La Mediazione PedagogicaLiber Liber

La famiglia di fronte all'handicap .
di   Enzo Magazzini

3. L'infrangersi del mito e la ferita narcisista

Man mano che si avvicina il momento della gravidanza, specialmente nella mente della donna, l'enumerazione di tutte le possibili malformazioni che potrebbe avere il bambino è sempre più completa. Quando il bambino viene finalmente alla luce la partoriente si sarà preoccupata di tutti i problemi che potrebbe presentare il figlio. Nei suoi sogni e nelle fantasie avrà vissuto ciò che dovrebbe fare se dovesse ritrovarsi con un bambino affetto sindrome di Down o da paralisi cerebrale, per questo motivo un bambino disabile spesso non rappresenta tanto una sorpresa, quanto una delusione per il mancato successo di tutti gli sforzi fatti in gravidanza. La madre avrà già mobilitato tutte le forze che dovranno aiutarla ad affrontare il fallimento, ma, sostengono Brazelton e Cramer, "deve far fronte al proprio dolore per aver perso il bambino perfetto che ha sognato come compenso per la sua fatica".

A proposito delle fantasie materne la psicoanalista Maud Mannoni scrive:

Quale che sia la madre, la nascita di un figlio non corrisponde mai del tutto a quello che essa si aspetta. Dopo la prova della gravidanza e del parto, dovrebbe arrivare al compenso, che farebbe di lei una madre felice. Ora, l'assenza di tale compenso produce effetti che meritano di venir studiati, non foss'altro perché ci introducono a un altro ordine di problemi, ancora più importanti.

Infatti sono proprio i fantasmi materni a orientare il bambino verso il suo destino.

Anche nel caso in cui è in gioco un fattore organico, il bambino non ha da far fronte soltanto ad una difficoltà congenita, ma anche al modo in cui la madre elabora questa menomazione in un modo fantasmatico che finirà per essere comune ad entrambi.

Una volta distrutto il sogno del bambino "perfetto", i genitori rimangono con le aspirazioni frustrate., il Super Io minacciato, un senso di colpa, una sensazione di inadeguatezza. "Quando un bambino non risponde alle aspettative della società viene biasimato e così pure i suoi genitori. Spesso i genitori fanno un'autocritica intransigente e si fanno carico del fallimento dei propri figli".

Questa affermazione rimanda al concetto di figlio come "prodotto" della famiglia. Leonardo Trisciuzzi ci ricorda come la nozione di "prodotto" sia stata messa al centro del discorso economico dall'espansione mondiale della rivoluzione industriale: "Tale concetto, che è diventato una forma mentis, non riguarda soltanto il materiale che esce da un progetto industriale o da una fabbrica, ma si è generalizzato investendo anche la scuola e la famiglia. Perciò anche il bambino, il figlio, come lo scolaro, non poteva che essere il prodotto di un particolare processo formativo, sia esso scolastico, familiare o culturale. Questo è il motivo per cui il figlio viene considerato un prodotto della famiglia, che diventa responsabile della sua realizzazione".

Diviene pertanto comprensibile come l'handicappato, il disabile, il figlio "diverso" dagli altri bambini possa suscitare disagio e rendere colpevole la famiglia che lo ha generato. Il sentimento più immediato è quello di scartarlo come un "corpo estraneo" alla famiglia, anche perché è la stessa società che tende ad isolarlo, a non mescolarlo con i suoi prodotti sempre più perfetti.

La società sembra non credere che i bambini "diversi" meritino un investimento; essa privilegia valori come l'intelligenza, la competitività, l'autosufficienza, per questo i genitori si sentono "stigmatizzati" se i figli non rispondono a tali canoni di normalità.Questo messaggio risulta evidente nelle parole del padre di una ragazza handicappata, riportate da Gargiulo:

Molti dei problemi più gravi che i genitori dei bambini handicappati si trovano ad affrontare provengono dalla società. Per dirla francamente, sono problemi che dipendono dalla perpetuazione di certi miti o imbrogli, che si condizionano pesantemente fin dalla nascita. Un mito incoraggiato dai fotoromanzi che leggono gli adolescenti è quello del matrimonio come "eterna felicità" e un altro mito, collegato a questo, è che da un'unione felice nasceranno figli belli e perfetti. Perciò i genitori di bambini handicappati si vivono come non rispondenti a un cliché ideale e hanno la sensazione di aver prodotto una copia sbagliata di se stessi. (…)

Contemporaneamente, ai genitori che sono così sfortunati da avere un figlio handicappato, la società comunica il messaggio ipocrita che devono essere dei supergenitori, in grado di dare al figlio una quantità di cure, amore e attenzione molto più grande del normale e lo devono fare ventiquattr'ore al giorno per 365 giorni all'anno, altrimenti sono supernegativi.

 

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