, e doveva conservare intatta la propria autonomia, godendo di piena libertà di "movimento nella cerchia ristretta" fra cui viveva e combatteva. Ogni società doveva, infine, far sentire la propria voce nei congressi mediante i "delegati", ai quali doveva essere conferito di volta in volta un "mandato chiaro e preciso". Con ciò le società locali venivano a costituire, democraticamente, la fonte del potere e della legittimità dell’Associazione nazionale, e questa, a sua volta, doveva muoversi in base alle "massime - così scrisse il Marcati il 1° marzo 1885 - preventivamente accettate e quasi direi imposte come confini alla Giunta esecutiva".

Col passare degli anni i maestri, e non poche maestre, parteciparono sempre più attivamente alla lotta; il numero delle società magistrali aumentò notevolmente e l’ambito della loro attività si estese spesso dai confini comunali e mandamentali a quelli circondariali, provinciali e regionali. La presenza del Marcati fu sempre viva e determinante ai fini del distacco delle associazioni magistrali dalle vecchie forme organizzative e assistenziali delle società di mutuo soccorso. Basti a riguardo riportare soltanto qualche esempio.

Discutendosi alla Camera il disegno di legge Boselli sulla riforma del Monte Pensioni, il Marcati scrisse: "Ricordiamo poi a tutte le associazioni magistrali italiane che è loro dovere, in questa circostanza, farsi vive, mostrare come non siano inutili accademie, fatte a bella posta per mettere in mostra i talenti pedagogici di Tizio, o la spigliata parlantina di Sempronio; ma centri d’attività vera, con il supremo obiettivo di giovare e vegliare sugli interessi generali della scuola e degli insegnanti" (Il Risveglio del 6 maggio 1888).

Altra volta, cogliendo l’occasione di una errata applicazione della legge sulla insequestrabilità degli stipendi da parte della Magistratura, scrisse: "Oh come in questa circostanza sarebbe desiderabile che tutte le associazioni dei maestri alzassero il loro grido! Come sarebbe desiderabile che l’Associazione dei maestri di Napoli, soprattutto forte di numero e di quattrini, venisse in aiuto al collega della provincia limitrofa (per ricorrere in Cassazione); e come sarebbe finalmente desiderabile che si formasse il fascio degli educatori italiani, per resistere alle infinite ingiustizie a cui ogni giorno soccombono i maestri elementari d’Italia!" (Il Risveglio del 14 giugno 1891).

In altra occasione, esortando i maestri a unirsi, chiarì in maniera esemplare che le società magistrali dovevano essere sì organizzazioni di lotta e di resistenza, ma dovevano porre a fondamento della loro unione il sentimento della fratellanza e dell’amore scambievole. "In questo giorno di pace, di gioia domestica, nel quale l’umanità tutta, o quasi, sente minore il peso della propria croce, e le anime non sono mute a un sentimento di fratellanza, pensate a far valere questo sentimento con l’unirvi fra voi in una lega che avendo per fondamento l’amore vi sia feconda di bene ed apportatrice di pace, di conforto, di aiuto" (Il Risveglio del 23 dicembre 1891).

Il 1892 fu un anno di vaste agitazioni dei maestri, ma fu anche l’anno che vide la fine dell’Associazione nazionale di Roma. Giova quindi fare un passo indietro per esaminare l’atteggiamento tenuto dal Marcati verso l’Associazione, della quale fu sostenitore e collaboratore, ma non di rado critico inflessibile.

Già col ricordato articolo del 1° febbraio 1885 il Marcati fece un’acuta analisi delle cause che determinarono lo scarso sviluppo dell’Associazione Nazionale. Se le "grandi speranze", suscitate "attorno a quei magici nomi di Roma e di Associazione Nazionale" spesso vengono sopraffatte dallo sconforto, la responsabilità - disse - deve attribuirsi non solo ai maestri, che facilmente dimenticano i valori della solidarietà, ma all’Associazione stessa la quale invece di lanciare la classe magistrale in una lotta aperta, si lascia dominare dalla "teatralità" e "dalla declamazione". "Mai un fatto in omaggio alle parole; mai una di quelle mosse ardite, energiche decisive che danno agli eserciti o la intera sconfitta o la intera vittoria. E di questa si aveva bisogno".

In effetti l’attività dell’Associazione non di rado languiva, e prendeva vigore quasi soltanto in prossimità dei congressi nazionali. I quali, peraltro, venivano spesso rinviati: così il V, che doveva tenersi nel settembre 1884 e si svolse un anno dopo; così il VI, che subì due rinvii, dal 1886 al 1888; così il VII, rinviato dal 1889 al 1890.

D’altra parte il Marcati, fiducioso che l’Associazione avrebbe finito con l’affermarsi, l’incoraggiava in tutte le iniziative e collaborava attivamente per la migliore riuscita dei congressi. Per quello di Torino riportò sul Risveglio un ampio resoconto dei lavori. Molto attivo fu al congresso di Bologna, dove ebbe anche l’incarico di parlare a nome della stampa pedagogica, per spiegare le ragioni delle critiche rivolte dai pubblicisti scolastici all’Associazione.

Anche di questo congresso il Marcati riportò un ampio resoconto sul Risveglio e con l’occasione sollecitò i dirigenti del movimento magistrale , ed i maestri tutti, a chiarire quali dovevano essere i compiti delle organizzazioni di categoria. Si lascino, scrisse, i temi didattici alle conferenze pedagogiche e le associazioni magistrali promuovano agitazioni rivendicative e di resistenza per il miglioramento della scuola e delle condizioni economiche, giuridiche e morali dei maestri.

La Giunta centrale sembrò ascoltare la lezione e promosse una vasta agitazione legale per il raggiungimento di importanti obiettivi.

Alla vigilia del congresso di Bari del 1890 la stampa scolastica affiancò l’attività dell’Associazione, e il Marcati pubblicò di nuovo, integralmente, per spronare i maestri alla lotta, l’articolo del 1° febbraio 1885. Il congresso, cui il Marcati non poté partecipare a causa di un grave lutto familiare, trattò importanti temi e riuscì "autorevole e pratico" (Il Risveglio del 15 settembre 1890).

Ma il plauso del Risveglio spesso si alternava con le critiche più dure. In realtà l’Associazione non riusciva a porsi come organizzazione di lotta e di resistenza verso il Governo e verso i Comuni; anzi non realizzava neppure tutto quanto era già insito nelle sue possibilità. Ciò lasciava ritenere che l’Associazione non avesse ancora preso la strada giusta e non conferiva particolare importanza al problema del metodo di lotta. Problema che, secondo il Marcati, doveva essere affrontato con sensibilità nuova e con fermezza. Come fece egli stesso più volte, ad esempio intervenendo sulla concessione dei sussidi ministeriali all’Associazione, sussidi che voleva fossero concessi alle società di mutuo soccorso, ma non alle associazioni di lotta e di resistenza.

Particolarmente dura e penetrante fu la sua protesta contro la concessione di un sussidio di lire mille disposto dal ministro Villari nel settembre 1891. Il Marcati riprovò il compiacente comportamento dell’Associazione ed inquadrò il modesto episodio in una visione generale, fino a farne una questione di costume e di metodo di lotta, una questione essenziale e pregiudiziale ai fini della instaurazione di corretti rapporti tra Associazione nazionale e Ministero della pubblica istruzione. "Dato però e non concesso - scrisse sul Risveglio del 28 ottobre 1891 - che l’Associazione nazionale dei maestri esista, noi protestiamo contro questi sussidi invocati e ottenuti piagnucolando alle porte di un Ministero. Un’Associazione nazionale dei maestri non può né deve avere bisogno di stendere la supplice mano a nessuno e tanto meno al Governo, al quale ha l’obbligo di ricordare sempre i suoi doveri verso l’istruzione elementare ed i maestri: doveri troppo spesso dimenticati. Altro che le mille lire! Chiedete giustizia e rispetto, per dio, questo chiedete!".

La Giunta centrale contestò le dichiarazioni del Marcati e affermò che i sussidi non compromettevano in alcun modo l’indipendenza dell’Associazione dal Ministero. Infatti, scrisse, l’Associazione "senza essere in alcuna maniera scapigliata o servile" ha sempre lottato per la scuola e per i maestri.

Ma, in effetti, proprio quando si sentiva più viva che mai la necessità di lottare, l’Associazione sembrava ignorare il "promettente e confortante risveglio dei maestri" e lasciava languire nei rinvii perfino le iniziative da essa stessa promosse e approvate.

Il Marcati non rimaneva a guardare e rivolgeva aperte accuse all’Associazione, o meglio a coloro che avevano "il dovere di rappresentarla". La violenza della sua reazione poteva apparire a volte eccessiva, ma la sua coscienza era tranquilla: e ciò gli bastava per continuare la lotta. "E il tempo dirà anche - scrisse sul Risveglio del 20 febbraio 1892 - che abbiamo fatto il nostro dovere combattendo un’Associazione che dorme quando tutti son desti".

E difatti l’Associazione era presso a morire. Il congresso di Genova (settembre 1892) fu molto importante: vide riuniti 800 maestri, direttori, ispettori e pubblicisti scolastici; fu presieduto per la prima volta da un maestro, appagando una vecchia aspirazione della categoria; e registrò la presenza del ministro Martini, il quale vi pronunciò un discorso tanto realistico quanto deprimente, che non lasciò alcun varco alla speranza. Ma fu l’ultimo congresso promosso dall’Associazione nazionale.

I tempi progredivano e l’Associazione non aveva saputo tenerne il passo. Fu un congresso critico, che esortò i maestri ad "affratellarsi veramente a fatti e non solo a parole" e ad imporsi "una linea di condotta seria, nobile, elevata" per guadagnarsi la considerazione del pubblico. In quanto alla convocazione dei futuri congressi, fu approvato un principio di rilevante importanza, che prevedeva la partecipazione ai congressi stessi non a titolo personale, ma in qualità di delegati delle società locali: e ciò sia per individuare e sostenere le rivendicazioni emergenti democraticamente dalla base, sia per favorire il costituirsi di un maggior numero di associazioni locali. Circa i metodi di lotta i congressisti affermarono che "pur non volendo essere ribelli", si promettevano di far leva essenzialmente sulle forze della categoria.

Era l’affermazione delle tesi per vari anni sostenute dal Marcati; ma l’Associazione non si rivelò in grado di attuarle. Invece di una esaltazione dell’attività, si ebbero, infatti, nuove delusioni. Il decadimento dell’Associazione si aggravò; i maestri smisero di versare la quota annua di lire una e sul finire del 1892 la Giunta centrale, preso atto, melanconicamente, della situazione, "decise - per ripetere le parole del presidente dell’epoca, Domenico Beisso - di sospendere quell’opera a cui aveva costantemente atteso".

Prendiamo ora in esame l’attività svolta dal Marcati in ordine alla costituzione della Federazione nazionale delle società magistrali. Va subito detto che l’unione generale dei maestri italiani fu una delle più ardenti aspirazioni del suo animo e che il contributo da lui dato per il raggiungimento di tale obiettivo fu uno tra i più validi e decisivi, anzi, direi, il più valido e il più illuminante in senso assoluto.

Il Risveglio contava appena qualche settimana di vita quando il Nuovo Educatore di Roma, accogliendo le sollecitazioni di alcune società magistrali, rilanciò la "vecchia proposta" di costituire la Federazione pedagogica generale italiana. Il Marcati intervenne subito con gli appassionati articoli del febbraio-marzo 1885, già ricordati.

"Lo spirito d’associazione - esordì -, anima e vita delle alte e nobili imprese - fecondo e inestimabile diritto di liberi e forti cittadini - s’è ridestato anche fra i maestri elementari... E’ l’ideale che viene ancora a tentarci, e ci fa battere il cuore e brillare di speranza e di gioia. Una Federazione generale italiana sarebbe infatti la redenzione morale dei maestri, il pegno della concordia e dell’affetto reciproco... Ma per l’affermazione serena di questo grande fatto, noi dobbiamo interrogare le nostre forze, dobbiamo procedere cauti e prudenti, dobbiamo tutti spogliarci dell’io dirò quasi, per vivere nel noi" (Il Risveglio del 1° febbraio 1885).

Ed egli stesso, di fronte alla grandezza ed alle difficoltà dell’impresa, volle affondare lo sguardo nella concreta situazione presente e non esitò ad affermare che la classe dei maestri non era in grado di fare tutto da sè, perché immatura, isolata e non ancora organizzata capillarmente: "La forza centrifuga - disse - soverchia la forza centripeta". Occorreva, quindi, prodigarsi tutti con generosità e impegno, vincere il "mutuo incensamento", scacciare gli "armeggioni", sollecitare e accettare gli aiuti disinteressati provenienti dal mondo della politica e della cultura. Ma innanzitutto si doveva procedere alla "scelta di un capo universalmente stimato, universalmente amato, universalmente rispettato per dottrina e per affetto alla scuola ed ai maestri", il quale, costituita la Federazione generale, sapesse guidarla verso il raggiungimento di un fine comune.

La presa di posizione del Marcati alimentò un’ampia discussione sulla stampa scolastica ed in seno alle società magistrali. Molti si schierarono a favore, altri contro. Questi ultimi, fra cui Filippo Antonio Rho di Torino, ponevano un eccessivo astratto affidamento nelle possibilità dei maestri e osteggiarono la scelta di un capo, perché temevano che in tal modo la classe magistrale non avrebbe fatto altro che crearsi "dei tutori in persone estranee all’insegnamento". A tutti il Marcati rispose con forza e chiarezza, esortando in pari tempo i maestri a portare la lotta oltre i confini della stampa scolastica e delle società magistrali. "Ma no, egregio signore, non dobbiamo tremare all’idea di crearci dei tutori, dobbiamo piuttosto tremare al pensiero di non averne, come forse non ne abbiamo oggidì... Fate che tutti gli insegnanti, offesi nei loro diritti, malmenati, oppressi, abbiano certezza che alla loro voce chiedente soccorso, 40000 voci risponderanno concordi; fate che la voce di questo esercito trovi nel capitano un’eco poderosa che la ripercuota nel Parlamento, e questa sfiducia, questo scetticismo, questa paura, spariranno, per dar luogo alla fede, alla speranza, al coraggio. - Ma fino a tanto che abbandonandoci alla cieca e falsa deità del destino come infrolliti Musulmani, aspetteremo il bene ed il male pioventi dall’alto come la manna, o la grandine; fino a tanto che indosseremo l’abito dell’agnello pauroso e mansueto, non solo incontreremo le forbici del pastore, ma la gola dei lupi, che sempre vigili, e sempre affamati, godranno del satollarsi di noi" (Il Risveglio del 15-22 febbraio 1885).

A queste idee di carattere generale il Marcati fece seguire pratici suggerimenti: le società magistrali ed i maestri si riuniscano in assemblee, prendano le opportune decisioni sui problemi emersi nel corso delle discussioni ed inviino a Roma i loro delegati con un mandato preciso. Il clima festoso della Pasqua di resurrezione, che "passando piega indomite fierezze - frena vendette impazienti", sia di buon auspicio perché sorga "fra le mura di Roma, amor nostro e nostra gloria", la Federazione generale (Il Risveglio del 15-22 febbraio 1885).

Ma la discussione, a mano a mano che si approfondiva e registrava nuovi interventi, degenerò in violente polemiche fra le società magistrali e fra i periodici scolastici, provocando nuova confusione e nuove delusioni.

D’altra parte i maestri non tardarono a riprendere la lotta, e l’occasione fu offerta dalla convocazione del V congresso nazionale, che si doveva tenere in Torino nel settembre del 1885.

La discussione si riaccese vivace sulla stampa scolastica e nelle società magistrali. Il Marcati ancora una volta, "con fede ardente", inneggiò "al grande avvenimento che prometteva di sorgere in Torino". Nel congresso di Torino, infatti, si discusse a lungo della Federazione generale, su una elaborata relazione di F. A. Rho. Nel corso degli interventi emersero chiaramente tutte le difficoltà che si dovevano superare, non ultima quella, curiosa e di gran peso, di stabilire se vi fosse o no differenza tra l’Associazione nazionale di Roma e la costituenda Federazione generale.

Differenza vi era certamente, ma soltanto di carattere organizzativo. Non tutte le società magistrali aderivano, infatti, all’Associazione con sede in Roma, anche se partecipavano in gran numero ai congressi indetti dall’Associazione stessa.

E’ il caso di ricordare, a questo punto, che le molte associazioni esistenti avevano origini, denominazione, organizzazione e finalità alquanto diverse. E non era facile riunirle tutte in un’unica associazione nazionale. Certo, considerate le perplessità di molte società magistrali ad entrare nell’Associazione di Roma; appariva meno difficile creare un’organizzazione nuova, la Federazione generale, che assicurasse effettiva parità di diritti e doveri a tutte le società, senza differenze fra primi e ultimi arrivati.

In ogni modo, al congresso di Torino fu nominato un Comitato nazionale, cui venne affidato l’incarico di predisporre uno schema di statuto da sottoporre, nelle ferie pasquali, in Roma, all’approvazione dei delegati delle società magistrali aderenti. Il Comitato, composto di undici membri e presieduto da Natale Inverardi, presidente dell’Associazione nazionale, si pose subito al lavoro. Ne seguì un’intensa attività fra i maestri di tutta Italia. Ma davvero troppo discordanti erano i punti di vista e ben numerose le questioni da chiarire: dalle più complesse alle più semplici. Si trattava, ad esempio, di decidere se la Giunta Esecutiva doveva essere formata di soli maestri o anche di uomini politici e pedagogisti; si trattava di dare valida soluzione a problemi meramente pratici, come quello di stabilire i criteri per il versamento delle quote da parte delle società magistrali e dei singoli maestri aderenti alla Federazione.

Il Marcati seguì con interesse il movimento e lo incoraggiò in tutti i modi, intervenendo personalmente con un forte articolo del 21 febbraio 1886. Prendendo occasione dalle innumerevoli difficoltà e opposizioni che il disegno di legge Coppino sull’aumento degli stipendi incontrava in Parlamento, esortò i quarantamila maestri a unirsi: "Questo esercito numeroso e potente se unito, diviso non vale nè conta nella società che per quanto valgono e contano 40.000 piccole forze disseminate su vasta superficie. Ciascuno non può produrre che piccolo moto. Noi - lo ripeteremo cento volte - abbiamo bisogno di raccoglierci, di ordinare le file, di marciare serrati sotto la guida di un capo forte e intelligente alla conquista dei nostri diritti... Un solo grande nobilissimo scopo deve infiammarci, e soverchiare ogni altro sentimento: il bene della scuola e quello di tutta la nostra classe".

In verità l’agitazione dei maestri procedeva col più vivo entusiasmo, in vista della Costituente che doveva tenersi a Roma nelle vacanze pasquali del 1886, quando sopraggiunsero nuove difficoltà. Prima il Comitato nazionale rinviò la convocazione della Costituente a settembre, in maniera da tenerla durante il congresso nazionale di Bologna; più tardi l’Associazione nazionale rinviò il congresso dal settembre 1886 al settembre ‘87.

Codesti contrattempi e talune astiose polemiche tra i giornali scolastici disorientarono i maestri e le società magistrali, e ne seguì un nuovo periodo di scoraggiamento e di stasi. Breve anche questo peraltro; infatti ripresero subito le sollecitazioni a fondare nuove società, in modo da creare le premesse e le basi più sicure per la costituzione della Federazione generale.

Un articolo del Marcati, Serriamo le file, apparso sul Risveglio del 1° maggio 1887, segnò un punto fermo a riguardo. Acutamente egli si pose alla ricerca delle cause che avevano determinato il fallimento di tante iniziative. "Volevamo formare - scrisse - una Federazione nazionale, un tutto, una compagine ben salda e resistente a ogni urto improvviso e violento; ma per questo tutto mancavano le parti". Ancora scarso era, infatti, il numero delle società magistrali e scarsa la vitalità di quelle esistenti. Occorreva, perciò, la più completa dedizione ad "un’opera lenta e continua" e occorreva estendere e intensificare il lavoro dei pochi volenterosi, chiamando all’attività e alla lotta la grande maggioranza dei maestri, che rimaneva ancora sfiduciata ed assente.

"Migliaia e migliaia di maestri - egli lamentò - assistono indifferenti al lavoro dei colleghi, senza sentirsi spronati ad imitare i valorosi che combattono, senza entrare nella vita di queste associazioni, a portarvi la parola e l’azione incoraggiante, senza provare il desiderio di stringersi in un legame d’affetto, di tenerezza, d’amicizia ai colleghi, senza provare un senso di tristezza nel sentirsi soli, e in questa solitudine fatalmente inani e fatalmente miseri!". Ricordato, infine, che la manna non cade dal cielo, aggiunse con forza: "In noi, in noi soli, nelle nostre forze dobbiamo ormai credere e sperare. Ad ogni collega dunque che ha cuore ed intelletto io mi rivolgo e gli dico... Serrate le file. - Formate dell’Italia una rete di associazioni che abbiano di mira la scuola ed i maestri; sacrificate ciascuno qualche briciolo del vostro io sull’altare della concordia... Allora non sarà più un vago sogno poetico la Federazione nazionale, nè inascoltati o derisi rimarranno i voti dei maestri d’Italia... (s. n. t.). - Noi attendiamo fidenti che quest’opera di ricostruzione si compia, e si sciolga così uno dei più ardenti voti dell’anima nostra".

Ma dovevano passare ancora molti anni prima che il suo sogno divenisse realtà. E furono anni di appassionata e intelligente operosità.

Della Federazione si riparlò in vista del congresso di Bologna e al congresso stesso (settembre 1888); se ne riparlò in vista del congresso di Bari (fine agosto 1890). In questa occasione e precisamente sul Risveglio del 31 luglio, il Marcati ripubblicò, come già si è detto, per intero e senza cambiare una virgola, l’articolo del 1° febbraio 1885, ancora interamente valido nell’analisi e nelle prospettive.

Al congresso di Bari soltanto undici associazioni giunsero col mandato di partecipare alla costituzione della Federazione nazionale, ma per eccesso di buona volontà fu deciso ugualmente, in una seduta particolare, di proclamare costituita la Federazione e fu dato incarico all’Associazione nazionale di sollecitare le adesioni delle società esistenti. Ma anche questa volta le buone intenzioni non potettero realizzarsi.

Il Marcati, da parte sua, ritornava spesso sull’argomento e sempre vi portava validi motivi di chiarificazione, riuscendo, se non altro, con quel suo stile vivace e appassionato, a scuotere i maestri e a tener viva l’idea della Federazione generale. Alla vigilia delle elezioni politiche del 23 novembre 1890, ad esempio, esortando i maestri alla lotta, scrisse sul Risveglio del giorno 16: "Ma soprattutto sperate che, gettate da canto le piccole personali invidiuzze, si possa formare presto un’unica grande Federazione dei maestri elementari italiani, nella quale i fratelli, abbracciando i fratelli, giurino di assistersi a vicenda, di propugnare con ardore le riforme scolastiche più urgenti. Quel giorno sarà giorno di tripudio per noi, o amici, e non saremo più schiavi, non dovremo più chinare l’umile capo dinanzi ai prepotenti e agli imbecilli, perché alle nostre spalle, energica difesa, starà tutta un’intera e numerosa classe di persone pronta a soccorrerci e a difenderci! - E’ questo lo scudo potente che noi stessi potremo crearci contro le persecuzioni e le tirannidi municipali. - Guai al solo! Dicono le sacre carte. Guai al solo, ripetiamo noi, augurandoci che il peso di quella maledizione della scrittura non abbia più a lungo a gravare sulle spalle dei maestri elementari italiani".

Anche le decisioni del congresso di Bari, come si è detto, rimasero senza esito, si giunse così al congresso nazionale di Genova (settembre 1892), dove furono prese decisioni molto importanti. La Costituente magistrale dichiarò ancora una volta costituita la Federazione nazionale e diede incarico ad una Giunta esecutiva, appositamente nominata, di preparare lo statuto e il regolamento provvisori, sulla base degli schemi presentati al congresso stesso. La Giunta doveva poi trasmetterli a tutte le associazioni d’Italia e convocare in Roma, entro un anno, il Consiglio generale per l’approvazione dei "provvedimenti definitivi".

Le decisioni del congresso di Genova ponevano i maestri sulla strada giusta, ma nonostante i rapidi entusiasmi molte società magistrali non aderirono all’iniziativa, che anche questa volta fallì.

Di fronte al fallimento di tante iniziative, il Marcati andò convincendosi che bisognava cambiar metodo di lotta. I congressi promossi dall’Associazione nazionale avevano giovato non poco alla causa dell’istruzione popolare e dei maestri, ma non erano riusciti a dare alla categoria l’unità organizzativa. Ora, la fine dell’Associazione toglieva ai maestri anche questo strumento di lotta e di propaganda: e fu certamente un ulteriore motivo di debolezza. Ma fu anche un motivo di chiarificazione, perché cadeva finalmente l’equivoco Associazione-Federazione, e veniva lasciata via libera a tutte le iniziative. Dovettero però passare circa otto anni prima di giungere in porto. E l’uomo di punta fu ancora il Marcati. E’ bene quindi ricordare brevemente l’attività che egli svolse in questi otto anni nei confronti delle società magistrali e dell’auspicata Federazione nazionale.

Il 1892 si chiuse con un nulla di fatto. Non era stata costituita la Federazione generale, ed anzi si era verificato lo scioglimento della stessa Associazione nazionale. Si imponeva quindi un ripensamento dell’attività svolta nel trentennio precedente, per coglierne i motivi di debolezza e definire le caratteristiche della lotta futura. Ed infatti intense discussioni si intrecciarono sui giornali scolastici e nelle associazioni magistrali. Determinanti, anche questa volta, gli interventi del Marcati. Con fermezza egli richiamò i maestri alla scrupolosa applicazione delle leggi creative della democrazia e conferì nobiltà e forza alla loro lotta, inquadrandola nel contesto dell’intera vita sociale.

Prendendo occasione dalla "manifestazione così semplice e pur tanto imponente di solidarietà e di fratellanza" offerta dai lavoratori il 1° maggio del 1893, si rallegrò per "l’affermazione pacifica delle loro aspirazioni e dei loro desideri", ed esortò i maestri a seguire l’esempio: "Perché dunque non raccogliamo pure noi questa forza, e con efficace perseveranza, tutti stretti ad un patto, non lavoriamo all’impresa?" (Il Risveglio del 10 maggio 1893).

Considerato, peraltro, che anche i maestri costituivano in ogni parte d’Italia società e federazioni, ma senza dare i frutti sperati, il Marcati ritenne preminente ricercare le cause dei continui disinganni. E concluse individuandole principalmente nella scarsa vitalità democratica delle associazioni dei maestri. Da ciò la necessità di promuovere nelle associazioni stesse un’intensa vita democratica di base ed un’incessante circolazione di idee dalla base ai vertici e viceversa. Solo in tal modo un’Associazione poteva divenire ciò che doveva essere: la somma delle energie spirituali dei soci, dei più dotati e dei meno dotati, tutte deste e protese verso il meglio.

Ma in effetti i dirigenti spesso trascuravano o addirittura soffocavano l’ansia di collaborazione dei semplici soci, provocando il fatale impoverimento delle associazioni, se non proprio, come pure accadeva, la stasi e la morte.

A codesta critica serrata e franca, il Marcati fece seguire, sempre sul Risveglio del 10 maggio 1893, pochi tratti con cui definì in maniera esemplare le caratteristiche che dovevano assumere le società magistrali: "Ma il fondare una società è men che niente, se essa non rifà la gente, voglio dire se non accende nei colleghi la scintilla dell’entusiasmo, se non giova alla loro cultura, e se non promette di giovare, o presto o tardi, anche alla loro condizione economica". E più oltre: "Trovo naturale, anzi benefico, che chi ha più ingegno l’usi e diriga altrui; ma non approvo, anzi rimprovero coloro fra i nostri colleghi, e non sono pochi, che mettendosi a capo delle nostre società magistrali, lasciano nel torpore, facendo tutto a scopo di vanità, le facoltà degli altri; mentre non nell’indolenza, ma nell’azione di ogni membro della società, è vera vita, salute, piacere".

Le tesi del Marcati si fecero strada e alimentarono nuovo vigore nell’animo dei maestri, in un momento particolarmente difficile per la loro classe, sia sul piano sociale e politico, sia su quello morale e professionale.

I risultati possiamo vederli già nello svolgimento dei lavori e nelle risoluzioni del congresso nazionale, il nono della serie, tenuto a Milano nel settembre 1894 per iniziativa dell’Associazione magistrale milanese.

In nessuno dei precedenti congressi magistrali si era avuta una partecipazione così attiva e determinante della base. Infatti, ad opera specialmente dei maestri rurali e della stampa scolastica, furono in gran parte rovesciati gli intendimenti dei promotori. L’ordine del giorno dei lavori prevedeva innanzitutto l’esame di questioni pedagogiche e didattiche; il Congresso volle discutere in primo luogo sulle condizioni economiche, giuridiche e morali dei maestri. L’ordine del giorno prevedeva una seduta particolare per la costituzione della Federazione magistrale lombarda; il Congresso volle tenere sedute pubbliche generali per procedere anche alla costituzione della Federazione magistrale nazionale. Ed infatti fu costituita la Federazione lombarda, ma fu anche eletto un Comitato provvisorio per un anno, ma esecutivo, con l’incarico di mandare ad effetto un vecchio ideale: "la Federazione Nazionale delle società magistrali italiane". Il Marcati, che ebbe parte attiva nei lavori del congresso, fu eletto fra i sette membri del Comitato. Restio ad assumere incarichi nelle organizzazioni di categoria, accettò dopo qualche esitazione e solo perché - così scrisse qualche tempo dopo - "il dovere mi obbligava ad accettare".

Un altro argomento, cui il Marcati attribuiva la massima importanza, fu vivamente dibattuto: quello dei rapporti fra maestri e lavoratori. Il Marcati aveva sempre sostenuto che le associazioni dei maestri non dovevano preoccuparsi delle sole esigenze della classe magistrale, ma dovevano mirare - con l’appoggio delle classi lavoratrici - al miglioramento di tutta la scuola primaria, nell’interesse del popolo e della nazione. Nello stesso tempo, però, in contrasto coi colleghi che proponevano la costituzione di Sezioni di maestri presso le Camere del lavoro, rivendicava una piena autonomia per le società magistrali. E proprio a questa linea si ispirarono le deliberazioni approvate dal Congresso.

Il Comitato eletto dal congresso di Milano si mise subito al lavoro ed il Marcati propose di pubblicare a sue spese, mensilmente, un Bollettino generale delle società magistrali italiane, in modo da fare il censimento di quelle esistenti, dare impulso e pubblicità alle loro iniziative, e favorire la fondazione di nuove società.

L’idea fu accolta e il Marcati lanciò dal Risveglio un chiaro appello alle società magistrali ed ai maestri. Ne seguì un vivo entusiasmo, e molte adesioni giunsero da ogni parte d’Italia. Ma di fatto, solo una ventina di società inviarono documenti e relazioni; e tra queste non figuravano le grandi associazioni di Torino, Venezia, Roma, Napoli, Palermo, "che pure avrebbero dovuto sentire il dovere di incoraggiare, di aiutare chi almeno tentava di fare qualcosa!" (Il Risveglio del 16 febbraio 1895).

Il Marcati, profondamente amareggiato, commentò: "... i fatti dimostrano che i maestri alla Federazione non ci tengono". Ma continuò con fiducia la sua battaglia, dandole sempre più ampio respiro, e sollecitando i maestri ad uscire dalle ristrette pareti dell’aula per mirare e realizzare un programma più civile, più vasto, più umano.

In vista del grande congresso di Roma, che vide riuniti nella Capitale, in occasione del 20 settembre 1895, oltre duemila maestri e i rappresentanti delle maggiori società magistrali e dei più quotati periodici scolastici, rivolse ai congressisti un caloroso saluto e raccomandò di unire all’entusiasmo patriottico quello tendente a raccogliere in una forte associazione tutti i maestri d’Italia: "... come l’unione degli Italiani diede Roma alla Patria, così l’unione dei maestri deve dare ad essi la Federazione Nazionale, che da tanto tempo, da troppo tempo ormai, è inutilmente la speranza, il voto, lo scopo di tanti congressi. Sì: nel congresso di Roma, tanto più solenne per la solennità del momento e del luogo in cui è tenuto, vibri forte, alta, efficace la voce della nostra Unione, e trovi radici profonde il realizzarsi di questo grande e bel sogno. - Ma i propositi non si dileguino dagli animi nostri appena ci saremo separati per tornare alle nostre scuole" (Il Risveglio del 10 settembre 1895).

Egli stesso si recò a Roma e nella seduta pomeridiana del 23 settembre, riferito sul lavoro svolto dal Comitato lombardo, presentò il seguente ordine del giorno: "L’assemblea, ritenuto che debbasi da tutti gli amanti della pubblica istruzione lavorare assiduamente ad elevare la condizione morale e materiale dei maestri, riconosce che fattore massimo del miglioramento della classe dei maestri deve essere la riunione di tutte le forze magistrali in una grande federazione nazionale, e fa voti perché questo ideale da tanto tempo vagheggiato, diventi, mercè lo sforzo di tutti, un fatto compiuto".

Il congresso approvò l’ordine del giorno Marcati e confermò al Comitato lombardo l’incarico di continuare il lavoro iniziato.

I maestri lasciarono Roma tra il più vivo entusiasmo, ma appena dispersi nei piccoli comuni o sommersi nelle grandi città ebbero più chiara consapevolezza delle gravi difficoltà da superare. In pari tempo compresero ancor meglio che solo il fascio delle loro forze poteva imporsi al Governo e rendere più cauti i terribili accusatori della classe magistrale e della scuola primaria. Vivaci discussioni e polemiche si accesero, ancora una volta, sulla stampa scolastica, nelle società magistrali e fra i maestri tutti.

Erano, quelli, tempi duri per tutti i lavoratori italiani e per i maestri in particolare, perché molti attribuivano ad essi la colpa delle agitazioni sociali che turbavano il duro sonno dei ricchi e dei benpensanti. Il Marcati reagiva con forza, rincuorava i maestri e continuamente ribadiva la sua fiducia nello spirito d’iniziativa e di lotta. Dobbiamo impegnarci a "indirizzare i nostri sforzi - scriveva sul Risveglio del 10 agosto 1896 -, piuttostochè a dare alle nostre società l’indirizzo che vanno ora assumendo, di accademie o di piccoli parlamentini, un indirizzo più conforme alle attuali esigenze della vita", cioè un indirizzo di lotta e di cooperazione.

Ma le grosse e molteplici difficoltà fiaccavano lo spirito di molti maestri, e la lotta languiva. Il Marcati non si rassegnava ed esasperato gridava dalle colonne del Risveglio del 30 settembre 1896: "V’ha clamore che presagisca prossima una superba lotta, e ci faccia respirare in un sogno eroico e palpitare virilmente di dolore e di gioia? - Ahimè! Tutto tace. - Sui campi desolati della scuola elementare, già aperta ai forti, fumigando fermentano germi esiziali... Quali frutti dettero tanti anni di lotte, di sacrifici, di lacrime?".

Approfondendo l’indagine, giudicò che la salvezza poteva venire all’intera classe soltanto dalle associazioni delle grandi città. Ma queste sembravano incapaci di vedere al di là delle loro mura. Decise perciò di affrontare anche questo aspetto del problema. Innanzitutto mosse rimprovero alle grandi società magistrali per la forte dose di egoismo che le pervadeva, e ai maestri portò ancora una volta l’esempio degli operai, uniti "nelle cause giuste ed ingiuste" da "un nobile sentimento di fraternità". "E’ tempo dunque - scrisse sul Risveglio del 14 novembre 1896 - che le società magistrali escano dal gretto programma in cui si sono fossilizzate; è tempo che si impongano un più alto e nobile compito; è tempo che i maestri d’Italia fraternizzino, e che quelli delle campagne trovino nei meno sfortunati colleghi delle città, conforto di consigli e di opere, corrispondenza di pensieri e sentimenti".

Alla voce del Marcati risposero cento altre voci e la discussione divampò - tra la fine del 1896 ed i primi del ‘97, e specie in vista delle elezioni politiche del 21 marzo - sulla stampa scolastica e tra i maestri. Molti portarono ad esempio le lotte e le conquiste dei ferrovieri e avvertirono il "Governo del re" che doveva smettere di abusare della loro "qualità di educatori". E soprattutto i maestri si esortarono l’un l’altro ad unirsi, sicuri che la forza di 50.000 colleghi avrebbe avuto ragione di tutte le resistenze e di tutte le opposizioni.

Considerata, peraltro, l’indecisione delle società magistrali, si andava facendo strada l’idea che l’iniziativa e la direzione del movimento per l’unificazione dovevano passare nelle mani dei giornali scolastici. "Diamo la direzione del movimento ai giornali didattici - scrisse sul Risveglio un maestro - Poiché a mio credere da essi deve venire l’impulso e la parola". (La tesi, come vedremo, giungerà in porto nel 1900-1901 per iniziativa del Marcati).

In quello stesso periodo di tempo, mentre la classe magistrale era in fermento, il Marcati volle spingere lo sguardo più avanti, ponendo sul terreno delle iniziative concrete un altro problema, quello dei rapporti umani, professionali e organizzativi fra maestri e professori.

Ottone Brentari aveva da poco fondato la Scuola Secondaria Italiana ed il Marcati, incoraggiandolo "nell’ardua impresa", propose di unire i loro sforzi per far cadere la freddezza e le incomprensioni esistenti tra maestri e professori, e far sorgere un’intesa fra loro, nell’interesse dell’istruzione e dell’educazione nazionale. "La pacificazione degli animi, così naturalmente gentili dei maestri e dei professori - scrisse al professor Brentari in una lettera pubblicata sul Risveglio del 3 aprile 1897 - non dovrebbe, secondo me, costare le fatiche d’Ercole, e sarebbe veramente un giorno di grande letizia quello nel quale, tolte le cause dei malumori e delle diffidenze presenti, avessimo la fortuna di veder sbocciare fra i membri di una stessa famiglia, sotto il sole luminoso e puro della concordia, il fiore della reciproca stima e del reciproco rispetto".

Il Brentari accolse "con entusiasmo" la proposta partita dal "vecchio e vigoroso" Risveglio: "Dunque - scrisse - il patto é fatto; Ella nel suo vasto campo, io nel mio modesto orticello, lavoreremo allo scopo comune, cercheremo di mettere d’accordo maestri e professori per il bene degli scolari affidatici dalla nazione; e di essa avranno bene meritato Risveglio e Scuola se riusciremo nel nostro intento".

Seguì un’ampia discussione. Tutti gli interventi furono favorevoli alle tesi sostenute dal Marcati ed in particolare alla proposta di costituire un’Associazione generale degli educatori. Ma non si ebbe alcun risultato concreto. Le generose idee dovevano conquistare la coscienza comune prima di dare i loro frutti.

Per un’ associazione generale dei maestri, invece, la situazione sembrava ormai matura. Dappertutto un profondo desiderio di unirsi, anche se ancora alquanto tenace un micidiale spirito di faziosità. E sempre viva la parola incitatrice del Marcati: "Bando alle viltà, bando ai rancori. Formiamo una sola pacifica famiglia, un solo esercito agguerrito e potente" (Il Risveglio del 16 ottobre 1897). E un mese dopo, respingendo le accuse che da più parti si levavano contro i maestri, scrisse: "...codesto scatenamento violento non sarebbe possibile, o lo sarebbe meno, se l’idea della discordia cedesse il passo alla colomba portante il ben augurato ramoscello d’olivo; se agli attacchi virulenti e ignobili rispondesse una sola voce, e una sola azione: la voce e l’azione di tutti gli insegnanti d’Italia stretti insieme da un vicolo cordiale, amoroso, fraterno".

In verità le iniziative dei maestri non conoscevano soste. Proprio alla fine del 1897, ad esempio, la Società fra gli insegnanti di Roma lanciò un nuovo appello a tutte le "società consorelle" per la costituzione della "Federazione fra le società degl’insegnanti primari del Regno", precisando così, nell’art. 2. dello schema di statuto, i compiti della Federazione: "Essa si propone: 1. di propugnare il miglioramento della Scuola Nazionale; 2. di tutelare i diritti e gl’interessi morali e materiali delle società federate e di ciascun membro di esse; 3. di organizzare le forze degl’insegnanti, promuovendo la istituzione di associazioni là ove esse non esistessero ancora".

Il Marcati diede subito sul Risveglio grande risalto all’iniziativa; ma volle in pari tempo ricordare ai maestri le difficoltà dell’impresa e quindi la necessità di "pensare bene, e bene organizzare" la Federazione, se si voleva che rispondesse alle speranze della categoria. Riportò modificandolo in parte, l’articolo del 1° febbraio 1885 e sostenne ancora una volta che per assicurare vita duratura e attiva alla Federazione occorreva porle alla testa un capo autorevole, quasi un dittatore. E unendo, con sano realismo e sorprendente chiarezza, gli insegnamenti del passato alle esigenze del momento e alle possibilità del futuro, scrisse sul Risveglio del 1° dicembre 1897: "Ricordo che allorché, or son dieci anni, esposi questo mio pensiero sul Risveglio, la stampa scolastica mi si scagliò contro con furore gridando che i maestri sapevano fare da sé e non avevano bisogno di tutori. Infatti ... si riuscì a mandare a gambe all’aria tutto, e dopo 30 anni che si predica la Federazione essere una necessità, siamo ancora all’un via uno! - Dio mi guardi dal dire che i maestri, ai quali appartengo, e me ne onoro, non sappiano fare da sé... sanno fare sì: ma é l’abitudine della disciplina che manca, e senza di quella a nulla si riesce, o si riesce a fare delle ciambelle... senza buco.- Quando la disciplina, dirò così di partito, sarà entrata nelle nostre abitudini, quando la Federazione sarà forte e vigorosa, allora facciamo pure da noi... Adesso bisogna piegare il capo e indorare la pillola per quanto possa parere amara, altrimenti la Federazione non si farà, o se si farà, durerà... quanto durarono le altre".

Anche questa volta le discussioni, già vive nella classe magistrale, divennero più intense e vivaci. Si mirava non solo a " svegliare i sonnacchiosi e a scuotere i retrivi"; ma anche a definire i metodi e i mezzi più efficaci per poter realizzare le aspettative dei maestri. Il Marcati - sul Risveglio del 15 dicembre 1897 - ripeté ancora una volta che " il vero intento delle società magistrali" doveva "essere quello di patrocinare la causa dell’intera classe, anziché interessi locali o di ordine secondario". Ma anche questa volta le rosee speranze caddero nel nulla.

C’era davvero di che avvilirsi. Eppure il Marcati non cedeva. Sul Risveglio del 13 febbraio 1898 tornò alla lotta, più sdegnato e più fiero che mai.

L’amministrazione del Monte Pensioni continuava a sperperare "allegramente" rilevanti somme in lusso e gratifiche, mentre lasciava "morire di fame" i maestri; né il Governo si curava di intervenire. Il Marcati denunciò i tristi sistemi di amministrazione del Monte e diede una forte sferzata ai maestri, che ancora stentavano ad afferrare e porre in atto i duri insegnamenti della storia. "Di fronte a questa colpevole noncuranza degli uomini di Governo - scrisse -, che cosa abbiamo opposto noi? - Degli articoli di giornali didattici, buoni, eccellenti,; ma che non sorretti da un’azione energica degli interessati rimasero in buona parte senza frutto...Le condizioni del Monte, rilevate oggi a tutti produrranno il miracolo di scuotere le inerti nostre fibre?... Vedremo. - Non dimentichiamo intanto che le ricchezze del Monte sono sangue nostro: sono il pane tolto, non di rado al povero desco dei nostri figli, sono il frutto di altri sacrifici e di altre tribolazioni, ed è non solo ingiusto, ma inumano, ma ignominioso, che giacciano inoperose, muto ma incessante insulto alle nostre miserie".

Proprio da questo scritto, apparso in uno dei momenti più drammatici attraversati dalla classe magistrale, prese l’avvio, per non più fermarsi, l’ultima fase della lunga lotta dei maestri e del Marcati per la costituzione dell’Unione nazionale.

Tra le molte adesioni, giunse al Risveglio una lettera da Cavriana (Mantova). Autrice Elisa Barosi, una giovane maestra, che esortò il Marcati a porsi alla testa del movimento: "E’ vero; siamo numerosi, ma deboli, perché divisi! L’unione sola ci darebbe la possibilità di forzare, come dice Lei, la mano al Governo, al Parlamento, a tutti. Ma, come ordinarla, come organizzarla, quest’unione, perché sia proprio la leva potente di cui abbiamo bisogno?... Il mezzo, il mezzo! Quello più adatto, più pratico, più sollecito, lo pubblichi sul suo giornale, che è tanto diffuso, e la coorte malandata, stanca, sofferente, apata degli insegnanti elementari si scuoterà come al suono della tromba magica che chiama i forti alla battaglia, e agirà attivamente, efficacemente".

La "bella e forte lettera" della collega di Cavriana risuonò nell’animo del Marcati come la voce stessa della classe magistrale e lo spinse ai più fieri propositi.

Sul Risveglio del 2 marzo 1898 apparve un brevissimo scritto, senza il minimo rilievo tipografico, nel quale, ribadito che da "anni e anni" pensava ai modi di "organizzare seriamente i maestri italiani e muovere così alla conquista di antichi diritti", confessò che "le difficoltà dell’impresa" lo avevano "sempre trattenuto dal tentarla". "In ogni modo - aggiunse -, poiché il bisogno di organizzazione generale si fa sempre più vivo e potrebbe parere ed essere colpa anche il non tentare qualche cosa di serio per raggiungere questo nobile fine, ripenserò ben volentieri a quanto Ella mi propone, e, ove mi riesca di dar forma concreta al disegno che vagheggio, ne dirò presto qualche cosa sul Risveglio, felice se le mie idee potranno essere almeno seme fecondo in un avvenire più o meno lontano".

In verità il Marcati concepì ben presto un vasto programma di lotta.

Le drammatiche agitazioni sociali conferivano nuovo significato al grave disinteresse per la scuola primaria e alle violente accuse e persecuzioni lanciate contro i maestri. E l’inutilità delle insistenti agitazioni magistrali alimentava nuova tristezza e nuovi impulsi di lotta nell’animo dei maestri, più che mai assetati di giustizia e di libertà.

Il Marcati comprendeva tutto ciò e si rese pure conto che il Risveglio educativo, se voleva continuare ad esercitare un’efficace azione nel campo della scuola popoloare e della classe magistrale, doveva assolutamente rinnovarsi.

Doveva offrire un più ricco e aggiornato contenuto culturale, anche sul piano scientifico; doveva dare una risposta più esauriente alle esigenze delle maestre in quanto donne e madri; doveva presentare una didattica più vasta e particolareggiata, in modo da portare un valido aiuto a tutti i maestri, in qualunque scuola o località svolgessero la loro opera.

Doveva, inoltre, scendere in campo con maggiore decisione e coraggio per difendere il prestigio e la libertà della scuola e dei maestri dagli attacchi che si ripetevano sempre più aspri e numerosi.

Doveva, infine, affrontare direttamente l’annoso problema dell’organizzazione delle forze magistrali, sia svegliando più fervidamente nel maestro il sentimento della solidarietà, sia promuovendo e sostenendo con più ferma decisione e più costante impegno la creazione di una grande associazione nazionale.

A tal fine propose al nuovo proprietario della casa editrice del Risveglio, Prof. Giovanni Massa, di apportare nuove sostanziali modifiche al periodico.

Il Massa rimase però sordo ad ogni sollecitazione, anzi, confidò che avrebbe ridotto il formato del Risveglio per realizzare qualche economia.

Posto di fronte a rifiuti così netti, il Marcati – la cui salute era "fortemente scossa" – preferì lasciare la direzione della rivista e concedersi un po’ di riposo.

La rinuncia gli costò un profondo dolore. Eppure seppe distaccarsi dai suoi lettori con grande dignità (1).



__________

[1] Agli abbonati, agli amici, ai lettori.

Il 30 giugno scorso ho, con grande dispiacere, ricevuto dall’egr. prof. Marcati, la lettera che viene in seguito riprodotta. Ogni mia premura per fargli ritirare le dimissioni essendo riuscita vana, non mi rimane che prenderne atto, e manifestare all’egregio amico, col rincrescimento che la famiglia tutta del Risveglio prova per la sua decisione, la riconoscenza mia particolare per l’opera sapiente da esso prestata, e il voto che, rimesso in salute, possa ancora in futuro avere qualche pensiero per questo periodico cui ha dato vita, ha sorretto per tanti anni, e lascia ora prospero e rispettato.

G. Massa

Caro Massa,

La mia salute fortemente scossa da alcuni anni, in causa delle lunghe e continue fatiche, mi obbliga mio malgrado, a rinunciare alla Direzione del Risveglio Educativo e del Frugolino.

Come puoi credere, la rinunzia non è scompagnata da amarezza. Non si fonda un giornale, e non vi si spendono attorno quattordici anni di cure amorose, senza provare, staccandosene, un vivo dolore. Ma, dice il proverbio: Meglio un asino vivo che un dottore morto, ed io ai proverbi di tal fatta sono obbligato a credere ancora.

Ti prego dunque, caro Massa, di accettare le mie dimissioni, e nel tempo istesso, di farti pubblicamente interprete dei miei sentimenti di gratitudine verso tutti coloro che mi coadiuvarono tanto efficacemente nel lungo periodo durante il quale tenni la direzione del Risveglio. Non faccio nomi perché la lista sarebbe troppo lunga, e d’altra parte è viva nell’animo dei lettori del Risveglio la memoria di tutti coloro che lavorarono con ardore sulle colonne del periodico, e furono luce e guida a molti maestri.

Lascio il Risveglio, vigoroso e accreditato, sicuro che il successore che tu sceglierai, continuerà per proprio conto le tradizioni di onestà e di indipendenza che furono le principali doti per le quali il Risveglio fu amato e stimato dagli amici, e, lasciamelo dire, temuto e rispettato anche dai nemici.

A proposito dei quali ultimi, non dimenticarli nel congedarmi dal pubblico, e ringraziali a nome mio, poiché controllando e criticando sempre con soverchia diligenza, e qualche volta con soverchia vivacità e acerbità, il mio lavoro, tennero sempre sveglio e pronto il mio spirito, rendendo così meno imperfetta l’opera mia.

E una parola – la più tenera, la più affettuosa, la più cordiale – rivolgi per me ai maestri e alle maestre, dei quali, si può dire, ho vissuto dal dì che nacqui la misera vita. (Sono figlio di maestri, tu lo sai).

Cari e buoni colleghi! Non dimenticherò mai le innumerevoli prove di affetto che mi deste, e terrò sempre fra i ricordi più preziosi, i conforti che dalle vostre indulgenti parole mi sono tante volte venuti!

Ringrazio finalmente Te pure, caro Massa, che comprendendo i doveri d’un onesto editore, non imbavagliasti, nemmeno col desiderio, la libertà di parola e l’azione del Risveglio, rendendo così meno duro a noi il compito di dire sempre, e a tutti, la verità, o ciò che credevamo verità.

Auguro al Risveglio, con affetto paterno, cento anni di vita, e fò voti perché le severe sue pagine portino sempre alla Scuola beneficio di onesti e utili consigli, e a Coloro che in essa oscuramente lavorano, la calda parola della fede, il giovanile sorriso della speranza, il tenero accento della carità che perdona e conforta.

Abbimi con affettuosa stima.

Milano, 30 giugno 1898 Tuo

G. A.Marcati

All’egr. sig. prof. Cav. GIOVANNI MASSA

Proprietario della Casa Edit. Del Risveglio Educativo

MILANO

(Il Risveglio Educativo, A. XIV, n. 42 del 20 settembre 1898, p. 329 della parte generale)

 

wpeD.jpg (2693 bytes)