La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Il medico degli infermi, il professore degli infermieri. Antonio Alberti, ad un anno dalla morte
di  Nicola Siciliani de Cumis

1. Prima parte

Sono almeno tre le ragioni che suggeriscono di additare la figura di Antonio Alberti all’attenzione dei lettori di un periodico pedagogico.

In primo luogo, infatti, c’è una ragione che si potrebbe definire "di contesto". Nel senso che basta sfogliare i giornali, per rendersi conto non tanto, come si dice, dell’"attualità" dell’impegno in campo formativo-sanitario, ed infermieristico in specie, di Alberti, quanto piuttosto della sua effettiva, non esaurita lungimiranza in fatto di politiche della salute… E, tra i diversi testi della quotidianità che si potrebbero citare al riguardo, occorrerebbe incominciare dalle ricorrenti denuncie della sproporzione esistente, oggi in Italia (ma non solo in Italia), tra la qualità e la quantità della "domanda" e la quantità e la qualità dell’"offerta" del servizio medico e paramedico.

Per esemplificare dalle cronache degli ultimi mesi: Emergenza in corsia. Gli infermieri in più non bastano… Nessuno vuole fare i corsi di infermiere. A Milano disponibili 800 posti ma oggi alle prove di ammissione si presentano in 510… Riforma universitaria: il nuovo percorso formativo applicato pure agli ufficiali. Infermieri, via alla laurea. Dal 2001 tre anni di studio anche per le ostetriche. Per la Difesa ci si adegua così agli standard dei corsi europei definiti d’intesa tra atenei e accademie militari. L’esame finale permetterà agli studenti di ottenere subito l’abilitazione alla professione sanitaria… Infermieri, specie in via d’estinzione? Di sicuro è una professione in crisi. D’identità ancor prima che in numeri assoluti. Che però la dicono lunga: per far fronte alle richieste delle strutture sanitarie sono in arrivo 2.500 lavoratori della Spagna. Ma perché c’è tanta carenza? Iter formativo non sempre adeguato, mansioni gravose e generiche, per lo più sottopagate: anche se presenta buone opportunità d’occupazione, questo mestiere non attira più nessuno… ecc. ecc. (cfr. quindi, dell’anno passato, il Giornale del 12 settembre; Il Sole-24 Ore del 18 settembre; la Repubblica del 9 novembre; Il Salvagente del 2-9 novembre). Dall’altra parte, invece, i bisogni (non soltanto "fisici", ma anche "mentali", "culturali" e "morali") della gente. Così, per esempio, nella rubrica "Specchio dei tempi" di La Stampa del 2 aprile 2000, la proposta della lettrice Irena Gasperetti: Pubblicare una recensione-critica sugli ospedali uguale a quella che si fa per i ristoranti. Nei seguenti termini:

" La Stampa è il giornale che entra tutte le mattine nelle nostre case per informarci di ciò che accade in Italia, nel mondo e nella nostra città. E’ molto ascoltata la voce dei lettori, questo è un grande merito del giornale. C’è una rubrica sui ristoranti e sugli alberghi tenuta da Raspelli, è molto piacevole, competente, spregiudicata e senza peli sulla lingua. Interessa però da un punto di vista di curiosità perché pochi potranno frequentare quei luoghi. Proporrei di fare un’analoga rubrica sugli ospedali che descrivesse altrettanto minuziosamente le corsie e mettesse allo scoperto – come giusta osservazione di cronaca – il disastro in cui si vivono certe dolorose realtà. Darebbe una mano a proteggere la categoria più indifesa, più debole e più bisognosa di attenzioni, di rispetto, di professionalità, di igiene: gli ammalati […]".

Ebbene, sembra forse possibile sostenere che tutta quanta l’opera di Alberti sia andata sempre, e vada, in questa direzione. Che cioè sia stata essa stessa, nelle sue peculiarità e nei suoi limiti, il tentativo di contribuire da par suo a "scrivere" quella pagina di medicina che in Italia, soprattutto al Sud, ancora manca; e dunque, di formulare quell’ipotesi di intervento oppositivo ed al tempo stesso propositivo che, avendo cura delle supreme "ragioni degli ammalati", finisse direttamente o indirettamente con il riguardare non solo gli ambiti locali, nazionali ed europei, ma pure quelli più ampiamente planetari, umani, del complessivo argomento sanitario. Se è vero ciò che, sulla scorta di alcuni testi usciti su The New Yorker, The Washington Post, The Nation, ecc., tra l’aprile 1998 e il febbraio 2000, vengono a scrivere Romeo Bossoli e Eva Benelli nella Prefazione al volume Medici impazienti. Cinque storie su medicina e morale [A cura di Elena Boille], Roma, Indice Internazionale, dicembre 2000, p. 8:

"[…] medicina e salute. Due settori che oggi sono in testa all’indice di gradimento dei lettori di tutti i grandi (e meno grandi) media del pianeta. Ma che sono anche, dopo le pensioni, il più grande fattore di spesa pubblica e privata nei paesi dell’area Ocse (Organizzazione di cooperazione e di sviluppo economico).

In questi cinquant’anni la salute si è imposta prima come un diritto universale e poi come grande occasione di consumo. Sono stati passaggi rapidi e sconvolgenti. Se vi andate a vedere (si trova anche in videocassetta) Pranzo reale, un film ambientato nella Gran Bretagna dell’austerity post bellica, potrete godervi la battuta di Denholm Elliott, medico preoccupato del fatto che, con i laburisti al governo, "toccherà curare anche i poveri"."

Quanto ad Alberti, all’opposto, basta ricordare a questo proposito le cure da lui riservate all’aspetto meridionalistico del problema, cioè al povero suo mondo (proprio in quanto parte dei molti e diversi "Sud del mondo"): e, in tale ambito, l’attenzione prestata alle tematiche della "prevenzione e lotta contro l’AIDS", della "prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza", della "cura dell’infanzia e degli anziani", della "bioetica e dintorni", della "legislazione in materia di prestazioni farmaceutiche" ecc. Tutte questioni, secondo Alberti, di forte impatto formativo e ri-formativo: e sia sul terreno della divulgazione scientifica e delle politiche culturali, sia su quello della istruzione e della scuola, e dunque - come si diceva più sopra - sul terreno della "mediazione" dell’ "educativo". A partire per l’appunto dai media e dal loro uso. Scrivono d’altra parte gli stessi Bossoli e Benelli (cfr. l’op. cit. p. 11), riformulando per altro concetti non estranei al programma educativo-rieducativo di Alberti:

" Il paziente di oggi e, ci possiamo immaginare, ancora di più quello di domani, è un paziente che sa. Ha ricevuto per canali diversi da quelli canonici del rapporto con il suo medico (televisioni. Giornali, internet), talmente tante informazioni che semmai il suo problema è quello di discriminarle. Di scegliere."

In secondo luogo, e nella medesima ottica pedagogica di cui qui si vuol dire, la ragione di un ricordo di Alberti in questa sede risiede nei testi "tecnici" ed insieme "politici", per usare la sua stessa (gramsciana) terminologia, che variamente ne documentano il pensiero e l’azione. E sarebbe sufficiente, a questo proposito, scorrere semplicemente l’indice degli interventi parlamentari da lui firmati, per rendersene in qualche modo conto. Non c’era stato del resto in Italia, in Calabria, tra l’Otto e il Novecento, un medico sociale ed un politico-etico come Pasquale Rossi? E, dopo, alcuni decenni prima di Alberti, che dire del "precedente" Umberto Zanotti Bianco? Non è un caso, del resto, che questi ultimi due abbiano svolto un certo ruolo "formativo" in rapporto alla Croce rossa italiana; e che entrambi, ferme restando le loro differenze "storiche", e di indole e di cultura, abbiano rivolto la necessaria, conseguente attenzione alla "alfabetizzazione" della "professione infermiere", all’"igiene sanitaria" sia "individuale" sia "sociale", ai collegamenti tra il "medico" ed il "paramedico", e tra il medico-paramedico e il "civico", il "politico" ed (ancora) l’"etico". E ciò, per arrivare, sempre e comunque, al paziente, e a quello povero anzitutto.

Da questo punto di vista, assai significativi ed importanti (tali da dover essere sistematicamente reperiti e riletti, e datati ed interpretati) risultano gli interventi dell’Alberti senatore della Repubblica (IX e X Legislatura, e tanto in sede referente, quanto in sede deliberante), su diverse complesse questioni: così, tra l’’83 e l’’87, in fatto di "Norme in materia di pubblicità sanitaria" ed a proposito dell’"Università" come motivo prioritario di "sviluppo della regione Calabria" (non meno che le "attività economiche e sociali"); e quindi la serie degli specifici contributi parlamentari in tema di "Nuove norme per l’ammissione ai corsi di abilitazione alle funzioni direttive istituiti presso le scuole professionali per infermieri" e "Apporto dell’Università allo sviluppo delle scienze infermieristiche e alla formazione degli operatori infermieristici per le professioni sanitarie e per l’insegnamento".

Contributi offerti talvolta (e va sottolineato) nella sede delle Commissioni riunite 7^ (Istruzione pubblica) e 12^ (Igiene e sanità), e concernenti quindi (per lo più nella Commissione 12^) le "Norme per la formazione dei dirigenti delle unità sanitarie locali ed istruzione della scuola superiore di organizzazione sanitaria", la "Nuova disciplina della prevenzione, riabilitazione e reinserimento sociale dei tossicodipendenti a norme per la repressione del traffico illecito di droga", i "progetti per la crescita, la maturazione individuale e la socializzazione della persona di età minore", la "Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate" ecc. Anche se è il "quadro di valore", la filosofia e la pedagogia implicite che presiedono ai suddetti interventi, a meritare una rilettura critica ed autocritica, da parte di chi ancora tenta di risolvere gli stessi problemi, già affrontati da Alberti. E così per esempio, alla metà degli anni Settanta, discorrendo di Medicina e società, in occasione del X Congresso Nazionale (Catanzaro, 30 settembre – 3 ottobre 1976), e facendo proprie le esigenze precipue della base degli utenti del servizio sanitario, quando egli precisa:

"Stiamo vivendo – noi tutti, medici, operatori sanitari, cittadini – la fase terminale di un periodo della storia della medicina moderna che in circa due secoli di evoluzione ha avuto periodi esaltanti e periodi di crisi, momenti di stasi apparente e momenti di progresso apparente […]. Intanto i medici tendono a diventare tecnici; senza acquisire la metodologia di base, che si acquista attraverso l’osservazione attenta del malato ed il rilievo accurato dei segni e lo studio della storia naturale delle malattie ed il loro substrato anatomico, diventano interpreti di macchine che non hanno costruito, di cui spesso conoscono appena il funzionamento, di strumenti cioè che non fanno parte della loro cultura; usano farmaci di cui conoscono sommariamente l’effetto terapeutico, ma non l’eventuale effetto nocivo; anche loro vittime del mito si accontentano del ruolo ambiguo di passivi intermediari fra macchina e malato, fra farmaco e malato."

E pedagogicamente mediando, in termini assai suggestivi ed efficaci, Alberti continua:

"Gli infermieri diventano paramedici; il loro ruolo si sposta quindi da assistenti dell’infermo ad assistenti del medico; l’assistenza cede il posto all’efficienza in una confusione di ruoli che incide prima che nella professione, addirittura nella formazione dell’infermiere.

Nelle scuole professionali gli insegnanti sono prevalentemente medici ospedalieri che creano infermieri più adatti alle loro necessità tecniche che ai bisogni dei malati; vengono impartite in modo preminente lezioni di medicina che in definitiva non servono ad introdurre gli allievi "nel pensiero medico" da cui sono necessariamente tenuti fuori, ma a trasmettere loro il linguaggio tecnico, il codice attraverso cui gli ordini verranno trasmessi ed eseguiti; mentre il loro ruolo nell’assistenza pretenderebbe una più adeguata preparazione nelle scienze umane e politiche più adatta alla vocazione della loro professione e più vicina alla loro cultura."

E conclude, lucidamente:

"Così formati, lontani dal pensiero medico e dalle necessità reali dei malati, finiscono con l’occupare, ancorché il ruolo centrale che a loro competerebbe, un ruolo marginale: efficienti, silenziosi e docili robots al servizio di una struttura, quella ospedaliera già alienata dai suoi compiti ed alienante per chi – medici, infermieri, malati – è costretto a viverci dentro."

 

wpeD.jpg (2693 bytes)