La Mediazione PedagogicaLiber Liber

Remo Fornaca, la politica scolastica della Chiesa e la "sussidiarietà"
di  Giacomo Cives

2. Sei fasi successive, dall’Unità ad oggi

Eccoci allora alle diverse fasi delle prese di posizione sulla scuola in Italia da parte della Chiesa cattolica. Una prima, dall’Unità alla fine dell’Ottocento, vede l’opposizione frontale alle leggi Boncompagni del 1848 e Casati del 1859 rivendicando lo spazio per le proprie scuole e opponendosi ai nuovi modelli di cultura laica in espansione a ispirazione liberale, positivista, socialista, massonica. Interessante qui l’osservazione che i capolavori della letteratura infantile del tempo, Pinocchio del 1883 e Cuore del 1886 indichino il riscatto dalle deviazioni del disordine e dall’anarchia in direzioni delle virtù civili “senza condizionamenti e presenze confessionali” (p.31). Chi scrive ricorda lo stupore negli anni della sua adolescenza per aver ascoltato la serrata requisitoria di un celebrato predicatore nella chiesa romana di Cristo Re contro “il libro Cuore”, privo dell’ispirazione e della presenza religiosa. Ma erano ormai gli anni del declino del fascismo a cui il testo di De Amicis colla sua venatura ambigua (cfr. Hazard) tra liberalismo e in qualche misura nazionalismo era stato particolarmente caro, e il rapporto tra Stato e Chiesa andava ponendosi ormai in termini diversi (e sui due libri si potrà vedere anche Giacomo Cives, Da Pinocchio a Cuore: due fortune molto diverse, in “Scuola e Città”, a. XVIII, n. 1, 31 gennaio 1997, pp.13-23).

Interessanti anche le osservazioni di Fornaca sulle aspre critiche cattoliche della legge Coppino del 1877 rivolte esclusivamente all’eliminazione del catechismo senza considerazioni e apprezzamenti sul rafforzamento, pur così reticente e inadeguato, dell’obbligo scolastico e dell’educazione popolare. Ma qui una caratteristica si può dire costante della animosa e ritornante polemica della Chiesa sul problema della scuola, chiedendo la presenza e il potenziamento dell’insegnamento della religione cattolica in tutti i gradi della scuola statale, e la valorizzazione della scuola cattolica, giuridica e poi finanziaria col sostegno statale. Questa visione unilaterale e monocorde, cui già si è accennato prima, troverà qualche integrazione di tipo sociologico negli ultimi decenni e comunque dopo il Concilio Vaticano II. Ma sarà questo un discorso secondario e marginale rispetto a quello principale delle due rivendicazioni indicate, sempre confermate.

Una seconda fase nell’Italia liberale dall’inizio del secolo fino all’affermazione del fascismo vede comunque nel paese un’avanzata consapevolezza delle esigenze, delle istanze sociali e dell’educazione popolare caratteristica dell’età giolittiana e un incontro tattico coi liberali dei cattolici entrati con successo nella scena politica: siamo al Patto Gentiloni del 1913, alla nascita del partito popolare del 1919, ai progetti Croce del 1920, pur non coronati da successo, per l’esame di Stato e l’abilitazione delle classi aggiunte col contenimento delle iscrizioni alle medie. Si sta comunque realizzando un avvicinamento ideologico ai cattolici degli idealisti, che darà presto la copertura culturale a ben più concreti accostamenti politici. In questo senso tra le altre notizie poco note ricordate da Fornaca c’è anche quella del parere favorevole dato nel 1920 da don Sturzo, interpellato, alla nomina di Croce ministro.

Siamo così a un terzo periodo, quello del fascismo, che è segnato - a parte i temporanei screzi, si può notare, dal 1930 sul ruolo dell’Azione cattolica – da un pieno accordo tra dittatura e Vaticano, che per opera del ministro appunto idealista Gentile e poi del Concordato del 1929 ottiene l’esame di Stato, l’insegnamento della religione cattolica controllato dalla Chiesa nella scuola materna ed elementare prima e poi anche nella scuola secondaria, gli istituti del pareggiamento e della parificazione.

La quarta fase, quella del secondo dopoguerra, vede all’inizio le spinte contrapposte di quelle forze laiche democratiche che aspirerebbero a far cadere il Concordato e di quelle cattoliche che vorrebbero superare per le scuole cattoliche ogni vincolo e controllo dello Stato. Significativo il caso della nascita nel 1943 (R. Fornaca, op. cit., p.96) a Mazara del Vallo di scuole cattoliche, per iniziativa dell’Arcivescovo, che intendono non essere sottoposte ai provveditori, adottare propri programmi e ordinamenti e rilasciare gli stessi titoli delle scuole statali. Rappresentativa pure la figura del cardinale di Palermo Lavritano (pp. 97-98) che prima, durante e dopo lo sbarco alleato in Sicilia si adopra al massimo per il potenziamento della scuola cattolica, la nascita della Democrazia Cristiana e la lotta ai partiti laici, nonchè per l’allontanamento di quei funzionari che reputa non favorevoli alla causa sua e della Chiesa. L’accordo dei partiti nati dalla Resistenza porterà alla Costituzione e alla conferma con l’art. 7, recependolo, del Concordato. Ma ben presto l’affermarsi dell’egemonia politica della Democrazia Cristiana, particolarmente pressante in campo scolastico ed educativo, sia pure non senza presenza di una forte opposizione critica delle forze laiche, porterà, con le premesse già poste dagli alleati dalla liberazione al prevalere della continuità nella struttura della scuola, “che peserà su tutta la politica scolastica seguente” (p. 89).

Una quinta fase, secondo Fornaca, molto interessante, che va dal 1955 agli anni ’70, presenta una crescita della scuola statale, col centro-sinistra e il varo della scuola media unica e della scuola materna statale, col Concilio e colla nascita della CEI nel 1964, che segna una rafforzata e più puntuale intervento di politica scolastica della Chiesa. E’ di questo periodo l’importante documento del 1977 La scuola cattolica della Sacra Congregazione per la Scuola Cattolica che “costituisce, nello stesso tempo, un raccordo e una continuità” coi documenti precedenti, “ma presenta delle anticipazioni che saranno oggetto di approfondimenti nelle delibere successive e di sempre maggiori specificazioni” (p. 139). In realtà La scuola cattolica traccia la linea che sarà confermata e sviluppata negli anni successivi fino ad oggi.

Il discorso è ampliato a considerazioni sulla “società pluralistica” e il “pluralismo culturale”, sulla “scuola di tutti e per tutti”, sulla “formazione integrale della persona”, sull’ “apertura agli altri” e sull’ “apostolato comunitario”, ma poi approda alla rivendicazione antica e fondamentale: quella di assicurare alla scuola cattolica “condizioni economiche e diritti analoghi a quelli delle scuole statali”. Da qui ai testi successivi, commenta Fornaca (p. 140), si snoda “un percorso (apparentemente) lungo, ma sistematico, perseguito con proposte, richieste, argomentazioni molto più coinvolgenti rispetto alla politica scolastica precedente”.

In La scuola cattolica, notavamo nel 1985 (Giacomo Cives, L'insegnamento di religione, in Roberto Maragliano, a cura di, Chiesa, famiglia, educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1985, pp. 60-61), si afferma che la scuola cattolica “rientra (...) nella missione salvifica della Chiesa e in particolare dell’educazione alla fede (n.6)”. Inoltre “si sostiene che ‘l’educazione integrale comprende in maniera imprescindibile la dimensione religiosa’ (n. 19), vale a dire cattolica, e che la Scuola cattolica deve essere attenta sì alla complessità della cultura ma non come, notiamo, vero dialogo culturale (il cui esito non potrebbe mai esser predeterminato) ma come ‘confronto e inserimento dei valori perenni nel contesto culturale’ (n. 27; il corsivo è nostro). Ancora si chiede che la Scuola Cattolica, pur tutelando la sua specificità, col mandato in quanto istituzione apostolica che riceve dalla ‘gerarchia ecclesiastica’ (n. 71), quale Scuola dunque della comunità civile e pubblica, ottenga finanziamenti pubblici e venga inserita nel ‘sistema scolastico nazionale’”.

E’ la prima volta che viene affermata la tesi che la scuola cattolica rientri organicamente nel “sistema scolastico nazionale”. Verrà ribadita per 13 anni, per vederla alla fine accolta nella legge n. 62 del 10 marzo 2000 sulla parità scolastica. Il principio non è da poco e implica che scuola statale e scuola confessionale siano poste sullo stesso piano, giuridico e finanziario.

Un obiettivo veramente limite, soprattutto nel principio (anche se l’attuazione pratica sarà all’inizio solo parziale) e che noi riteniamo insostenibile sul piano dell’ordinamento e nella Costituzione. La scuola statale risponde al bisogno educativo di tutti, quale che sia la loro religione e il loro orientamento culturale, in tutto il territorio nazionale. La stessa cosa non può accadere alla scuola cattolica, a orientamento monoculturale. Come potrà rispondere, in quel certo territorio, al bisogno educativo anche di ebrei, protestanti, musulmani, non credenti e altro?

La legge n. 62 replica: la scuola cattolica “accoglie chiunque”, e anzi non vincola alle “attività extra-curricolari” (forse anche preghiere? culto? messe? prediche?) “che presuppongono o esigono adesione a una determinata ideologia o confessione religiosa”. La dichiarazione è ipocrita, e nasconde il carattere (altro che libertà della persona) di una scuola destinata ad essere pervasivamente confessionale, in tutta la sua impostazione, le sue attività, le sue discipline (cfr. Concregazione per l’Educazione Cattolica, La Scuola Cattolica alle soglie del terzo millennio, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1998).

E’ piuttosto inquietante l’ipotesi di questa catechizzazione imposta agli alunni che per necessità la frequentino, con orientamenti ben diversi da quelli confessionali cattolici. Dove si vede che l’aspirazione della scuola cattolica a divenir pubblica non diversa da quella statale, è in sostanza illogica e assurda. E si rivela ad esempio la responsabilità dello Stato e dei Comuni di non voler rendere (intenzionalmente e fin dalla legge 444 del 1968 istitutiva della scuola materna statale), accessibile a tutti la scuola materna, coll’istituirla ovunque costringendo per necessità ambientali genitori di orientamento non confessionale cattolico a portare i propri figli a scuole materne religiose, le uniche spesso presenti sul luogo.

In una sesta ed ultima fase della politica scolastica della Chiesa e dei cattolici si rileva l’impegno per rafforzare l’insegnamento della religione cattolica nella scuola (con la revisione del Concordato e l’Intesa del 1985), estendendola di nuovo anche alla scuola materna, per rendere più salda la figura dell’insegnante di religione, puntando a inserirlo a ruolo pur se semplicemente scelto dalla Chiesa senza pubblico concorso, per meglio definire il modello della “Scuola Cattolica”, per realizzare la sua parità giuridica e finanziaria, come si è fatto come già ricordato con la legge del 2000 su “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione” (per una discussione critica di tali “Norme” cfr. Giacomo Cives, La questione della scuola privata, in Angelo Semeraro, L’educazione dell’uomo completo. Scritti in onore di Mario Alighiero Manacorda, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pp. 215-225).

Facendo salti mortali per aggirare l’ostacolo del “senza oneri per lo Stato” per l’istituzione delle scuole non statali di cui all’art. 33 della Costituzione (sbarramento mai abrogato, nè che si è mai cercato di abrogare con revisione costituzionale, via evidentemente giudicata non praticabile e destinata all’insuccesso), si è previsto un finanziamento delle famiglie, a rimborso delle spese sostenute (tasse e rette comprese) nelle scuole statali e paritarie (ma evidentemente destinate agli alunni di queste ultime, certo più alte di quelle statali). Insieme, e si è già detto, con questa legge si è sancito l’ingresso delle scuole paritarie nel “sistema scolastico nazionale” o integrato, riconoscimento in primo luogo simbolico di rilevante valore.

 

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