La Mediazione PedagogicaLiber Liber

La figura di Antonio Amante, preside del Liceo Tasso 1.
di  Longino Contoli

Ho letto il bel volume Un liceo per la capitale dedicato al liceo Tasso, apprezzandone, nei limiti delle mie possibilità, numerosi aspetti, sostanziali e formali.

Mi ha colpito, d’altra parte, la netta disparità di valutazione su di una figura del passato, il preside A. Amante, fra le testimonianze personali (molto ricche di umanità: P. Decina Lombardi, M. A. Garaguso Di Porto, G. Andreotti, S. Curzi, V. De Benedetti) e tre capitoli più dichiaratamente “storici” (in parte, Dalla caduta del fascismo alla scuola media unica di F. Pesci; ma soprattutto Gli anni del fascismo, di Carlotta padroni e le tre pagine intitolate Appunto per una storia del Tasso – con relativa ricerca preliminare – di U. Serafini), i quali ultimi, con dura severità (e, spesso, con le stesse parole) ne hanno messo in evidenza veri o presunti aspetti negativi.

Così, sulla figura e sul ruolo di mio nonno viene espresso di gran lunga il peggior giudizio personale (anzi, l’unico negativo; anzi, una vera e propria stroncatura!) di tutto il libro; si scrive di “decisa involuzione della tradizione liberale dell’istituto; “fascista per opportunismo”; “raccomandazioni alle quali il preside non poteva non essere sensibile”; “il buco nero del preside Amante; il Tasso diventa un po’ caserma” e così via.

A. Amante era mio nonno. Un nonno che ho teneramente amato ed ammirato (anche se, politicamente, non ho mai condiviso le Sue idee) e la cui morte mi ha addolorato come nessuna altra tragedia della mia ormai lunga esistenza.

Comprendo bene come lo storico debba essere freddo e distaccato, persino crudele, nel valutare quanto più obbiettivamente possibile i fatti; e non pretendo certo proprio io, così coinvolto dalla parentela e dall’affetto, di poter in qualche modo influenzare il convincimento maturato e che, affidato alle stampe, condizionerà a lungo il giudizio che di mio nonno avranno coloro che si usava definire “i posteri”.

Vorrei solo chiedere ai suddetti storici se, nello stendere le loro sentenze, non abbiano avuto qualche, pur se inespresso, dubbio:

- Se mio nonno fu ostentatamente un “fascistone”, non avrebbe potuto con ciò prefiggersi anche e non da ultimo di agevolare (o, a volte, addirittura proteggere) la scuola ed i suoi professori ed allievi? Di ciò vi sono molte indicazioni scritte in tempi non sospetti, quando cioè il fascismo era crollato ed il potere di mio nonno al Tasso abolito dall’epurazione. Si noti, in particolare, che E. Grossi, nel libro giustamente lodato (“presenza di grande prestigio”; “autorevole storico, geografo”; “aperto alle idee politiche di professori e collaboratori” in un “clima di liberalità durante la presidenza”, ecc.) ebbe a considerare con grande familiarità e stima mio nonno, sino a designarlo come suo ottimale successore in pectore; fu il Grossi, poi, ad insistere presso mio nonno affinchè, per il suo bene, si iscrivesse al PNF. E da varie lettere vergate di getto emerge il non facile percorso che ha portato tanti a superare la prima impressione nei confronti di mio nonno; così, ad esempio, il Nardi, anch’egli positivamente ricordato nel volume in oggetto, scrive che, capitato in un istituto presentatogli come “superfascista”, fu dapprima diffidente anche verso il preside e se ne stette alla larga da lui; ma presto si accorse del “linguaggio e contegno apertamente antifascista” di molti colleghi; si meravigliò come uno di questi, il Pucci, fosse stato scelto dal preside come vicepreside ed addirittura difeso dalle denuncie di un alunno, cosa ripetutasi per altri colleghi; si accorse gradatamente che il preside, nel trasmettere ai professori gli ordini superiori pervenutigli, permetteva che non se ne tenesse conto e, anzi, “usando della fiducia delle superiori autorità, li ebbe più volte a salvare dalle persecuzioni” di chi vedeva, nel Tasso, “una specie di ‘vigilato speciale’ con la guardia del corpo alla porta”; comprese che “certe manifestazioni fasciste” di mio nonno “tendevano a stornare dal Tasso l’accusa di antifascismo che già si sussurrava a carico di alcuni insegnanti da lui difesi”; ciò fu confermato, in Nardi, dopo il 25 luglio 1943; ad esempio, Nardi attesta che, nel 1944, mio nonno lo “incoraggiò a commemorare Mazzini in senso antifascista, il 29 marzo”, cosa giustamente ricordata ed addirittura esaltata nel volume in esame!

- Non potrebbe, tale chiave di lettura, riguardare anche l’episodio del busto di Bruno Mussolini 2? A tal proposito, è noto, agli storici, che il busto fu mandato a ritirare su ordine del Ministro? E che lo stesso Cervi fu difeso da mio nonno contro certe prepotenze di regime?

- Non sarà, l’interpretazione della consuetudine tra mio nonno e Benito Mussolini, un po’ troppo semplicistica? Dalle parole ad essa dedicate, emerge quasi il quadro di un’associazione a delinquere, ma vi sono argomenti precisi che non fu così; Benito Mussolini, tra i suoi molti difetti fra il grottesco ed il tragico, non ebbe quello di trascurare l’istruzione dei suoi figli; ed i bassi voti spesso da essi ricevuti al Tasso ed anche, in particolare, da mio nonno poterono essere, per Benito Mussolini, una garanzia di insegnamento non condizionato da piaggerie o da servilismo, come sarebbe potuto succedere altrove… Del pari, non potrebbe ciò andare ad onore del modo di insegnare e di guidare l’insegnamento che era proprio di mio nonno?

- Si conosceva abbastanza la personalità di mio nonno, per poterlo valutare e definire così drasticamente? Ad esempio, egli fu, in gioventù, più che un antifascista in senso stretto, un liberale laico e “dannunziano”, positivista e nazionalista, ma con idee politiche più estetizzanti che realistiche, come molti intellettuali d’allora; portato, semmai, dalle circostanze, ad una posizione di estrema destra che non gli era propria; di ciò fanno fede numerosi elementi a mio avviso non conosciuti o valutati a sufficienza.

- Non ci si sarà lasciati influenzare da una certa antipatia viscerale per “il personaggio” (si noti che, fra i tanti soprannomi e nomignoli di docenti e presidi attribuiti dagli studenti, solo per mio nonno viene usata l’espressione “bollato dagli allievi”; se i particolari possono essere rivelatori…), così da non considerare con lo stesso metro gli elementi negativi e quelli positivi, pure numerosi nei documenti, oltre che nelle testimonianze di professori ed allievi? Esemplare, in proposito, la citazione di Andreotti, privata della frase conclusiva (“Non mi risulta che prese il lutto per questo” 3), la quale, in originale, conferisce a mio nonno un tocco di distaccata superiorità rispetto ai costumi fascisti! Ma ciò, per gli storici, non rientrava forse nel quadro complessivo che si erano già precostituito… Rientra in tale atteggiamento anche l’assenza, solo per mio nonno, di qualsiasi valutazione positiva culturale e gestionale; eppure, ciò si sarebbe potuto desumere, ad esempio, dalle iniziative numerose ed innovative intra ed extra moenia a favore degli studenti, spesso pagate anche di tasca sua, nonché da numerose pubblicazioni e dichiarazioni autografe di stima da parte di illustri colleghi, professori e discepoli (documenti, ancora una volta, risalenti ad epoche non sospette e persino a vent’anni dalla caduta del fascismo), fra i quali (si noti) molti fra quelli ampiamente e giustamente esaltati nel volume (come L. Costanzo, V. Cuzzer, M. Nacinovich, B. Nardi, A. Savioli, A. Traglia) o da altri autori del volume in questione (come G. Ardizzone, L. Celledoni, T. Paielli). D’altra parte, che le espressioni umane e buone nei confronti di mio nonno non riguardino solo una “memoria storica che risente del tempo trascorso”, lo dimostra più di un documento d’allora; in proposito, esistono testimonianze scritte ben più numerose di quelle qui ricordate.

- Non potrebbe essere, la documentazione “storica”, un po’ lacunosa? Lo farebbero sospettare talune non trascurabili trasandatezze: ad esempio, le vaghe e non dimostrate affermazioni circa le presunte stragi didattiche selettive contro allievi ebrei agli esami, all’atto prive di qualunque riscontro numerico verificabile; oppure (e non c’entra direttamente con mio nonno), la disinvolta attribuzione alla resistenza di un “professore di ginnastica”, in contrasto con la testimonianza, oggi (R. Inverardi, nel volume in oggetto) come allora di varie fonti di prima mano (Caniglia, Carpentieri, Savioli)… Non potrebbe, tale sbrigatività affrettata di giudizio, essere stata applicata anche a mio nonno?

- A tal proposito, non sarebbe stato opportuno chiedere alle persone succitate ed eventualmente a me, che avevo fornito qualche documento al Presidente Prof. Santese, ulteriori elementi conoscitivi su mio nonno, prima del… giudizio finale?

- Se si avrà la pazienza di leggere i documenti allegati, potrà sorgere almeno il sospetto che mio nonno, nel suo presunto opportunismo, non abbia di propria autonoma volontà fatto del male a nessuno, nemmeno indirettamente, con particolari favoritismi (di solito, chi dà positivo seguito alle raccomandazioni, non ne lascia traccia negli archivi pubblici…); ma, anzi, abbia fatto del bene e molto ed a molti, come ricordano giovani e meno giovani d’allora, quali Biffi, Cariglia, Crea, lombardi, Minasi, Morgante, Orlando, Pischedda, Soria, ecc.; come riconobbe la stessa commissione d’epurazione.

Insomma, mio nonno non fu certo un eroe, anche se corse qualche rischio, da parte dei colpi di coda del morente fascismo; ma, se fu un “opportunista”, lo fu anche a favore, non contro la scuola, i professori, gli allievi; insomma, dalla parte giusta; e, del resto, la vita stessa si basa sulla sopravvivenza, ai sensi della quale gli eroi appaiono solo delle belle, sfolgoranti eccezioni, ma di norma inadatte, di per sé, alla lotta per l’esistenza propria e dei valori per i quali si battono. E quanti eroi debbono a banali “opportunisti” la possibilità di vivere e di lottare? E quanti, all’epoca e non solo, furono e sono “opportunisti” per fini ben più personalistici?

Un’ultima cosa si deve sapere, in conclusione; mio nonno soffrì molto, quando venne allontanato dalla scuola cui aveva dedicato gran parte della Sua vita; piangeva come un bambino, fra le mie braccia di bambino che cercavano di consolarlo, pur senza capire ciò che stava accadendo.

Se può esistere una catarsi, tramite il dolore e la sofferenza, per gli eventuali errori commessi, mio nonno se ne guadagnò il diritto. Si sappia dunque, che tale non so quanto meditato sdegno si è rivolto a chi era già stato abbondantemente colpito dagli eventi e dalla vita stessa.



1 Due membri della redazione di questa rassegna: Furio Pesci e Carlotta Padroni hanno partecipato l’anno scorso ad un lavoro a più mani volto a ricostruire la storia di uno tra i più famosi licei romani, il Tasso. Ne è risultato il volume curato da Filippo Mazzonis, Un liceo per la capitale (Roma, Viella, 2001) che ha riscosso attenzioni e apprezzamenti nel corso delle presentazioni ufficiali ed anche un buon esito editoriale.
Naturalmente, non sono mancate anche alcune critiche, tra le quali, quella di Longino Contoli, che qui pubblichiamo. Abbiamo deciso di renderla nota, dopo aver intrattenuto anche un rapporto epistolare volto a precisare intenzioni e contenuti del nostro lavoro, da lui messi in discussione. Proponiamo, pertanto, ai lettori – d’accordo con l’Autore - il testo di una comunicazione di Contoli a noi autori del volume, perché ci sembrano significative della difficoltà che oggi si incontra nella ricostruzione storica (e già nella stessa “discussione” quotidiana, forse anche a causa del clima politico in cui viviamo) di periodi e contesti complessi e controversi come senza dubbio è stato ed è tuttora il fascismo. Antonio Amante fu preside del Tasso negli anni conclusivi del regime fascista, in un periodo in cui tra gli allievi di quel liceo erano anche i figli dello stesso Duce. Di qui una certa varietà di interpretazioni sul suo operato, dati anche i suoi trascorsi “non fascisti” prima del regime. Sulle nostre conclusioni, volte peraltro ad inquadrare la figura di Amante nel contesto del tempo e della storia dell'’stituto, si è soffermato criticamente Longino Contoli nel testo qui proposto, che a noi sembra significativo anche per un altro aspetto; esso mette in luce lo “scarto” potenzialmente esistente tra la dimensione “pubblica” di circostanze e figure del passato e la dimensione “privata”, la difficoltà di cogliere attraverso i documenti scritti e orali, ufficiali o “ufficiosi”, le pieghe degli eventi nella loro contraddittorietà. In questi casi si mostra nella sua profondità il problema fondamentale del rapporto, sempre in divenire, tra il “documento” e l’inevitabilità dell’interpretazione.
Chi di noi ha collaborato al volume sul Tasso è consapevole di pregi e limiti del lavoro svolto; soprattutto, le nostre valutazioni (meditate, sulla base di un’impostazione di pensiero democratica e, quindi, lo riconosciamo, propensa a considerare il fascismo per quello che fu, cioè un regime dittatoriale, in tutte le sue espressioni, anche nella scuola) si sono, comunque, sempre rivolte alla storia dell’istituto e le considerazioni su singole figure sono funzionali a questa ricostruzione, in particolare per quanto concerne il liceo frequentato dalla famiglia Mussolini nel periodo più rigido del regime. Abbiamo avuto modo, nei nostri scambi epistolari, di intenderci reciprocamente con il nostro interlocutore su questi punti e in particolare sull’umanità del suo congiunto e, alla luce di ciò, abbiamo preso e concordato l’iniziativa di pubblicare il suo testo per testimoniare anche così che quanto è stato scritto, ovviamente senza alcuna presunzione, non ha messo in alcun modo in discussione il lato umano della persona, ma prende in considerazione solo la storia del Tasso nel suo insieme, anche con raffronti comparativi che illustrano il passaggio da un’epoca all’altra, rispettando assolutamente lo spessore umano e le emozioni di chi ha vissuto quei momenti difficili.
Lasciamo ai lettori l’approfondimento e il giudizio, rimandando, eventualmente, al volume in questione; ci corre l’obbligo di aggiungere che ci è giunta dall’Autore una documentazione ampia, che in un primo tempo avevamo deciso di pubblicare in appendice al testo; abbiamo, tuttavia, preferito non farlo, data l’impossibilità di conseguire in tempi brevi l’accordo degli interessati. Il testo risulta, così, in alcuni punti, di qualche difficoltà alla lettura, per chi non conosce quei documenti, ma a noi sembra comunque chiaramente comprensibile il pensiero del suo Autore che qui, sinceramente, salutiamo.

2 Il riferimento è alla rimozione del busto di Bruno Mussolini, caduto in guerra a 23 anni d’età, che fu rimosso già nel luglio del 1943 dall’atrio del liceo in cui aveva studiato fino a pochi anni prima.

3 Si parla del cartoncino di saluto inviato dal preside Amante agli allievi che avevano terminato gli studi, superando l’esame finale; il biglietto fu criticato dagli studenti fascisti perché al posto del saluto romano il preside aveva porto una “vigorosa stretta di mano”.

 

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